Ed ora, cari “viaggiatori leggeri” siamo giunti alla fine della nostra camminata. Percorrendo la GTE abbiamo sfogliato un po' di pagine del libro della Grande Storia dell’Elba e del nostro Pianeta. Sono pagine a volte difficili da comprendere, con non poche incertezze interpretative ed ora seduti attorno alla sedia di Giò Pomodoro, possiamo tentare di narrarla brevemente, partendo da 250 milioni di anni fa, al passaggio fra il Paleozoico e il Mesozoico (Permo/Trias).
Le rocce più antiche della Terra si erano formate, più o meno, quattro miliardi di anni prima, quando in un Pianeta ancora caldo precipitavano centinaia di meteoriti; numerosi vulcani illuminavano le notti del Pianeta e violenti terremoti scuotevano la prima crosta terrestre. L’atmosfera era un miscuglio di idrogeno, elio, metano ammoniaca, azoto …diossido di carbonio, ossigeno. La biosfera con i primi virus, batteri, spugne ed alghe arriverà poco dopo, più o meno con la differenziazione della prima idrosfera. Da allora la Terra si è raffreddata; si sono evolute le caratteristiche dell’atmosfera, idrosfera e biosfera; la crosta si è inspessita; si è consolidata una litosfera e i movimenti geodinamici hanno ripetutamente variato la geografia del Mondo.
In quei giorni di 250 milioni di anni fa, tutte le Terre emerse del Globo, nel loro dinamico divenire erano riunite in un grande Supercontinente: la Pangea, circondato dai mari epicontinentali e, più al largo, dalle acque oceaniche della Panthalassa. Nel tempo si erano formati ed erano scomparsi grandi continenti ed estesi oceani.
La Terra aveva passato periodi in cui era diventata una vera “Palla di neve” e periodi in cui l’irraggiamento solare e una atmosfera estremamente ricca di gas serra emessi dai vulcani, aveva trasformato il nostro Pianeta in una “Palla di fuoco”. La vita biologica si era evoluta, e poche centinaia di milioni di anni prima, all’inizio del Paleozoico (540 Ma fa) era decisamente esplosa. I mari si erano popolati di grandi pesci dai quali si erano evoluti gli anfibi, che più o meno quando iniziamo il nostro racconto, stavano colonizzando le terre emerse della Pangea.
Le formazioni del Paleozoico, che troviamo a Calamita, ad Ortano, a Rio e alla Valdana erano parte integrante della Pangea. Affioravano lungo le coste meridionale di un ampio Golfo marino, la Tetide, aperto nella zona orientale del Supercontinente. Il clima costiero era caldo e umido, e grandi fiumi a meandri portavano il loro maturo carico detritico, fatto essenzialmente di granuli di quarzo, nelle estese piane alluvionali e
nei depositi fluviali deltizi. Da quei granuli nascono le quarziti del Verrucano che affiorano in particolare nelle Terre del ferro e che nella nostra camminata abbiamo incontrato a Valdana.
Da una quindicina di milioni di anni, era avvenuta la grande estinzione di massa che segna la fine del Permiano e l’inizio del Trias: la “Madre di tutte le estinzioni di massa”, come viene chiamata. Improvvisamente - forse in relazione con le grandi eruzioni vulcaniche dei basalti della Siberia - erano scomparse circa il 90% delle specie animali, compresi gli insetti: i più resistenti in assoluto Poi era giunta nuova vita, diversificata in numerose nicchie ecologiche, e il Mondo triassico si trovò popolato da piccoli mammiferi e dai primi dinosauri.
Attorno a 220 milioni di anni fa, siamo nel Triassico superiore, forze geodinamiche divergenti stirano la litosfera continentale che formava il fondo della Tetide. Il mare invade porzioni di territorio sempre più estese e nelle aree meridionali di questo lontano precursore del Mediterraneo, si andò delineando un bacino marino di particolare
importanza per la nostra storia: il Bacino Toscano. Con il passare del tempo, sopra i depositi continentali quarzitici del Verrucano, si formarono barriere coralline e lagune dove, con l’evaporazione precipitarono i sali marini (salgemma, silvite, gesso, carbonati e solfati vari) e si “ edificarono” scogliere calcareo- dolomitiche. Poi in un mare sempre più profondo, sedimentarono: calcari e calcari-selciferi, diaspri, marne ed argilliti, fino alla deposizione fra 30 e 28 milioni di anni fa, durante l’Oligocene dei sedimenti torbiditici arenaceo-argillitici del Macigno toscano: la Pietra Serena del Rinascimento Fiorentino. Una pietra che, sia pure metamorfosata, ritroviamo a formare l’isolotto dei Topi di fronte a Capo Castello, in quella che fu, alla fine dell’Ottocento, l’ultima dimora della Foca monaca all’Elba.
