Aderendo alla proposta del Direttore e sulla spinta dei due articoli redatti dall'amico Angelino Carta, che, prendendo spunto dal recente ritrovamento di una nuova stazione di "Felce Tirrenica", ha puntualmente introdotto il tema circa l'importanza dei servizi ecosistemici garantiti dalle piante e dagli ambienti rurali tradizionali, ho deciso di allargare il campo della discussione al "Regno Animale".
Scopo del mio intervento è quello di illustrare brevemente le complesse interazioni tra esseri viventi sia in ambiente naturale che rurale.
La diversità vegetale che definisce i nostri ambienti e paesaggi è profondamente legata anche alla presenza di molti altri organismi (animali, funghi, muffe, batteri, virus).
Senza dubbio, gli impollinatori sono quel gruppo di insetti che più presentano un legame profondo ed indissolubile con le nostre flore.
“Impollinatori” racchiude in sé quella numerosissima ricchezza di animali di piccole ed a volte piccolissime dimensioni che quotidianamente vediamo (speriamo ancora per molto) svolazzare sui fiori.
Di questa folta pletora di specie, tralasciando i coleotteri e i ditteri (mosche), la parte del leone spetta agli Imenotteri Apoidei, comunemente noti come "Api".
Con “Api” si intendono non solo l’ape mellifica , ma anche un grande numero di specie dalle abitudini più criptiche e molto spesso strettamente legate ad alcuni gruppi di piante.
Gli apoidei, grazie all’impollinazione, hanno profondamente plasmato l’ambiente elbano ed i suoi paesaggi per migliaia se non milioni di anni. Questa loro azione, garantisce anche la conservazione di questi ambienti, facendo si che la biodiversità vegetale possa riprodursi e propagarsi con successo. E’ importante sapere che nel corso della loro evoluzione, in stretto sodalizio con le piante a fiore, diverse specie di Apoidei hanno sviluppato particolare predilezione per i fiori di alcune famiglie di piante o addirittura solo di alcune specie. Molte piante hanno tratto beneficio da questa mutua interazione, garantendo o solo promettendo un premio ai loro impollinatori in cambio di un servizio di fecondazione più efficiente.
Per meglio comprendere l'indissolubile legame tra piante a fiore ed insetti pronubi, è utile citare almeno due esempi.
L’isola d’Elba conta quasi 50 specie di Orchidee, molte delle quali aventi uno stretto rapporto specie-specifico con il proprio impollinatore. Già Darwin, quasi due secoli fa, si era accorto della stretta relazione esistente tra le orchidee ed i loro impollinatori, rapporti che poi descrisse nel 1862 nel suo libro "I vari espedienti mediante i quali le orchidee vengono impollinate dagli insetti". E’ interessante notare come molte specie di orchidee, possano essere impollinate da una sola specie di “ape” e come questa sia ingannata dalla pianta attraverso diversi trucchi. Alcune orchidee infatti sono in grado di emettere feromoni simili a quelli della femmina dell'insetto, o attraverso un inganno tattile, per mezzo della peluria presente sul fiore che imita quasi alla perfezione quella dell'addome dell'inconsapevole impollinatore.
Se gli apoidei hanno un ruolo chiave per il mantenimento di un ambiente naturale, quale è il loro ruolo in un contesto agricolo?
Si fa presente come l’agro-ecosistema sia una condizione artificiale che tuttavia risponde alle medesime dinamiche e leggi di un ambiente naturale. Conseguentemente, per una sua migliore funzionalità e stabilità, anche l’agroecosistema come l’ambiente naturale, ama la complessità e la diversità. E’ proprio per questo che gli apoidei garantiscono un servizio ecosistemico fondamentale contribuendo a produrre determinate risorse come la produzione di miele, la produzione frutticola ed orticola, la propagazione ed il mantenimento delle piante officinali ed in generale, il mantenimento di un paesaggio più piacevole e vivibile.
Il secondo esempio, che spesso viene utilizzato perché di attualità e di notevole importanza economica, è quello relativo ad uno tra gli ortaggi maggiormente diffusi, il pomodoro. Il fiore di questa pianta, privo di nettare ma ricchissimo di polline, possiede organi sessuali conformati in una maniera talmente particolare da rendere difficoltosa l'impollinazione, che può essere praticata solo attraverso una forte azione di scuotimento (buzz pollination). Questo energico atto di strapazzamento del fiore, alle nostre latitudini, può essere praticato solo da un impollinatore piuttosto massiccio, il Bombo. Una grossa ed innocua ape che risulta essere praticamente l'unico insetto in grado di impollinare naturalmente il pomodoro. Tanto è vera questa affermazione, che infatti esiste un vero e proprio mercato di Bombi allevati e poi venduti ai produttori di pomodori come impollinatori (ma questa è un’altra brutta storia della stupidità e della cecità umana, di cui magari parleremo in un’altra occasione).
