Lo studio “On the origins and history of the red-legged partridge (Alectoris rufa) from Elba Island (Tuscan Archipelago, Italy)” appena pubblicato da Filippo Barbanera del dipartimento di biologia dell’università di Pisa su Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, Memorie Serie B, gli scenari tradizionalmente proposti circa l’origine della pernice rossa dell’Isola d’Elba (espansione demografica a seguito delle regressioni marine del tardo Pleistocene e/o introduzione storica ad opera del Granducato di Toscana) sono discussi unitamente ad una nuova ipotesi riguardante il coinvolgimento dell’uomo lungo rotte commerciali tra Corsica ed Italia peninsulare a partire dal tardo Medioevo (XIV-XV sec.). Nella pubblicazione sono estensivamente riportate numerose notizie inedite sulla storia della pernice rossa dell’Isola d’Elba e di altre isole dell’Arcipelago Toscano.
L’autore riassume in esclusiva per greenreport.it le origini e la storia della pernice elbana con informazioni
interessanti riguardo alla presenza della specie anche a Gorgona e Capraia, in un testo dove storia, arte e conservazione si incontrano.
Ecco cosa scrive:
La pernice rossa (Alectoris rufa, Galliformes, Foto di copertina) è una delle poche specie di uccelli endemiche dell’Europa sud-occidentale, il cui areale nativo di distribuzione si estende dalla Penisola Iberica attraverso la Francia centrale e meridionale fino all’Italia nord-occidentale e centrale (Baleari, Corsica, ed Arcipelago Toscano compresi). Nella penisola italiana, la popolazione di pernice rossa dell’Isola d’Elba è senza dubbio quella di maggior pregio naturalistico grazie alla sua ininterrotta presenza da almeno tre secoli (ma vedi più avanti), l’assenza di ripopolamenti nelle ultime decadi, e la capacità di autosostentamento. Tuttavia, non ci sono certezze in merito all’origine di questa importante risorsa ornitica e poche informazioni sono disponibili relativamente a gran parte della sua storia così come, più in generale, per le altre popolazioni della stessa specie nell’Arcipelago Toscano.
Al tempo dell’ultimo massimo glaciale (22.000 ± 2.000 anni fa), il livello del mare di fronte alla linea di costa della Toscana era più basso di circa 130 m rispetto a quello odierno, ed un ampio ponte di terra connetteva Capraia, Elba, Pianosa, e Giglio alla terraferma, con Gorgona e Montecristo che beneficiavano dello status di isola solo per alcuni chilometri (Figura 2). Pertanto, molte specie della fauna di allora, quali, ad esempio, cervo, capriolo, orso delle caverne, lepri, ippopotamo, lince, e probabilmente, almeno per Pianosa (Baccetti & Gotti 2016), la pernice rossa, ebbero l’opportunità di raggiungere via terra questo territorio proteso nel Mar Tirreno, come testimoniato dal ritrovamento di numerosi resti fossili di questi ed altri rappresentanti della fauna del Quaternario. D’altra parte, dopo il definitivo ripristino dell’insularità occorso 12.000 – 10.000 anni fa, la pernice rossa, una specie non dotata di spiccata capacità di volo, difficilmente avrebbe potuto coprire la distanza (attualmente, c. 10 Km) che separa l’Elba dalla Toscana continentale. Tuttavia, nemmeno un evento del genere può essere del tutto escluso, in quanto la specie è capace di spostamenti terrestri lunghi fino ad un massimo di 65 Km, con l’attraversamento del Canale della Manica (28 Km) sospettato in alcuni casi.
Quando si pensa all’origine delle popolazioni di pernice rossa dell’Arcipelago Toscano (anche) l’ipotesi di un coinvolgimento del Granducato di Toscana, una monarchia esistita in Italia centrale dal 1569 al 1859 (con interruzioni), non può essere affatto esclusa. Anzi, è stato questo certamente il caso di Gorgona dove tra il 1785 ed il 1793 fu allestito un importante allevamento di pernici rosse e fagiani (Errico & Montanelli 2021), come si evince dalla lettera spedita da Franco Maria Gianni, uno dei più stretti collaboratori del Gran Duca Pietro Leopoldo, al governatore civile e militare di Livorno (Archivio di Stato di Livorno, Governo civile e militare di Livorno, inv. n. 31, Lettera del 27 novembre 1785). Tramite il regolare collegamento tra l’Isola di Gorgona e Firenze assicurato dal viaggio del così detto “procaccino”, l’allevamento garantiva un continuo e soddisfacente apporto di selvaggina alle mense del Gran Duca. Viceversa, resta del tutto ignota l’origine della pernice rossa a Capraia, benché a quest’isola appartenga il record di più antica presenza della specie nell’intero Arcipelago Toscano. Infatti, Riparbelli (1973) riporta come nei primissimi anni del 1700 il commissario – a quel tempo l’isola era sotto il governo della Repubblica di Genova nel ‘Regno di Corsica e Capraia’ – e il curato dell’isola fossero soliti andare insieme a caccia di pernici rosse. Sebbene non siano disponibili informazioni riguardo all’origine di questi animali, la presenza della pernice rossa a Capraia è registrata con sufficiente continuità almeno fino alla fine del 1920 (Brizi 2005), prima di una lunga interruzione nella documentazione fino alle recenti immissioni condotte negli anni ’90. Per quanto riguarda Montecristo, infine, un’isola appartenuta al Granducato di Toscana nella prima metà del’800, la presenza della pernice rossa nel XIX sec., ricordata, tra gli altri, da D’Albertis, Giglioli, Salvadori e Arrigoni degli Oddi, è anch’essa probabilmente dovuta a un’introduzione storica (seppur mai provata). La pernice rossa è quindi riapparsa a Montecristo nella seconda metà del XX sec. a seguito di una traslocazione ben più recente e presto fallita a causa della competizione con l’esotica congenerica coturnice orientale (Alectoris chukar), specie che ha beneficiato di un adattamento decisamente migliore all’ambiente roccioso e montuoso di quest’isola (Barbanera et al. 2007).
