Monte Cocchero è una selvaggia altura di 313 metri, facente parte del complesso collinare centro-meridionale dell'isola, culminante nel vicino monte Tambone. Il toponimo è molto interessante: deriva da un antico vernacolo elbano, col significato di cuccolo, ovvero cocuzzolo di un altura. Un altro toponimo Cocchero era presente nel campese, fino all'Ottocento e oggi decaduto, sulle pendici sopra Fetovaia. E molto probabilmente dalla stessa radice deriva anche il monte Bicocco, nella zona di Rio Albano.
L'interesse per il Cocchero della zona di Fonza è soprattutto archeologico. Cosa c'era davvero in questo angolo sperduto per quanto affascinante dell'isola?
L'attenzione per il sito si accende nel 1962, quando viene scoperto e studiato dall'archeologo Giorgio Monaco. La cima presenta molte coti di porfido granitico, alcune anche di discrete proporzioni, sparse in maniera caotica. Monaco però vi vide una certa disposizione a semicerchio e digradanti sulle pendici orientali per circa 50 metri. L'archeologo suppose che i monoliti, pur formatisi e disposti in maniera naturale, avessero subìto qualche modifica umana e soprattutto fossero stati utilizzati da antiche genti come luogo di culto.
In alcuni massi gli parve di ravvisare anche figure umane e animali. Ma questa cosa lascia perplessi, in quanto esaminando bene le linee di essi non appare alcuna traccia di forma scolpita o naturale delineante figure. È quindi molto probabile che Monaco fosse stato ingannato da pareidolia.
Siti megalitici cultuali sono segnalati all'Elba, ma per il momento sono attestati a un'area molto localizzata: il versante campese del massiccio del Capanne. Il più famoso è quello suggestivo dei Sassi Ritti, ma qualche indizio ha fatto ipotizzare che sorgessero anche nell'area di Pietra Murata, entrambe località in prossimità di San Piero. Per il resto dell'isola non esiste nessun'altra evidenza di siti di questo tipo.
Per quanto riguarda i rinvenimenti, Monaco trovò nell'area (in grotticelle) una macina per cereali, un macinello in pietra verde, ossa di animali (soprattutto maiali) e frammenti di ceramica attestati all'Età del Bronzo finale (1200-1000 a. C.). Che l'area fosse interessata da frequentazione umana antica è quindi certo. Dalla natura dei reperti sembra un insediamento dedito all'agricoltura, e forse all'allevamento e la pastorizia. E a qualche pratica rituale?
Proviamo a studiare il sito, come si presenta oggi. In realtà appare molto difficile, anche con l'aiuto di Google Earth, vedere una forma semicircolare dell'area. Inoltre le coti appaiono di diverse forme e sparse alla rinfusa, senza un apparente ordine o disposizione spaziale, come i monoliti di Sassi Ritti. Appaiono tutte di origine naturale, senza modifiche umane. Solo due sono le principali indiziate di un adattamento a menhir.
La prima si trova proprio sulla vetta: è un parallelepipedo irregolare, lungo 3,60 metri, con quattro lati piuttosto ben squadrati ma irregolari, dalla larghezza variabile dai 0,80 ai 1,10 metri circa. La base si presenta più massiccia, e la cuspide è piatta. È però difficile dire se le sue forme abbastanza regolari siano naturali o artificiali.
A poco meno di tre metri di distanza, a sud-est, si trova l'altro sospetto menhir. Lungo 4,80 metri, presenta lati dalla larghezza abbastanza regolare (circa 0,80 metri), ma fortemente irregolari nelle linee. La base è spezzata, a circa 80 centimetri di altezza, mentre la cuspide non è piatta. Questa cote si presenta come una formazione più naturale della precedente.
La cosa interessante è che entrambe sono abbattute verso nord-ovest: la prima con un'inclinazione di circa 45°, mentre la seconda molto di più, formando un angolo di 25-30° col suolo. È possibile che originariamente fossero entrambe erette, e in questo caso la cosa interessante è che le altezze delle cuspidi, considerando il dislivello tra le due basi, fossero quasi identiche.
La mole delle coti rappresenterebbe un'altra anomalia in confronto al sito di Sassi Ritti: mentre nella località sanpierese i monoliti sono di modeste dimensioni, rendendo quindi la realizzazione del complesso relativamente facile anche per un paio di individui; nel caso del Cocchero i sospetti menhir sono di dimensioni tali che l'erezione o la disposizione avrebbe dovuto impiegare la forza e l'organizzazione di più persone: un lavoro forse troppo ingente per una piccola comunità agricola.
Per il resto, solo sul lato ovest l'area presenta formazioni rocciose tondeggianti e a cuspide pressoché piatta, ma apparentemente del tutto naturali. Niente di molto diverso dalle caratteristiche di altre alture granitiche elbane. Gli altri versanti presentano modesti e normalissimi massi.
Il problema dell'area è però la manomissione che subì negli anni '30, quando fu realizzata la batteria militare, che prese il nome di Tivoli, di cui restano anche oggi le tracce, con diversi bunker e piazzole di tiro, anche in ottimo stato di conservazione. Infatti il crinale del Tambone era un'area strategica molto importante, essendo un punto di vigilanza sia sullo specchio marino a sud dell'Elba, sia perché a cavallo di due punti sensibili per uno sbarco nemico, quali le cale di Marina di Campo e Lacona, nonché i loro golfi e quello dello Stella, a sud, e di Procchio, a nord.
Forse, ma è tutto da dimostrare, i due presunti menhir furono abbattuti per esigenze difensive: potrebbero essere stati giudicati troppo appariscenti anche da lontano, attirando l'attenzione del nemico sull'altura, e quindi sulla sua postazione militare.
Purtroppo le foto dell'area sono tutte del dopoguerra: ci aiuterebbero immagini degli anni precedenti alla realizzazione della postazione militare, così da mostrarci il luogo come si presentava in origine. Immagini forse presenti in qualche archivio militare.
Allo stato attuale quindi l'ipotesi del buon Giorgio Monaco sull'esistenza di un luogo di culto antico sono suggestive ma non trovano prove solide.
Andrea Galassi