Nell'ultima intervista a Furio Colombo, poche ore prima della tragica morte, Pier Paolo Pasolini marchiò una delle sue lucide analisi sulla società italiana con la frase “Siamo tutti in pericolo”. L'intellettuale comunista vedeva la violenza di molti episodi di cronaca nera come figlia di un modello consumistico, una sorta di nuovo fascismo, che stava incancrenendo la società.
Credo che oggi quel “Siamo tutti in pericolo” dovremmo attualizzarlo a una minaccia ancora più grossa: la crisi climatica. Considerando che gli eventi meteorologici estremi stanno crescendo in maniera preoccupante. E noi viviamo su un territorio fragile. Ma la sostanza del discorso pasoliniano non cambia: è il modello consumistico, questa volta applicato al territorio e le sue risorse, che si è rivelato drammaticamente tossico.
Per avere un'esatta valutazione del pericolo, partiamo subito dai dati. Secondo la piattaforma italiana sul dissesto idrogeologico di Idrogeo/Ispra (https://idrogeo.isprambiente.it/app/), in Italia la popolazione a rischio per frane è di 1,3 milioni di abitanti, quella per alluvioni di ben 6,8 milioni.
Se scendiamo nello specifico dell'Elba, alcuni dati fanno rabbrividire. Per quanto riguarda il rischio frane i più in pericolo sono i riesi: ben 1336 abitanti, poco meno del 40% della popolazione. Anche Marciana Marina ha dati significativi: 642 abitanti a rischio (32% del totale). Marciana ne ha 311, ovvero 14%. E stiamo parlando di persone solo in fascia elevata o molto elevata di rischio.
Ma è il rischio alluvioni che è altissimo: Campo nell'Elba con 2265 abitanti (quasi la metà), Marciana Marina con 1179 (ben il 60%) Porto Azzurro con 1392 (36%), Rio con 897 (26%), Portoferraio con 1365 (circa il 12%), Capoliveri con 351 (circa il 10%) e Marciana con 241 (11%). Anche in questo caso sono tutti in fascia media o elevata di rischio. Se consideriamo anche la fascia di rischio bassa la popolazione di Marciana Marina sale al 77%, quella di Campo al 58%, quella di Portoferraio a 52%.
Ma i dati Idrogeo analizzano un aspetto parziale del problema, in quanto conteggiano i residenti. Purtroppo la situazione si complica se consideriamo che per 5/6 mesi l'anno quasi tutte le aree a rischio sono in piena stagione turistica. Un evento estremo in luglio o agosto non mette a rischio solo poche decine o centinaia di residenti, ma migliaia (se non decine di migliaia) di persone.
La questione è talmente seria che impone un approccio tecnico e scientifico altrettanto serio, che io non ho le competenze per dare. Posso solo sottolineare che è impegno morale della politica analizzare tutte le aree e le situazioni a rischio, e prendere le massime cautele. Purtroppo, come vedremo nel prosieguo del capitolo, alcune scelte e contingenze storiche hanno portato molte aree, soprattutto col boom turistico, a un degrado drammatico del suolo e delle acque. Temo che per metterle in sicurezza occorrerà una cura da cavallo, quindi molto impopolare. Proprio per questa ragione non ho fiducia che la politica (soprattutto l'attuale politica elbana, quasi esclusivamente legata a interessi elettoralistici) cambi paradigma.
Ma una cosa la posso fare: analizzare la questione sotto l'aspetto storico per capire come nasce questa situazione a rischio. Perché gli elbani, per così dire, hanno tolto la spoletta a una bomba idrogeologica, e continuano a tenerla in mano, fischiettando allegramente.
Partiamo da una domanda: l'Elba è sempre stato un territorio fragile o lo è diventato solo dopo il boom turistico? La storia ci dà una risposta inequivocabile: lo è sempre stato. Ma anche in questo caso esiste un prima e un dopo.
Per secoli gli elbani hanno modificato il paesaggio dell'isola, talvolta con pesanti dissesti del suolo. Ma lo hanno fatto per una mera ragione di sopravvivenza. La questione era semplice: o si strappava terra per tirarci fuori pane e mezzi per il sostentamento, o si moriva di fame. Allo stesso tempo però esisteva un rapporto culturale con l'ambiente, oggi perso. Gli elbani del passato vivevano nei e per i campi, i boschi, i fossi, le cave, le macchie e i pascoli, quasi tutto il giorno e tutti i giorni. Praticamente tutta la vita. E questo significava accettarne le regole, comprendere che perdere o trattare con dissennatezza il proprio ambiente rappresentava un danno vitale. E viverlo così profondamente significava anche conoscerne i rischi. E quindi sapere che sfidare troppo quell'ambiente poteva essere pericoloso.
Con il boom turistico, in modo fulmineo, i nuovi elbani hanno cambiato paradigma. È avvenuto un autentico genocidio culturale, che ha fatto loro perdere totalmente quel senso o rapporto ancestrale con il territorio. Che è stato trasformato in oggetto da manipolare come nulla fosse, da sacrificare ai più rapaci profitti. Trascurando un infimo particolare: il suolo e l'acqua non accettano tanto facilmente di farsi addomesticare da una nullità come Homo sapiens.
Nella seconda parte del capitolo analizzeremo i fattori storici, sostanzialmente quattro, che hanno modellato il paesaggio dell'Elba.
Andrea Galassi