Dopo lunghi mesi di lavoro finalmente era il momento di partire per la nostra vacanza; Alessio, Edoardo ed io saremmo andati in Australia. Prendemmo l’aereo alle 10:00 di mattina. L’aeroporto di Los Angeles era affollatissimo, ma con un po’ di fortuna eravamo riusciti a prendere il volo in orario.
Entrati in aereo prendemmo posto ed Edoardo e Alessio incominciarono a discutere su cosa fare una volta che fossimo arrivati. Ero disperata perché non ero mai stata in aereo; al massimo avevo viaggiato pochi chilometri insieme ai miei genitori. L’aereo non era proprio il massimo, il sedile aveva un forte odore di formaggio e la porta che ci divideva dalla cabina di volo continua a sbattere.
Infine, appoggiando la mano sul finestrino, si poteva sentire un getto d’aria; quell’aereo non mi dava affatto una sensazione di sicurezza. Dopo qualche ora di viaggio stavamo sorvolando un’isola di modeste dimensioni ricca di vegetazione dalla quale si intravedeva un’abitazione color bianco panna. Sentivo che l’aereo perdeva quota e intravedevo il pilota che stava provando ad eseguire un atterraggio d’emergenza, ma l’aereo continuava a precipitare sempre più velocemente.
Ricordo solo il momento in cui mi ero svegliata; capii di essere svenuta poiché era giunta ormai la notte, ma di Edoardo e Alessio non c’era alcuna traccia.
In quel momento non ero convinta di riuscire a sopravvivere ma comunque avrei provato a raggiungere l’isola che avevo visto dall’aereo, con un po’ di fatica riuscii a raggiungerla, dei miei amici, tuttavia, nemmeno l’ombra. Nonostante tutto decisi di cercare del cibo visto che stavo morendo di fame.
Stavo raccogliendo della frutta quando sentii avvicinarsi delle persone; allora mi nascosi dietro un cespuglio cercando di studiarli ma capendo che non erano pericolose, decisi di provare a fare la loro conoscenza.
Riccardo era un tipo sportivo abbastanza alto con gli occhi chiari e i capelli mori, Diego era il suo opposto: aveva i capelli biondi, gli occhi marroni scuro, adorava la natura e lo studio.
Si trovavano lì perché Riccardo aveva ereditato da suo nonno l’isola e l’enorme villa bianca. Dopo aver fatto conoscenza, ci incamminammo verso la loro casa e in quel momento vidi Alessio e Edoardo che venivano verso di noi, e fatte le presentazioni gli raccontammo la nostra storia.
Molto gentilmente si offrirono di aiutarci a trovare un modo per tornare a casa, così passammo il resto della giornata a cercare un soluzione.
Verso sera prendemmo la decisione di costruire una zattera; lavorammo tutta la notte per realizzarla spe-rando di riuscire terminarla entro la mattina successiva. Nei giorni seguenti ci impegnammo nella ricerca di cibo e dopo quattro giorni salutammo i nostri nuovi amici e con la zattera ci avviamo verso la nostra America.
Il quinto giorno incominciammo a renderci conto che il cibo non sarebbe bastato e il pomeriggio del sesto giorno cademmo in una grande disperazione, ma no-tando una nave a qualche miglia di distanza riuscimmo a tenere il morale alto.
Purtroppo la nave non ci notò e passò oltre con nostro enorme dispiacere.
Era il diciassettesimo giorno e le provviste erano esaurite definitivamente, nonostante tutto cercavamo di non abbatterci.
Il giorno conclusivo fu il ventitreesimo nel quale verso mezzogiorno passò una nave che ci notò e ci fece salire a bordo. Passarono circa tre ore prima di arrivare al porto di Los Angeles, in pratica niente in confronto ai ventitré giorni di viaggio su una zattera.
Erano trascorsi venticinque giorni dalla nostra partenza e le nostre famiglie ci attendevano con ansia. Ricordo di essere scesa dalla nave insieme ai miei compagni di viaggio e di averli salutati con la promessa di rivederci al più presto.
Subito dopo andai dalla mia famiglia che era emozio-nata nel rivedermi, ma in quel momento pensavo che non era stata proprio la vacanza rilassante che avevamo sognato.
Racconto scritto a sei mani dal collettivo vacanze: Letizia Barra, Edoardo Diana e Alessio Spinetti