E al riguardo non posso non ricordare come lo scorso giugno la foca monaca, dopo sessanta anni è tornata nella sua casa di Capraia. Comune e Parco hanno chiesto l’estensione dell’Area Marina Protetta intorno all’ Isola. Un buon viatico affinchè si giunga finalmente alla istituzione dell’Area Marina Protetta estesa a tutte le isole dell’Arcipelago, che parte dall’ Isola dove attorno a quaranta anni fa nacque l’idea del Parco; dove all’ inizio degli anni Novanta esplosero le dure contestazioni alla sua istituzione; e dove nel gennaio del 1998, in un rinnovato patto fra il Parco e la comunità del territorio, venne scelto in seduta aperta del Consiglio Comunale di Capraia, Gaetano Guarente Sindaco, e del Consiglio direttivo del Parco, il logo del Parco Nazionale: il geode terrestre che avvolge una grande onda che si apre nel volo dei gabbiani dal becco rosso :i gabbiani corsi, preziosa presenza nella ricca biodiversità del Arcipelago.
Mentre nel Bacino Toscano sedimentavano le formazioni sopra descritte, al largo nelle zone abissali della Tetide, attorno a 170 milioni di anni fa, durante il Giurassico medio, le forze geodinamiche divergenti determinarono la lacerazione della Pangea e la formazione di due distinte masse continentali: Eurasia a nord e Africa a sud. Fra i
due continenti si aprì una “Dorsale medio oceanica” dove risalirono materiali del mantello terrestre- quali peridotiti, rapidamente serpentinizzate per interazione con l’acqua marina, gabbri, oficalciti- sopra i quali si espansero lave basaltiche nella tipica tessitura a cuscini. Si stava generando un nuovo oceano, oggi scomparso: l’Oceano Ligure-Piemontese. Più o meno nello stesso periodo di tempo, iniziava il distacco dall’Europa dell’America Centro Settentrionale, e l’apertura dell’Oceano Atlantico con la creazione della Dorsale che dall’Islanda giunge alle latitudine antartiche, passando per l’Isola di Sant’Elena, l’ultima dimora di Napoleone come l’Elba si accinge a ricordare il prossimo anno, nel bicentenario della sua morte.
Storie diverse quelle degli Oceani Atlantico e Ligure. Quello Atlantico continua ad espandersi ad un ritmo medio di 3 cm/anno e in quasi duecento anni ha distanziato le terre dove sono edificate Miami e Lisbona di 6.666 km. L’Oceano Ligure invece ebbe una vita effimera, durò una decina di milioni di anni allargandosi fino ad un migliaio di chilometri, ma circa 160 milioni di anni fa quando iniziò il distacco dell’America meridionale dall’Africa, si ebbe come effetto collaterale, la chiusura delle fratture da cui risalivano le lave basaltiche. Piano piano, sopra di esse, iniziò la sedimentazione delle spoglie dei radiolari sopra le quali si accumularono, al diminuire della profondità le fanghiglie carbonatiche prima ed argillitiche poi dei Calcari a Calpionella e delle Argille a Palombini.
Attorno a 70 milioni di anni fa - poco prima che la celebre “Estinzione di massa dei dinosauri”, segnasse il passaggio, 65 Ma fa, dal Cretacico al Terziario-, la convergenza geodinamica fra Africa ed Europa, portò la litosfera dell’Oceano Ligure- Piemontese a scivolare, o subdurre come dicono i geologi, sotto la massa continentale africana. Le formazioni oceaniche interposte fra Africa ed Europa, furono strizzate, sradicate ed accavallate in differite Unità tettoniche, finchè attorno a 30 Ma fa, all’inizio dell’Oligocene un imponente edificio strutturale, sia pure in modo discontinuo, si estendeva a ridosso del continente europeo, dai Carpazi al Rif africano, passando per il settentrione d’Italia, la Provenza, le Baleari, e le montagne della Betica e comprendendo anche le terre che saranno: il dito della Corsica, Gorgona e forse anche gli scisti della Formazione di Cavo; il Massiccio Calabro-Peloritano e le Kabilie algerine. Era nata la prima catena alpina. Davanti alla catena si stendeva ciò che restava del Oceano Ligure- Piemontese: uno stretto braccio di mare fra l’Europa alpina e la microplacca di Adria, un pezzetto di litosfera continentale originariamente parte della Placca africana.