Nella società occidentale le pernici del genere Alectoris sono state sovente protagoniste assieme all’uomo negli scritti di alcuni dei più illustri autori antichi greci e latini, nonché raffigurate in molti affreschi, dipinti e mosaici di grande pregio artistico. Dall’Età del Bronzo fino al XVI sec., le pernici hanno costituito non solo una risorsa per la caccia e l’allevamento, ma sono state anche apprezzati animali da compagnia, alla base di ricercate ricette gastronomiche, sorgenti per preparati di medicina preventiva e perfino protagonisti di miti. Le prime forme di allevamento di questi ed altri uccelli compaiono in Grecia già nel V sec. a.C., ma è con i Romani che il commercio prende piede in maniera vigorosa. D’altra parte, da migliaia di anni le pernici sono un ottimo esempio di selvaggina intensamente gestita da parte dell’uomo ed intenzionalmente introdotta su molte isole del Mediterraneo, come nel caso della pernice berbera (A. barbara) dal Nord Africa in Sardegna (verosimilmente proprio ad opera dei Romani) o della stessa pernice rossa dall’Europa continentale in Corsica (VI sec. d.C.).
Con il fiorire delle attività commerciali a partire dal XIII sec. la Corsica intratteneva la maggior parte dei suoi scambi con la terraferma e le isole della Toscana. Petri Cyrnaei, presbitero e cronista còrso, nel suo saggio del 1506 intitolato ‘Rebus Corsicis‘, stampato per la prima volta in italiano a Parigi (Di Cirneo 1834), fornisce un quadro dettagliato dell’isola francese. Dalla Corsica erano trasportate via mare verso le isole adiacenti e la terraferma italiana e francese, tra molti altri beni naturali, foglie di mirto, pesce salato, pelli, cavalli, castagne, mele, cera, fichi, olio, sale, vino, orzo, corallo rosso, legname, grano, seta, e pernici rosse. La Corsica esportava un numero elevato di prodotti agricoli e selvaggina, molto ricercati in quanto venduti ai prezzi più bassi dell’epoca. Le importazioni, viceversa, erano limitate al solo ferro, che proveniva direttamente dalle vene della vicina Elba. Il commercio era favorito dai numerosi porti e scali lungo l’isola francese (Centuri, Macinaggio, e Bastia, tra gli altri, per il solo Capo Corso) e dal facile viaggio verso la vicina costa elbana e toscana. D’altra parte, sin dal III sec. a.C. i còrsi avevano colonizzato la costa orientale dell’Elba, con dati toponomastici, etnologici e linguistici che indicano l’esistenza di una vera e propria comunità còrso-elbana. È interessante notare che la selvaggina era esportata dalla Corsica come carne da consumo e/o dono (esemplari vivi) per i principi italiani.
Tra il XIII e il XVIII sec. i mercanti della Corsica erano soliti navigare a vista su piccole imbarcazioni come, ad esempio, le feluche. Quelle dirette al porto di Livorno, data la vicinanza delle isole dell’Arcipelago Toscano, riparavano facilmente a terra in caso di maltempo o facevano scalo all’Elba per rifornirsi di acqua e cibo. Peraltro, lo stretto legame tra Corsica ed Elba all’inizio del XV sec. è anche testimoniato dalla presenza di numerosi carpentieri originari dell’isola toscana impegnati nella costruzione di imbarcazioni nei porti della Corsica. Il commercio si mantenne particolarmente fiorente nel Capo Corso e nella regione di Bastia sia nel XV che nel XVI sec., e gli abitanti godettero di molta ricchezza con relativamente pochi sforzi così come testimoniato da cronisti quali, ad esempio, Agostino Giustiniani (1470-1546), vescovo di Nebbio, autore degli ‘Annali genovesi‘ dal 1100 al 1528 e di una descrizione dell’isola di Corsica. La selvaggina continuò ad essere straordinariamente abbondante ed esportata soprattutto a Genova, Firenze, Pisa, Livorno, e Roma. Ad esempio, nel XVII sec., nel feudo genovese di Migliacciaro dove le pernici rosse erano molto abbondanti, il commercio di selvaggina e bestiame attraverso il vicino porto di Aleria era ancora molto intenso. Ancora nel XVIII sec., durante il regno di Luigi XIV, le pernici rosse erano catturate in inverno con le reti e spedite dalla Corsica in molte città dell’Italia continentale. In merito agli stretti rapporti con la Francia e la Corsica in particolare, deve essere peraltro ricordato che a partire dal 1802 l’Elba faceva parte del Dipartimento francese del Golo (esistito dal 1793 al 1811), un territorio amministrato dalla città di Bastia ed in gran parte corrispondente all’attuale Haute Corse. In conclusione, sebbene non vi siano prove precise a riguardo, il commercio di esemplari di pernice rossa dalla Corsica verso l’Elba a partire dal tardo Medioevo non può essere considerato un’evenienza improbabile.
