Ed ora torniamo al Malpasso delle Filicaie e riprendiamo il nostro cammino verso casa, laggiù a Pomonte. La GTE di meridione scende dalle scalinate de Le Filicaie al pianoro della Grottaccia - coperto da una fitta macchia dalla quale emergono caprili e domoliti -, e raggiunge i resti megalitici del villaggio dell’ età del bronzo (II mill. a.C.) de
Le Mure. Si prosegue verso Monte Cenno (592m.) dove un sentiero (135) si stacca dalla GTE e si congiunge con i numerosi stradelli che scendono alla Terra di Campo. Sentieri inseriti in paesaggi di grande bellezza, coperti da fitte pinete e leccete, macchia e gariga, da dove emergonoresti di Chiese Romaniche, necropoli villanoviane, campi di
colonne medievali, caprili, circoli di mehir, ripostigli preistorici, antichi mulini. I nomi sono, fra i tanti, Valle Buia, Costa dello Svizzero, Piana della Sughera, Macinelle, Masso alla Guata, Sassi Ritti, Piane al Canale, e poi Fetovaia, Seccheto, Cavoli, San Piero, Sant‘Ilario…
Tornando al Monte Cenno, davanti a noi, a settentrione, La Terra; il luogo dove, attorno alla Chiesetta di San Benedetto, sorgeva l’antica Pedemonte; laggiù nella valle i resti della Chiesetta romanica di San Biagio e gli “steccati”, piccole opere di ingegneria idraulica con i quali i vecchi Pomontinchi convogliavano l’acqua del Fosso negli orti di montagna. A maggio, lungo il Fosso della Vallaccia dove sono gli steccati, le bianche fioriture dei “gigli stella” - come si chiamano da queste parti i Pancratium Illyricum- emergono dal fascio delle loro lunghe e verdi foglie, lungo le spaccature delle coti di granito. E’ una pianta endemica, dicono i botanici, della regione cirno-sarda che comprende Sardegna, Corsica e Arcipelago Toscano. Sono i pancrazi di montagna, parenti di quei pancrazi di mare o gigli di mare (Pancratium maritimum) che nelle sabbie di Lacona e Fetovaia, costituiscono ancora un prezioso essere di biodiversità e bellezza. Sotto San Biagio, il Poio dove i rudere delle antiche cantine con i loro palmenti, ricordano i tempi in cui lì si vinificava l’uva raccolta dai tanti vigneti che gradonavano tutta la valle dal Capanne al mare. Poi alla fine degli anni Cinquanta a Pomonte e Chiessi è arrivata la strada. Sono arrivati i primi villeggianti; si è sviluppata l’economia e la cultura dell’accoglienza e quei vigneti sono lentamente scesi dalle quote più alte verso il mare. Restano ancora balzi di viti in prossimità del
paese, vicino agli orti e agli agrumeti, curati da Grandi Vecchi e Grandi Giovani, in una lotta continua con gli appetiti di cinghiali e mufloni. Il Parco Nazionale fino dalla sua istituzione tenta di contenere il loro numero, ma ancora oggi emerge l’esigenza di chiare e consapevoli politiche da parte di tutte le Istituzioni (Regione,
Provincia e Comuni) che, oltre al Parco, governano il territorio, così da pianificare un programma di interventi che nel medio termine siano in grado di risolvere il problema.
Riprendiamo la GTE e raggiungiamo Monte Orlano (549 m.) il cammino della GTE scende e in breve raggiungiamo, percorrendo la vecchia via delle vigne, il ponticello del Fosso di Pomonte, o meglio il Passatoio, e le prime case del Paese; la bella insegna da Sophie dove Antonio e Marco Garbati curano con maestria cucina e forno delle pizze; poi l’Hotel Corallo, il cui proprietario, Rolando Galeazzi è uno dei Grandi Giovani che ha impiantato nuovi viti di ansonica e vermentino; passiamo i locali della Misericordia di Pomonte e Chiessi, un prezioso presidio della sanità e solidarietà elbana e giungiamo quindi alla Piazza della Chiesa, l’ombelico di Pomonte dove si erge il monumento di granito dello scultore Nello Bini. E’ una parte del “Ciano”, il grande blocco colonnare di granito che alla fine degli anni Trenta venne cavato dal granito delle Valle e che doveva servire ad erigere il mausoleo sepolcrale della potente famiglia livornese. Durante il trasporto dalla cava al Calello per l’ imbarco, qualche cosa andò storta e la colonna si ruppe. Poi venne la guerra, cambiò il vento, e del mausoleo non se ne parlò più. La colonna rimase per decenni a fianco della Chiesa finchè non giunse negli anni Settanta lo sculture Nello Bini che aveva casa a Chiessi, che creò la sua scultura, attorno alla quale hanno giocato e giocano tutti i bamboli di Pomonte, indigeni o foresti che siano, da sempre uniti nei loro giochi in questa piccola oasi di bellezza e tranquillità.