Poi, attorno a 28 Ma fa inizia l‘Orogenesi appenninica. Nell’entroterra della Placca europea, si aprì il Bacino delle Baleari, che provocò il distacco dal Continente europeo della Microplacca Sardo-Corsa con porzioni dell’antistante catena alpina. Queste, come
accennato andranno a formare nell’alto Tirreno, il “dito” della Corsica, e le formazioni di schistes lustrés di Gorgona e, probabilmente le ritroviamo all’Elba nella Formazione di Cavo della Unità di Grassera.
La Microplacca Sardo-Corsa iniziò una lenta rotazione antioraria contro il blocco continentale di Adria, grosso modo rappresentato dalla zona Iblea della Sicilia e dai territori adriatici dalla Puglia al Friuli, Venezia Giulia. Lentamente le formazioni del Dominio ligure si accavallarono su quelle del Dominio toscano - con episodi di sovrascorrimento di unità appartenenti allo stesso dominio -, così da costruire l’edificio a falde sovrapposte degli Appennini ancestrali, dove sono frequenti i fenomeni di formazioni sedimentarie antiche che si accavallano su formazioni più giovani. Poi, giusto alle spalle dell’Appennino ancestrale, inizia ad aprirsi il bacino oceanico del basso Tirreno che imprime una netta rotazione all’ Appennino Centro Meridionale, e al Massiccio Calabro- Peloritano che ne diviene parte integrante. Nelle nostre contrade toscane, gli avvenimenti del basso Tirreno determinano un lento spostamento verso oriente del fronte di corrugamento dell’Orogene appenninico e l’instaurazione di graduali fenomeni tettonici estensivi, accompagnati da manifestazioni magmatiche intrusive e vulcaniche, dalle aree insulari verso quelle continentali della Toscana. Questo magmatismo, così detto anatettico- dovuto alla risaliti di materiali generati dalla fusione parziale di rocce crustali profonde prossime al contatto con il sottostante mantello-, ha le sue premesse 14 milioni di anni fa a Sisco in Corsica e si manifesta nell’Elba occidentale fra gli 8,4 e i 6, 9 Ma fa con la risalità e consolidamento entro le formazioni delle Unità flyschioidi e ofiolitiche del batolite monzogranitico di Monte Capanne. Questo evento generò l’Anello termometamorfico della Unità Punta Polveraia - Fetovaia e lo scivolamento delle Unità flyschioidi e dei corpi magmatici inclusi (porfidi granitici ed eurite), verso oriente. Ai fluidi pneumatolitici, residuali della cristallizzazione magmatica è legata la genesi dei famosi minerali pegmatitici di San Piero e Sant’Ilario.
Con lo sviluppo verso oriente della tettonica distensiva, circa 6 Milioni di anno fa, in pieno Messiniano, una nuova massa monzogranitica si consolida entro le formazioni della Unità di Porto Azzurro, provocando, durante il suo raffreddamento intensi fenomeni metamorfici, minerogenetici e tettonici. Dalla messa in posto dei filoncelli aplitici che tagliano gli gneiss di Calamita, alla formazione o riformazione dei giacimenti a ferro da Calamita a Rio, alle faglie di scivolamento e a quelle ad alto angolo che chiudono attorno a 5 milioni di anni fa- all’ inizio del Pliocene,- i grandi fenomeni strutturali e minerogenetici dell’Elba.
Siamo ai tempi finali della così detta “Crisi di salinità del Messiniano”, un grandioso evento paleogeografico, iniziato attorno a cinquecento milioni di anni prima che aveva trasformato il bacino del Mediterraneo in una gigantesca Death Valley, costellata da aridi pianori salini e profonde gole riempite di dense salamoie. Poi si aprì la soglia di Gibilterra e le acque dell’Atlantico si riversano sull’erede dell’antico bacino della Tetide facendo nascere il Mediterraneo che più o meno conosciamo.
Un Mare struggente di rara bellezza, dove si sono affacciate le più grandi civiltà della nostra storia, ma che oggi è avvolto da una cronaca quotidiana di tragiche migrazioni di genti africane e asiatiche verso l’Europa e di preoccupanti livelli di inquinamento di microplastiche e pattumi vari, in relazioni con le quali l’Europa emerge per il suo assordante e inconcludente balbettio. Un balbettio che lentamente vanifica, favorendo demagogia e sovranismo, i tanti sforzi che dal Manifesto di Ventotene sono stati fatti per donare all’Europa, per la prima volta nella sua storia, settanta anni di pace.