Diversamente da quanto ritenuto fino ad oggi, la più antica testimonianza della presenza di Alectoris rufa all’Isola d’Elba non è da ritenersi quella fornita dal viaggiatore Thiebaut de Berneaud (1808), bensì l’opera Encyclopédie méthodique, ou par ordre de matières dell’editore francese Panckoucke (De Vaugondy & De Morvilliers 1782). Pochi anni dopo, peraltro, la specie compare anche nello scritto ‘Memorie antiche e moderne dell’Isola dell’Elba’ di Stefano Lambardi (1791), la prima testimonianza in italiano, dove l’autore segnala le pernici rosse nei pressi di Rio nell’Elba nel versante orientale dell’isola. Da allora, sono seguite continue e precise segnalazioni della specie, tra le altre, quelle relative alla caccia a cavallo di Napoleone Bonaparte a Capo Stella (1814-1815). Tuttavia, dopo un secolo di relativa abbondanza, puntualmente testimoniata in numerose opere di illustri ornitologi e viaggiatori italiani del XIX sec. (cf. quanto sopra ricordato per Montecristo), la pernice rossa elbana ha conosciuto un rimarchevole declino demografico alla fine degli anni’20 del secolo successivo a causa di una forte pressione venatoria. Conseguentemente, nel 1934, per la prima volta la specie è stata esclusa dalla lista di quelle cacciabili, una misura che ha preceduto ulteriori richieste (e.g., modifiche del calendario venatorio) avanzate dai Consigli delle Sezioni Cacciatori di Campo nell’Elba, Portoferraio, e Rio Marina alla Commissione Venatoria di Livorno volte ad evitare la sua totale distruzione sull’isola (Venatoria ufficiale della Federazione nazionale fascista cacciatori italiani, delle Commissioni venatorie provinciali e delle Associazioni provinciali cacciatori, VII, n. 10, 11 marzo 1937, Roma). Dopo la Seconda Guerra Mondiale, infine, la pernice è stata oggetto di estese pratiche di ripopolamento che hanno contemplato perfino l’uso scriteriato di soggetti originari della Penisola Iberica e/o ibridi con l’esotica coturnice orientale (A. chukar) (Forcina et al. 2020). Mentre le immissioni faunistiche sono cessate intorno alla metà degli anni ’90, solo nel 2003 il divieto di caccia alla pernice rossa è stato esteso all’intero territorio elbano.
In conclusione, testi antichi che risalgono ad un periodo compreso tra gli inizi del XVI e la fine del XVIII sec., unitamente ai sorprendenti risultati della prima indagine genomica sulla pernice rossa moderna attraverso l’intero areale della specie (Forcina et al. 2021), ricerca di cui Greenreport ha riferito qui (https://greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/nuova-vita-per-la-pernice-rossa-allisola-delba/), candidano la Corsica come una possibile sorgente per l’origine della popolazione elbana. In assenza di prove storiche certe, la verosimiglianza del quadro sopra descritto sarà testata tramite indagini rese adesso possibili grazie al recente sequenziamento del primo genoma in assoluto per le pernici del genere Alectoris (Chattopadhyay et al. 2021), proprio quello di una pernice rossa del massiccio del Mt. Capanne, ricerca a cui ha significativamente contribuito il Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa (https://www.unipi.it/index.php/news/item/22101-la-genomica-in-difesa-della-pernice-rossa-all-isola-d-elba-la-popolazione-geneticamente-piu-integra-d-italia). Quest’ultimo si occupa da oltre 20 anni della specie in oggetto e non appena possibile renderà disponibili nuovi dati sulla struttura genetica spaziale della popolazione elbana raccolti nell’ambito di uno studio condotto grazie al supporto finanziario della Fondazione Isola d’Elba (https://www.fondazioneisoladelba.it/).
Filippo Barbanera
Professore Associato in zoologia,
Dipartimento di Biologia, Università di Pisa
https://people.unipi.it/filippo_barbanera/
Riferimenti bibliografici su greenreport.it