Se nel precedente capitolo abbiamo visto quanto fallace sia l'alibi dell'esigenza abitativa, qui analizzeremo l'altro forse ancora più duro a morire. Quello che tira in ballo l'aumento del numero di turisti, che rende quindi necessario creare strutture per soddisfare la domanda crescente. Ed è ancora più sorprendentemente falso.
Ogni tanto mi tocca sentire l'accusa: “Allora, secondo te, dovremmo tornare agli anni di prima del turismo, quando si moriva di fame!” Mi sono anche un po' stufato di rispondere a queste fesserie, basate su cose che non ho mai scritto. Ma rivendico fermamente il rigetto per le tesi che giustificano tutto in nome del turismo, spacciando per progresso quello che è stato semplice sviluppo. Tesi che fa molta presa tra gli elbani, andando quindi ad alimentare le disastrose politiche degli amministratori. Che, non dimentichiamolo, sono espressione della società, non marziani.
Se perdiamo di vista questo aspetto non risolveremo un problema che sia uno. È confortevole e autoassolutorio pensare che siamo governati da una casta (o come si scrive oggi “kasta”) antropologicamente diversa da noi. Invece la pochezza culturale degli amministratori è la stessa della maggioranza di noi che li elegge.
Analizziamo la questione turistica con attenzione. Se stilassimo un grafico coi dati ufficiali, prima dell'Eve (Ente valorizzazione Elba) e poi dell'Apt (Azienda di promozione turistica), vedremmo che le presenze turistiche sono in costante aumento dagli anni '50 agli anni '80. Nel 1952 i turisti superano i 200mila. In un trentennio la crescita è vertiginosa. Appena nel 1970 viene sfondata quota un milione. Addirittura per toccare i due milioni basta aspettare la fine del decennio.
Il boom non si arresta, e anche il decennio successivo si prospetta aureo: nel 1988 viene staccato un altro record, con due milioni e 800mila presenze. Ormai quota tre milioni è lì, a portata di mano. E se il flusso si mantiene costante alla fine del secolo si può sperare di superare i cinque milioni. E invece...
E invece alla fine degli anni '80 si registra una frenata. Per la prima volta il grafico tende verso il basso. Leggermente, certo. Ma è l'inizio di una linea altalenante. Sul finire degli anni '90 si assiste a una risalita, sfondando quota tre milioni. Ma è una crescita effimera, perché nel 2007 l'asticella scende ancora. Da allora fino a oggi è una linea più verso il basso che verso l'alto. Negli ultimi 15 anni il numero di turisti oscilla in una forbice che va dai 2,4 ai 2,9 milioni di presenze. Almeno i numeri ufficiali. Ma andiamo con ordine.
In un report (https://www.infoelba.com/allegati/CETS/rapporto_diagnostico.pdf) del parco nazionale dell'Arcipelago toscano si legge (pag. 14): “Considerando le sole località della provincia di Livorno, l’Arcipelago ha raggiunto i massimi in termini di presenze alla fine degli anni ‘90 e i primi del 2000. Successivamente, a differenza delle altre aree della Provincia di Livorno ha perduto consistenti quote di turisti. Il primo segnale di ripresa si ha nel 2013, ma i livelli antecedenti sono lontani”.
A questo punto è evidente che se da trent'anni il flusso turistico si è pressoché stabilizzato, non c'era alcuna necessità di proseguire una smodata politica cementizia a uso ricettivo. Caduto l'alibi dell'esigenza abitativa, cade dunque anche quello della accresciuta domanda turistica.
Oltretutto i dati mostrano che il picco delle presenze è ad agosto, e neanche per tutto il mese. Cioè un numero di strutture giustificato per appena 2/3 settimane l'anno. E comunque con una percentuale di occupazione di posti letto che si avvicina al 90%, ma raramente lo supera. Decisamente sovrastrutturato per 11 mesi l'anno.
Anche un mese di altissima stagione, come luglio, presenta una percentuale di occupazione sopra l'80%, ma raramente sopra l'85%. A giugno e settembre però i posti letto occupati scendono già sotto il 70%. Complessivamente un tasso di occupazione superiore al 50% avviene solo dalla fine di maggio alla metà di settembre, pur tra picchi sia verso il basso che verso l'alto. E stiamo parlando di percentuali rilevate in stagioni turistiche decisamente positive.
Finora abbiamo parlato dei dati ufficiali. Ma dobbiamo analizzare un altro fattore importantissimo: il mercato sommerso. Un'econonia parallela, e in parte illegale, poco studiata, e di cui quindi non si conosce l'esatta consistenza. Tuttavia ci viene in aiuto il suddetto report del parco nazionale (pag. 25): “Alle presenze ufficialmente registrate si devono poi aggiungere quelle delle seconde case, numero difficile da misurare ma che rappresenta una dimensione molto rilevante.
