È il primo pomeriggio di domenica e sto percorrendo uno dei più bei sentieri sulle pendici meridionali del Monte Capanne. La scelta dell'itinerario era stata fatta in base alla posizione a ridosso dalla fresca tramontana che ha soffiato lo scorso fine settimana e dalla bella posizione al sole del percorso.
La giornata è splendida e la natura dopo i due acquazzoni dei giorni precedenti si è risvegliata al sole autunnale: la pioggia ha colorato di verde i pendii della montagna e le eriche si sono riprese dalla lunga estivazione sofferta nel periodo più caldo. Primavera e autunno sono i momenti più belli per la macchia mediterranea, quando dà il meglio di sé, nonostante ora non ci siano i fiori della bella stagione.
Il panorama è incantevole e l'aria è tersa, per la pioggia caduta e per il vento da nord. Si vedono perfettamente le terre meridionali dell'Arcipelago Toscano: a sud-est il Giglio con le sue due alture maggiori che ricordano le gobbe di un cammello, a sud è il cono di granito di Montecristo, mentre leggermente a sud-ovest, molto vicina è la piatta Pianosa. A ovest, più lontano si staglia tutto il profilo montuoso della Corsica, con il massiccio del Monte Cinto, il picco più isolato del Monte d'Oro, fino a scendere di altitudine a sud verso gli Aghi di Bavella, per poi abbassarsi ancora più a meridione.
La via corre lungo gli antichi terrazzamenti, realizzati con i muretti a secco, in un corridoio di eriche, quando ad un certo punto un varco si apre sul lato di meridione lasciando entrare il sole a colpire le pietre di granito che formano un muricciolo. Avverto i caldi raggi che rinfrancano dai primi freddi di stagione e penso che sia proprio il luogo idoneo per la fauna locale per godere di questo clima ancora mite. Dopo aver incontrato un piccolo e innocuo colubro liscio (Coronella austrica) più avanti l'occhio cade su una forma che potrebbe mimetizzarsi perfettamente nel terreno a uno sguardo distratto. Il colore è quello della vegetazione ormai appassita che giace sul suolo ma ad un occhio più attento appaiono delle linee più ordinate rispetto alla disposizione casuale dell'erba secca. Metto meglio a fuoco e vedo la testa, l'occhio e il becco: si tratta di un un uccello di dimensioni medio - piccole che se ne sta acquattato ai piedi del muretto a secco, ben al sole. Per non spaventarlo passo leggermente oltre e impugno la macchina fotografica per documentarlo, scattando alcune immagini. Cerco di non disturbare l'animale che sembra essersi collocato in una posizione assolata, riposandosi, magari dopo un lungo viaggio di migrazione. Penso anche a qualche problema che possa avere il volatile: non sarebbe la prima volta che incontro animali feriti e impallinati. Ricordo ancora un tordo sassello raccolto impallinato sulla spiaggia di Punta Rossa, che avevamo cercato di curare. Penso anche a uno sparviere recuperato dopo essermi infilato nella fitta macchia - fu un'avventura, fra rovi e ramaglie! - di Fonza con dei pallini in un'ala, rapace trasportato nello zaino dopo averne tolto il contenuto e poi consegnato agli agenti del Corpo Forestale per la spedizione al centro di recupero: il piccolo falco avrebbe poi spiccato nuovamente il volo.
Questa volta la situazione sembra diversa e penso a un animale che sfrutta le sue doti di mimetismo per riposarsi a terra e, anche se mi rimane qualche dubbio di un eventuale problema fisico, decido di non intervenire e disturbarne il riposo, proseguendo nel cammino.
Solo dopo aver inviato la foto all'esperto Giorgio Paesani che mi ha confermato la specie, un Frullino, con le sue abitudini mimetiche e terrestri, ho finalmente tirato un sospiro di sollievo per non aver abbandonato un esemplare in difficoltà e non aver interrotto quell'incantesimo di tranquillità.
