Tomaso Montanari, uno dei più acuti intellettuali che abbiamo oggi in Italia, scrive, duramente ma con tutte le ragioni: “sigillare anche solo un metro quadro di suolo è un crimine contro l'umanità”.
(https://emergenzacultura.org/2022/08/02/leredita-del-governo-draghi-e-ancora-consumo-di-suolo/)
In questo capitolo vedremo, dati alla mano, che di metri quadri sigillati spesso senza alcuna utilità abitativa o economica ce ne sono stati a centinaia di migliaia, anche nel giro di pochissimi anni. E ancora oggi la cosa continua come nulla fosse. Inoltre vedremo che se, per gli altri problemi visti finora, sono pesate anche una cattiva programmazione e una scarsa lungimiranza, in questo caso non ci sono giustificazioni: si è perseguita una logica politica tossica ben precisa. E si sta perseguendo ancora. E se crimine contro l'umanità è, si dica senza infingimenti: questo capitolo sarà una metaforica Norimberga alle attuali politiche comunali, responsabili di distruzione di risorse in faccia alle generazioni future.
La questione principale ovviamente è costituita dai volumi edilizi. Occorre dire che l'incremento cementizio non è figlio del solo boom turistico. Ma parte almeno dall'Ottocento. Ma è indubbio che l'impennata e la totale mancanza di percezione del problema è da addebitarsi ad anni recenti.
I primi problemi connessi alle costruzioni si hanno con l'ingrandimento urbanistico di alcuni centri, quelli rivieraschi. Nel corso del XIX secolo le marine hanno una fioritura economica e quindi demografica. Il mare non presenta più i rischi legati alla pirateria e le invasioni, e diventa sempre più una risorsa per gli elbani. Molti di essi, per curare le attività a esso connesse, lasciano i borghi collinari e si stabiliscono alle marine. Sono persone in gran parte poco acculturate, ma una cosa la sanno bene: quei fondovalle dove costruiscono la casa sono di natura alluvionale, formati da fossi che conoscono. Sanno quali danni possono fare. E quindi le case vanno costruite con giudizio.
La regola è semplice: si costruisce sul lato opposto della foce del fosso principale, lungo le prime pendici, al massimo lungo la spiaggia, ma mai e poi mai vicino alla foce e nei campi adiacenti, dove l'acqua stagna. Qui al massimo si bonifica, si coltiva la terra e si costruiscono magazzini agricoli. La regola è seguita ovunque. Longone: il paese nasce sul lato nord, il fosso del Botro sfocia sul lato sud; Marciana Marina: il quartiere storico del Cotone nasce a est, l'uviale di Marciana sfocia a ovest; Rio Marina: il borgo storico del Sasso sorge a nord, il fosso di Riale sfocia a sud; Marina di Campo: il paese antico nasce a ovest, mentre a est si lascia terra libera a fossi e acquitrini.
Ma i paesi di mare sono in costante espansione, la loro popolazione già alla fine dell'Ottocento supera i mille abitanti, surclassando quella dei paesi collinari. E così, durante il Novecento, l'urbanizzazione interessa tutto lo spazio della piana. Si costruisce sui terreni degli orti. Ma soprattutto ci si avvicina pericolosamente agli argini dei fossi.
Ma è nel dopoguerra che si fa molto peggio. Gli argini addirittura spariscono e gli alvei si strettiscono. A Porto Azzurro si intomba addirittura le ultime decine di metri del fosso del Botro, lasciando un misero pertugio di sbocco sulla spiaggia della Rossa. A Rio Marina si ha perfino la geniale idea di usare l'alveo come parcheggio, cementando il fondo. A Marina di Campo l'urbanizzazione è caotica, non viene fatta alcuna zonizzazione di quella che è una piana alluvionale bonificata, fino a pochi decenni prima paludosa. I fossi non fanno più paura. Non si è imparato nulla dalla lezione dell'alluvione di Marciana Marina del 1899.
Negli anni del boom turistico i nuovi elbani fanno di peggio. L'urbanizzazione adesso riguarda anche molte spiagge. Nonostante anch'esse e le loro piane retrostanti siano di natura alluvionale. Fino agli anni '50 le aree erano quasi esclusivamente agricole. Le poche costruzioni che si vedevano erano umili magazzini rurali, e poco altro.
Ormai corrotti da una logica di turismo rapace, si costruiscono veri e propri centri urbani nei retrospiagge. In quasi ogni località la superficie edilizia lievita proporzionalmente dalle centinaia alle decine di migliaia di volte in più, nel giro di appena venti o trent'anni. Facciamo degli esempi andando in ordine sparso, dato che il fenomeno ha riguardato pressoché ogni plaga, e basandoci sui dati Istat. A Morcone sono censiti 104 edifici, tutti costruiti nel dopoguerra, e 52 residenti.
A Lido si contano 88 edifici, tutti costruiti nel dopoguerra, e 126 residenti. A Naregno 40 edifici, di cui solo due costruiti prima della guerra, e 57 residenti. A Fetovaia 62 edifici, solo uno costruito prima della guerra, e 39 residenti. A Scaglieri 94 edifici, nessuno costruito prima della guerra, e 80 residenti.
Anche se questi dati vanno presi con cautela per diverse ragioni e fotografano solo parzialmente le varie situazioni, sono comunque un quadro che fa riflettere. Anzitutto il fatto che in alcune località c'è un rapporto incredibilmente sbilanciato di un residente per due edifici. Oltretutto considerando che molti edifici sono alberghi o residences, quindi di centinaia di metri quadri: il rapporto superficie cementata per residente appare abnorme se paragonato a quello dei centri urbani. Inoltre la forbice si allarga quando si pensa che molti sono residenti solo sulla carta, ma in realtà domiciliati altrove. E questa situazione va moltiplicata per una cinquantina, quante sono le località turistiche costiere sparse lungo la costa elbana.
Ad ulteriore dimostrazione di quanto si sia costruito nelle località balneari basterebbe poi fare un altro “gioco”: comparare la mappa catastale ottocentesca con le carte tecniche attuali. Si può fare con ogni località sul sito http://www502.regione.toscana.it/searcherlite/retore_start.jsp.
A mo' di esempio nella figura posta in calce all'articolo si vede il caso di Morcone. Abbiamo così la dimostrazione di volumi di cemento notevoli che occupano interamente i fondovalle e le pendici adiacenti, con i rischi idrogeologici già visti. Un consumo di suolo irreparabile, di quasi esclusiva funzione turistica. E quindi al servizio di 5/6 mesi l'anno, e totalmente improduttivo i restanti. Di pochissima utilità abitativa, dato che le strutture non ricettive sono perlopiù seconde case, e solo in percentuale minima abitate tutto l'anno.
Il consumo del suolo non riguarda solamente l'aspetto della superficie persa in maniera pressoché permanente, ma altre problematiche, che vedremo nel dettaglio nella seconda parte. Una di esse, per quanto sembri paradossale, rappresenta un problema anche per il mare.
Andrea Galassi