Dai dati relativi alla tassa di sbarco, risulta che nel 2014 solo all’Isola d’Elba siano sbarcati poco meno di 1,5 milioni di persone, un numero superiore di almeno 3,5 volte rispetto agli arrivi registrati sull’isola. Per quanto riguarda le presenze, uno studio sulla produzione dei rifiuti della Provincia di Livorno ha stimato in circa 2,2 milioni le presenze annue che si aggiungono ai 2,8 milioni ufficiali, da parte dei proprietari di seconde case e i loro ospiti (familiari e amici).
Il dato sembra “confermato” da una indagine della Camera di Commercio di Livorno sui turisti all’isola d’Elba, secondo la quale circa il 40% degli intervistati pernotta in casa propria o in prestito. Il dato potrebbe addirittura essere sottostimato se consideriamo che corrisponde ad una permanenza media di poco superiore ai 3 giorni (la metà di quella relativa ai dati ufficiali) per ogni turista che ha pagato la tassa di sbarco. Ripartendo sempre dai dati sul numero di abitazioni si stima che, solo nel mese di agosto, nel Parco dell’Arcipelago Toscano siano quasi un milione e mezzo, le presenze da sommare a quelle dei turisti che soggiornano nelle strutture ufficiali”.
Questo fenomeno del turismo sommerso va esaminato nella sua complessità. Innanzitutto, la stima di un 40% medio di turisti annui che alloggiano al di fuori del circuito ricettivo ufficiale (alberghi, campeggi e residences) è attendibile, se si confrontano i dati ufficiali e il movimento passeggeri dei porti di Piombino e dell'Elba. Ed è una tendenza che parte almeno dalla fine del secolo scorso, ben rilevata nel 1999 dall'Apt, che arrivò a calcolare ben 8 milioni di turisti sull'isola, in quello che fu uno degli anni d'oro del turismo elbano. Questo turismo sommerso però comprende due componenti. Da una parte ci sono proprietari di case non residenti, turisti ospitati senza spese in case private di parenti e amici, e quelli che pernottano in mezzi propri (camper, tende, etc.) ma non in campeggi.
Ma dall'altro lato ci sono turisti ospitati in strutture private in affitto, che sono stimati nel 54% del turismo sommerso. Ovvero un mondo dove alligna un sottobosco di affitti in nero. A questi che sono turisti a tutti gli effetti, va molto probabilmente aggiunto qualche migliaio di lavoratori stagionali, che ovviamente devono affittare un'abitazione. E anche per essi ci sarebbe da chiedersi quanti con regolari contratti di locazione e quanti in nero.
È difficile quantificare il fenomeno, ma è comunque un numero consistente, sull'ordine delle migliaia di famiglie in ferie. E delle centinaia di case d'affitto, tra false prime e vere seconde e terze, che i proprietari sfruttano solo per profitto non certo come abitazione. Ovviamente una buona parte è costituita da affitti registrati, con tutti i crismi della regolarità, con benefici anche per l'erario pubblico. Ma non si può neanche far finta che non esista una quota di affitti in nero. Un giro di affari sull'ordine, molto probabilmente (anche a livello nazionale è difficile fare stime attendibili), delle centinaia di migliaia di euri. Una conseguente evasione fiscale sulle decine di migliaia di euri. E un numero di persone non indifferente, tra falsi residenti e approfittatori, che possiede una casa all'Elba solo ed esclusivamente per lucro turistico.
Dicevamo che è difficile far finta non vedere. Eppure i comuni elbani ci riescono. Anzi, hanno indirettamente incoraggiato il fenomeno. In primo luogo con la lassista politica edilizia. Il rilascio di licenze senza alcun controllo su false prime case e a falsi residenti, che si aggiungono alle non poche rilasciate a vere seconde e terze case, non solo non è andato di pari passo a una verifica dei requisiti (residenza effettiva e necessità di una vera prima casa, appunto), ma è continuato negli anni, con accertamenti sul reale uso a cui erano adibite quelle case. Ma soprattutto hanno consentito un consumo suolo di esclusiva rapacità turistica.
Sgombrato il campo da questi due alibi, possiamo tornare sulla ragione per cui l'Elba ha visto e continuerà a vedere a lungo questo deleterio consumo del suolo. Lo vedremo nel prossimo capitolo. Anzi, per essere brutali, sbatteremo sul muso la verità a chi sa e fa finta di non sapere.
Andrea Galassi