Antonello Marchese
Guida ambientale e turistica. Guida ufficiale del Parco Nazionale Arcipelago Toscano. Fotografo di Natura. Promotore dell’azione Elba Foto Natura, nell’ambito dei progetti della Carta Europea per il Turismo Sostenibile per il Parco Nazionale Arcipelago Toscano
Il Frullino, il cavallino che corre su un lago ghiacciato
“Lymnocryptes minimus, ovvero quando il nome scientifico in due parole descrive perfettamente una specie. Colui che si nasconde nelle zone fangose ed è veramente il più piccolino. E in effetti il Frullino è il più piccolo degli scolopacidi europei, poco più grande e pesante di un passero. Minuscolo. Da noi arriva all’inizio dell’autunno, in segreto, la notte. Durante la migrazione sosta dove capita ma sempre in mezzo alla vegetazione folta, meglio in prati umidi, marcite, paludi, canneti con “chiari”, anche minuscoli. Sulle nostre isole si ferma durante il viaggio e, forse, sverna nelle pochissime zone umide a disposizione. Censirne i contingenti svernanti con una minima accuratezza significherebbe dover percorrere a piedi, palmo a palmo, ogni stagno, prateria umida, canneto, fragmiteto, salicornieto.
Un’operazione impattante che non varrebbe certo la pena, visto che darebbe solo informazioni parziali.
Si, perché il Frullino, come ha potuto sperimentare Antonello Marchese, si fida così tanto delle sue minuscole dimensioni e del piumaggio mimetico da non fuggire se non un secondo prima di essere calpestato! Gli passi accanto, gli posi il piede a venti centimetri e resta lì, il becco lungo e dritto nascosto tra la vegetazione, le zampe corte cariche a molla sotto il ventre, gli occhi spalancati.
Viene da lontano, il piccolo Frullino, dalle aree umide incastonate nella Taiga, dalle paludi scandinave e dalla Tundra. Luoghi spesso piatti e senza nascondigli se non la vegetazione. Dove se voli ti possono piombare addosso il Lodolaio o il Falco pellegrino in un secondo, o magari il Falco di palude ti compare sopra e non fai in tempo neanche a saltare. E se non ti muovi con cautela e non tieni gli occhi bene aperti da quel ciuffo di canne può materializzarsi un terrificante Tarabuso che ti fiocina e ti ingoia in un attimo. Meglio far di tutto non farsi vedere e sperare che funzioni!
Un piccolo uccelletto di palude silenzioso e insignificante, quindi? Niente di più lontano dal vero!
Già è un miracolo vederlo, ma se per caso riusciste a scorgerlo in movimento restereste a bocca aperta! Cammina tra le piante ondeggiando! Piegandosi continuamente sulle zampe in modo ipnotico e un po’ buffo. La testa “rompe il ritmo” solo se c’è qualcosa da osservare, per il resto segue l’ondulante balletto mentre spinge il becco nel fango in cerca di invertebrati. Se lo riesci a vedere bene, poi, resti, di nuovo, a bocca aperta, per la splendida livrea! Strisce di verde cangiante quasi contenute da due coppie di lunge linee gialle! Ma...non era mimetico?
Tanto silenzioso in svernamento, è vero (sentirlo emettere un verso è un’altra botta di fortuna), quanto “rumoroso” in riproduzione.
Il nostro piccolo limicolo, infatti, come altri della sua famiglia, gli Scolopacidi (la stessa della Beccaccia e del Beccaccino), non si risparmia in termini di canto territoriale e parate in volo! Ed eccolo, nelle notti del Grande Nord volare, salire, iniziare a scendere e…galoppare!
Il “canto” o, meglio, il “drumming” del Frullino è una delle incredibili meraviglie di questo pianeta. Un suono ritmico, sordo, lontano quando il “cantante” si avvicina e vicino quando va via (non chiedetemi come fa!), difficile da definire. La più bella descrizione che ho mai sentito lo racconta come “il galoppo di un cavallino che corre su un lago ghiacciato”. Per via della miriade di suoni fruscianti, elettrici e scricchiolanti che punteggiano e riempiono la parte ritmica!
Pare che presso alcuni popoli nordici sia nato il “mito” di un cavallo volante proprio ascoltando il canto del Frullino e il drumming del Beccaccino nelle notti di primavera. Una sorta di minuscolo Pegaso boreale che ci viene a trovare ogni anno, portando un messaggio silenzioso da posti lontani, dal mondo reale dove conta la vita, il volo, il canto e in cui confini e conflitti sono solo una follia suicida inventata dalle scimmie nude, la sotto.
Giorgio Paesani
Ornitologo