L’alternativa ad una discesa diretta al Paese percorrendo la GTE è quella di lasciarla poco dopo Monte Orlano, in prossimità del bel caprile di Collica e di percorrere la via riaperta dai Ragazzi del Calello, un gruppo di giovani e di “diversamente giovani”, che da anni sono un prezioso valore aggiunto alla vita sociale, culturale, economica ed enogastronomica di Pomonte. Il sentiero dei Ragazzi del Calello arriva al Monte Schiappone (295 m.) e scende fra i balzi di antichi vigneti fino al Ponte della Provinciale che, a valle del Passatoio, scavalca il Fosso del Barione, nome ufficiale dell’unico corso d’acqua perenne dell’Isola d’Elba, meglio noto come il “Fosso di Pomonte”. Il Ponte, come gli altri che si trovano lungo la provinciale fra Marciana e Fetovaia, vennero edificati negli anni Cinquanta del secolo passato, facendo uscire i paesi del lontano occidente elbano dal loro secolare isolamento. I ponti furono edificati ad arco in belle bozze di granito e rappresentano nelle loro armoniche forme delle vere opere d’arte e di lavoro, da curare e mantenere.
Al Ponte di Pomonte si apre la piana alluvionale del Porto Vitale, dove ancora restano “orti e agrumeti chiusi”, protetti, dai venti e dalla salsedine da un meandro di imponenti muri a secco fatti di ciottoli di granito. E’ un paesaggio antico che Ovilio, il Grande Vecchio, memoria storica di Pomonte, continua a curare, e a narrare.
Risalendo brevemente la provinciale ci si affaccia sulle incredibili trasparenze del mare verde e turchese dello scoglio dell’Ogliera fatto di “dolci” serpentiniti e di “taglienti” basalti e gabbri. (Strani aggettivi per due litotipi, ma ottimo strumento diagnostico per riconoscere l’uno o l’altro, passeggiando sopra l’Ogliera). Siamo in una prezioso “reperto fossile” piombato a Pomonte da quel lontano Oceano ligure, che abbiamo invocato e invocheremo varie volte. L’Ogliera è un raro frammento della crosta oceanica dove si vedono ancora le fessure nelle serpentine riempite di gabbri da cui risalivano i materiali lavici. Il nome dello scoglio deriva da l’ògliera (Anemonia sulcata), l’anemone di mare con i filamenti marroncini dalle punte violette che popolano i fondali d’intorno. Impanate e fritte sono una antica leccornia dal fortissimo sapore di mare, ci dicono Enzo e Giorgio Galeazzi, padre e figlio, proprietari e chef del ristorante affacciato sugli orti e gli agrumeti del Porto Vitale, in faccia allo scoglio dell’Ogliera che, guarda caso, si chiama: L’Ogliera.
Fra ògliere, spugne e coralli, circondati da una prateria di posidonia oceanica- la salute del mare- in un via vai, di occhiate, saraghi e paraghi, castagnole e qualche triglia, è adagiato lo scafo dell’Elviscot, il piccolo mercantile che nel gennaio del 1972 fece naufragio, senza vittime, in queste acque, e che oggi è una delle principali attrazioni per diving e snorkeling dell’Isola d’Elba.
La Punta della Grotta (o Punta dell’Ogliera) chiude a sud la Rada.