Questa lunga e spero poco noiosa premessa, dovrebbe avere la pretesa di aiutare il lettore a comprendere che, sia che si tratti del più selvaggio degli ambienti, che di quello più antropizzato, ovvero, sia che ci troviamo nella foresta amazzonica, che nell'orto di casa, ci sarà sempre una strettissima relazione tra le piante e gli impollinatori che vivono in quel contesto e che questa relazione necessita di essere mantenuta, per il bene dell’ambiente nostro, e quello delle generazioni che verranno.
Per meglio comprendere e conservare i nostri impollinatori apoidei ed il servizio ecosistemico che essi garantiscono, è fondamentale conoscerli! Perché non si può conservare ciò che non si conosce!
In una recentissima tesi di laurea triennale sviluppata grazie alla collaborazione tra World Biodiversity Association Onlus e l’Università di Milano Bicocca, sono state riunite tutte le conoscenze bibliografiche relative agli Imenotteri Apoidei dell'Arcipelago Toscano e si è giunti ad elencare circa 200 specie presenti in 6 delle 7 isole, costituenti 1/5 della fauna italiana. Questo dato, seppur preliminare, ci potrà permettere di avviare attività di ricerca atte ad approfondire le conoscenze sulla biodiversità di questo gruppo e di suggerire eventuali azioni di sviluppo sostenibile per l’apicoltura e l’agricoltura locale.
Significa che un determinato ambiente, sia esso naturale, rurale, agricolo e perché no, urbano, possa essere definito “sano”, quando al suo interno tutte le specie vivono e convivono in un intricato insieme di relazioni e di delicati equilibri. In pratica un ambiente è più sano quanto più è “biodiverso” (passatemi il termine), ossia maggiore sarà la quantità di specie vegetali ed animali che lo popolano e migliore potrà essere considerato il suo stato di salute.
Da queste osservazioni deriva la totale condivisione con quanto scritto da Angelino Carta nei suoi ultimi interventi su questa testata.
L'isola d'Elba, ma anche tutte le altre isole abitate dell'Arcipelago, potrebbero diventare uno splendido esempio di integrazione tra attività agricola, turistica ed ambiente, un laboratorio agricolo naturale con delle enormi potenzialità. Tutto questo sarebbe ovviamente possibile praticando un'agricoltura sostenibile che utilizza le buone pratiche e che considera l’agro-ecosistema un elemento integrato del paesaggio.
Questo tipo di gestione favorirebbe un sistema agricolo più complesso dal punto di vista naturalistico in grado di essere più resiliente nei confronti eventi di disturbo, quali allagamento, desertificazione, erosione, dilavamento, perdita di fertilità … garantendo un paesaggio rurale più vivibile ed anche maggiormente spendibile dal punto di vista culturale e turistico. Un esempio perfettamente calzante con la storia rurale elbana potrebbe essere il recupero dei terrazzamenti ora coperti da vegetazione arbustiva, che contribuirebbero alla ricostituzione di un ambiente e di un paesaggio eterogeneo più adatto a sostenere una complessa comunità di organismi. Ad esempio, un aumento della biodiversità vegetale, quindi, come in una sorta di reazione a catena virtuosa, favorirebbe un parallelo aumento non solo degli impollinatori ma di tutta la microfauna collegata, permettendo di ritornare a quel sano equilibrio tra attività umana ed ambiente naturale che caratterizzava il paesaggio rurale elbano fino a poche decine di anni fa.
E’ compito di questa generazione, ma soprattutto delle generazioni future, tramandare tradizioni, conoscenze e strumenti, affinché si possa aprire alla possibilità di un ritorno ad una agricoltura amica del territorio, dove l’agricoltore diventi lui stesso custode della biodiversità, coltivata e non.
Mi auguro che le nuove generazioni possano sempre più, anche tramite una agricoltura sostenibile, poter decidere al meglio dove vivere, dove crescere i propri figli, poter valutare il proprio benessere non solo usando come unità di misura il reddito, vivere appieno un territorio, mangiare, allevare e coltivare nel pieno rispetto della vita.
Sarà quindi nelle loro mani il compito e la fatica di dover gestire e tutelare in maniera oculata e sostenibile l’ambiente che li circonda e la biodiversità che lo caratterizza.
Dovranno utilizzare al meglio le loro giovani e plastiche capacità intellettive e dovranno arricchirle prendendo in prestito la saggezza della vecchia cultura agricola e capire che, salvando anche una sola ape possono contribuire a preservare l’ecosistema.
Con tutti questi elementi, sono sicuro, il paradigma può cambiare.
Forbicioni Leonardo
Vicepresidente World Biodiversity Association Onlus
Responsabile WBA Sezione Arcipelago Toscano