Nella Medicina moderna, il concetto di Comorbilità è molto complesso quanto significativo.
Il progresso medico ha permesso a molti soggetti, soprattutto anziani, di poter convivere con molte e concomitanti patologie croniche, spesso anche severe, ma ben controllate dagli evoluti trattamenti terapeutici. Chi fa il medico ha a che fare costantemente con tale tipologia di pazienti, che hanno sei, sette, dieci patologie croniche ed assumono 10-15 farmaci al giorno e, nonostante ciò, vivono bene.
Un esempio tipico, comunissimo, di paziente internistico è rappresentato da un paziente anziano affetto da scompenso cardiaco, fibrillazione atriale cronica, valvulopatia mitrale, ipertensione arteriosa con cardiopatia ipertensiva, broncopneumopatia cronica ostruttiva, insufficienza renale cronica, diabete mellito, vasculopatia cerebrale cronica, ipertrofia prostatica benigna (ebbene sì, tutto questo in un soggetto solo!) Questa persona, nonostante le patologie di cui è affetto, esce di casa, gioca con i nipoti, li accompagna a scuola, incontra gli amici, ama. Insomma, vive.
C’è un però. Il soggetto di questo tipo è un paziente fragile. Molto semplicemente, nella sua condizione di pluripatologia cronica, ha una fragilità di fondo che richiede un maggior livello di attenzione e quindi di prevenzione. Perché a volte basta una semplice infezione delle vie urinarie o una influenza virale per mettere in pericolo la propria esistenza. Per questo motivo, ad esempio, all’inizio della stagione, tali pazienti sono vaccinati contro il virus dell’influenza stagionale. Purtroppo, il coronavirus, è un virus decisamente più aggressivo di quelli della normale influenza stagionale. Per tale motivo noi abbiamo il dovere di proteggere il nostro prossimo fragile, con l’unico vero mezzo efficace a disposizione, la vaccinazione.
Questo concetto, che possiamo riassumere con il termine di comorbilità, è evidentemente ignorato da una vulgata incolta che, seguendo i vaneggiamenti di un editorialista de “Il Tempo”, ha interpretato (semmai l’abbia mai letto) in maniera ignorante, superficiale e forse anche in malafede, l’ultimo rapporto dell’IIS, sostenendo che solo 3.783 persone siano effettivamente morte a causa del coronavirus.
E’ chiaro che chi arriva a questa insensata conclusione, ha un tale analfabetismo, non solo medico, che ignora la possibilità che chiunque possa avere e convivere con una o più patologie croniche, come la grande maggioranza degli italiani.
La realtà (e sembra assurdo doverlo precisare) è che un alto numero di soggetti che si sono ammalati di patologia COVID-19 correlata, ha sviluppato complicazioni come insufficienza respiratoria acuta, danno polmonare, renale, cardiaco, che hanno portato al decesso, che non si sarebbe verificato in assenza del contagio, almeno in quel momento della propria vita.
E questa è la parte medica.
Ma la cosa più squallida è rappresentata dal ragionamento filosofico che c’è dietro questo assurdo postulato. Secondo il pensiero di questi novelli illuminati scienziati, viene di fatto giustificata la morte di chi, infettato dal virus, è obeso, presenta una fibrillazione atriale, una qualsiasi cardiopatia cronica, o magari è solo anziano. Come in una novella Sparta, i negazionisti giustificano un’ecatombe di 130.000 morti in Italia (e vari milioni nel mondo), perché sono morti per lo più i soggetti fragili. Perché tanto “dovevano morire…”.
Salvo poi correre dal dottore terrorizzati quando hanno “un dolore al pancino….”.
Gianluigi Palombi