Poi iniziano le alte falesie di ofioliti che dalla Cala delorame, al Nidio del falchetto, giungono alle scogliere diasprine delle Rosse, e poi al magico mare de Le Tombe e alle vecchie calcare de La Piastra di Fetovaia. La Cala delorame, un antico toponimo per indicare il luogo dove si trovano le masserelle di solfato di rame- prodotto dalla alterazione di mineralizzazioni primarie a calcopirite- che i Pomontinchi andavano a raccogliere per dare “ il ramato” alle viti. Poco oltre il Nidio del falchetto, dove i ragazzi di Pomonte, falconieri in erba, andavano per prendere e poi ammaestrare i piccoli falchetti.
Ancora oggi l’elegante volo del falco pellegrino si eleva talora dalla falesia e si inoltra a caccia entro la Valle, dividendo il cielo con gabbiani reali e rondini.
Scendiamo alla spiaggia dell’Ogliera prendendo lo stradello della antica interpoderale e arriviamo al Quartiere, una vecchia postazione militare, sapientemente ed elegantemente restaurata negli anni Sessanta del secolo passato.
Ai tempi del Principato napoleonico dell’Elba, l’Imperatore dava disposizioni affinchè venisse intensificata la sorveglianza delle terre disabitate di Pomonte ad evitare sbarchi dei realisti che presidiavano la Corsica. Può darsi, o comunque ci piace pensare, che il Quartiere dell’Ogliera sia stato edificato a quei tempi. I realisti francesi non sbarcarono mai all’ Ogliera, fra il maggio del 1814 e il febbraio del 1815, tanto durò il Principato delle tre api. Sbarcarono invece da un motoscafo d’altura, come narrano le cronache, un gruppetto di individui la notte fra il 13 ed il 14 agosto del 1980. Salirono velocemente fino alla cima del Capanne dove si ergevano le antenne di varie emittenti radio, fra le quali quella di Radio Corsica Libera. Poi alle 6:05 una violenta esplosione svegliò il Marcianese. Un minuto dopo il veloce motoscafo riprendeva il largo. Tutte le antenne radio del Capanne erano saltate.
Oggi la spiaggia del Quartiere, dove un tempo si ergevano le capanne in canne per il ricovero dei gozzini dei Pomontinchi, è una tranquilla e bella spiaggia nota come la Spiaggia del Relitto, curata da Libero Costa con la preziosa collaborazione di Rita e Alessandro.
Proseguiamo lungo la spiaggia a ciottoli di granito della Ricciaia, verso la foce del Fosso di Pomonte: linea di confini fra il Comune di Campo con quello di Marciana. In questo luogo sotto una bella pineta domestica si trovano grandi masse di scorie ferrifere, che risalgono ai tempi etrusco- romani quando qui, alla foce del fosso- il Porto Vitale- attraccavano i barconi che trasportavano il minerale di ferro dall’Elba orientale, alla ricerca di legno duro e acqua dolce, per i trattamenti siderurgici. E a proposito di Porto Vitale, buona cosa se venissero eseguiti quei lavori minimali, che senza creare problemi idrogeologici permettessero il ricovero di gozzini, canoe e gommoni dei Pomontinchi e degli Amici di Pomonte.
Gli scogli di granito iniziano a tingersi di rosa, quando passiamo davanti alla casa che fu il buen retiro di Silvano (Nano) Campeggi, il pittore delle dive e dei sassi; una occhiata alla ghiaiosa spiaggia delle Scalette, e magari un saluto a Marco Sardi, ed al suo splendido Hotel e giardino, e arriviamo al Calello, dove il grande bigo e lo “scivolo” scalpellato sul granito ci ricordano, quando qui attraccavano i leudi genovesi per prendere il vino, e i barconi del granito che caricavano corduli, lastre e paracarri. Qui troviamo il Sedile di Gio Pomodoro. Il 21 luglio del 1996, giusto il giorno prima della firma del decreto istitutivo dell’Ente Parco Nazionale Arcipelago Toscano, a Marciana veniva inaugurata la mostra delle cinque opere realizzate da Giò Pomodoro con il granito dell’ Elba. Una di queste, il Sedile, era destinato al belvedere di Marciana, ma poi vicende varie lo portarono al Calello di Pomonte. Sul Sedile è incisa una grande E, ad indicare l’oriente, ma a Pomonte succede di tutto, succede anche che ad oriente tramonti il sole.
Beppe Tanelli
Nell'immagine: GTE Filicaie- Pomonte