Pace, quasi un concetto lontano e sfuggente. In altre parole, i nostri padri e i nostri nonni ci hanno fanno il grande dono di non essere costretti a sparare ad un francese, o ad un inglese, o a un tedesco o a uno spagnolo, per la prima volta nella storia. Noi più o meno abbiamo conservato questo dono e se vogliamo lo abbiamo anche arricchito. Bene, facciamo in modo che i nostri figli non lo neghino ai nostri nipoti.
Ed ora torniamo al Pliocene quando il mare attorno a 3,5 milioni di anni fa, quasi alla fine di questa Epoca era giunto fino alle porte di Arezzo. L’ Arcipelago Toscano era formato da decine di isole, fra le quali però mancava ancora Pianosa che acquista la sua insularità ed emerge dalle acque del Tirreno intorno a 2, 4 milioni di anni fa, nei primi tempi del Pleistocene.
Più o meno in quei tempi, a Olduvai, nella savana delle Grandi Valli dell’Africa orientale, iniziavamo il nostro cammino nel Mondo. Per più di due milioni di anni ci siamo evoluti in una Terra in cui l’equilibrio fra Uomo e Natura era perfetto, poi attorno a 10.000 anni fa con il Neolitico, l’Uomo diviene agricoltore e allevatore, costruisce le prime città; con il calore del fuoco trasforma la materia: il fango diviene ceramica, il calcare diviene malta, ma nel complesso permane un sostanziale equilibrio fra i bisogni umani e le disponibilità del Pianeta in cui viviamo. Poco meno di tre secoli fa, la prima Rivoluzione industriale, quella del carbone e dell’acciaio, e delle macchine a vapore. L’equilibrio fra Uomo e Natura inizia ad incrinarsi. Lentamente emergono i limiti del nostro Pianeta nel fornirci risorse e nello smaltire i rifiuti. Poi in un continuo crescendo di conoscenze e tecnologie, siamo giunti ai tempi del “Villaggio Globale” e alle sue tante criticità: ecologiche, umanitarie, sociali, economiche e sanitarie, che quotidianamente riempiono le pagine dei media.
Scienza e tecnologia, come dice Paul Crutzen, sarebbero in grado di interrompere la tendenza al degrado del Pianeta Terra, ma per fare questo dobbiamo indossare un nuovo paio di occhiali per vedere il Mondo. Occhiali con lenti innovative chiamate: eee…etica, ecologia, economia.
Bastia è davanti a noi. Nel cielo esplodono i colori del melograno. La natura ci dona tutta la sua bellezza.
Grazie a tutti voi per la vostra compagnia. A presto.
Beppe Tanelli
Fine della decima e ultima puntata. Buon cammino!
Nelle immagini:
Localizzazione delle formazioni paleozoiche elbane nella Pangea;
La paleogeografia ai tempi dell’Oceano Ligure Piemontese;
La catena alpina 30-28 Ma;
L’orogenesi dell’Appennino.
Per i più curiosi
Bortolotti V. et al. (2015)- Carta Geologica dell’Isola d’Elba. Ed. D.R.E.AM. Italia, Pratovecchio (AR)
Lotti B. (1884)- Carta Geologica dell’Isola d’Elba. Ed. R. Ufficio Geologico d’Italia, Roma
Tanelli G. (2007) – Screpolature geo-ecologiche. In: La Terra di Rio. Ed. Comune di Rio nell’Elba - Museo Archeologico del Distretto minerario. 295-348.
Tanelli G. (2009). Georisorse e Ambiente. Aracne Ed., Lanuvio, Roma, 280 p.
Tanelli G. e Benvenuti M. (1998) Guida ai minerali dell’isola d’Elba e del Campigliese. Ed.Il Libraio, Portoferraio
Tanelli G. e Benvenuti M. (1999) Minerals and Mines from Elba Island (Italy): Conservation of an outstanding heritage and its use as an educational tool towards the growth of a “Geologic Culture”. Mem. Descr. Carta Geol. It. LIV, 465-.470, ISPRA,3,126-142.
Tanelli G., Gentini U., Marchetti L., Rossato L. (2004) Il turismo geologico nelle isole dell’Arcipelago Toscano. Atti 2° Cov.Naz.Geo.& Tur. Rel., 109-111.
Trevisan L. e Marinelli G. (1967)- Carta Geologica dell’Isola d'Elba. CNR, Ed. E.I.R.A., Firenze