Questa volta non ero in giro in missione fotografica, quindi sguarnito di macchina fotografica, ma il telefono in tasca, ormai un computer munito di fotocamera, ha permesso di documentare la storia, o quantomeno il pennuto recuperato. Potrei dire i pennuti visto che la vicenda si è ripetuta.
Ma veniamo ai fatti: passando una di queste sere lungo il porto, all’altezza dell’angolo in cui la banchina di Calata Italia incontra il raccordo verso l’Alto Fondale, con la coda dell’occhio noto qualcosa che galleggia in mare. E’ buio quindi mi fermo per scrutare meglio quella forma in acqua: nonostante l’oscurità riesco a vedere che è un giovane gabbiano ma capisco anche che l’animale appare abbastanza abbacchiato, con il becco quasi sommerso. Anche lui mi vede e sembra dirigersi progressivamente, ma molto lentamente, verso di me, verso il bordo della banchina. Quando è più vicino ho la conferma che si tratta di un gabbianotto molto provato che magari è stato a mollo tutto il giorno, ma che non riesce a librarsi da quello che dovrebbe essere uno dei suoi elementi naturali, il mare, ma che in questo caso potrebbe causare la sua fine. Saltato giù in acqua dal molo arroventato magari in cerca di refrigerio o per sfuggire a qualche cane o a qualche altro disturbo, o più semplicemente nello slancio naturale verso quell’ambiente apparentemente congeniale, emulando forse qualche fratello più robusto, non è poi più riuscito a venirne fuori: le banchine sono verticali e quelle lungo la Calata Italia, le più recenti, sono ancora più alte, una vera trappola. Appare stanco ma non si avvicina più di tanto. Mi guardo intorno per vedere se lì vicino ci sia qualcosa per avvicinarlo, un bastone o magari una canna da pesca ma non trovo nulla. L’animale si allontana nuovamente e non so cosa fare. Le persone passeggiano tranquillamente lungo il molo dove si sta consumando una piccola grande tragedia. Il pennuto allargatosi supera alcuni pescherecci ormeggiati per accostarsi alla banchina che si allunga verso il Molo Massimo e qui fortunatamente sono alcuni pescatori con la canna, muniti di guadino, a cui chiedo se gentilmente possono intervenire per recuperare il gabbiano. Un pescatore, impugnato il lungo retino, con una facile mossa “pesca” lo stanco volatile che finalmente riguadagna la terra. Basterà poco per confermare che il problema era stato il lungo permanere in acqua e il pennuto si riprende progressivamente. Il pescatori presenti dicono che nei giorni precedenti ne hanno recuperati diversi. Inutile dire che qualche giorno dopo la cosa si è ripetuta con un altro gabbiano, in questo caso ancora più giovane ripescato col guadino e rimesso in banchina. Inutile dire che la cosa si ripeterà.
Si potrebbe affermare che si tratta della selezione naturale, oppure che i gabbiani reali sono troppi e che comunque invadono le nostre città! E che purtroppo queste cose, adesso e sempre più frequentemente, accadono anche ai nostri simili, pensando ai naufragi di migranti nel Mediterraneo, o comunque che anche non troppo lontano ci sono altri drammi per l'umanità, quindi perché preoccuparsi per “un semplice gabbiano”? … si tratta in ogni modo di sofferenza per altri esseri viventi non è comunque piacevole osservare un animale in difficoltà, magari senza riuscire ad aiutarlo. Scusate la riflessione.
E parlando di invasione in questo caso sarebbe l’uomo che ha invaso lo spazio degli animali, un processo lungo a dire il vero, ma progressivo … fino alla prima metà dell’Ottocento la zona in questione, la Calata Italia, era una spiaggia dove i gabbiani nati sugli spalti del forte Saint Cloud, dove prima era la Piazzaforte del Lazzaretto, e sulle bianche scogliere limitrofe, potevano fare le loro prove di nuoto e di volo; la banchina sarebbe stata creata successivamente, in ogni caso con piccoli scali che permettevano l’alaggio dei natanti ancora al tempo dello stabilimento siderurgico – molti ricorderanno il Canterino! Ricordo ancora che fino ai primi anni novanta del XX secolo una spiaggina di pietre bianche appariva in corrispondenza di quello che era l’edificio denominato Ex Cromofilm - la futura stazione marittima - con i ciottoli arrotondati uguali a quelle del celebre lido delle Ghiaie, vaga e minuta testimonianza del lido della mitica Porto Argo che offriva riparo ai natanti dell'antichità e del Capo Bianco di Dentro che ancora era nominato sulle carte settecentesche, ultima spiaggia per i nostri gabbiani.
Antonello Marchese - Guida Ambientale e Fotografo di Natura
I giovani gabbiani reali e la loro prima avventura in mezzo al mare
Il ripetersi di casi di giovani gabbiani reali appena involati trovati in difficoltà, morenti o addirittura morti, purtroppo, rientra nella normalità per la fine del mese di giugno. In questo periodo, infatti, i pulcini di Gabbiano reale (Larus michahellis) che, in realtà, hanno abbandonato il nido ormai da tempo ma, fino ad ora, erano rimasti a terra ad attendere il cibo portato dai genitori, adesso iniziano ad avventurarsi in mare. E lo fanno ben prima di essere in grado di compiere veri e propri voli.
La mortalità dei giovani appena involati è altissima in tutte le specie di uccelli, talvolta così alta che ti viene da pensare come facciano, alcune specie, a non essersi ancora estinte. Come avviene per molte specie di falchi, ad esempio.
Il Gabbiano reale non sfugge a questa “regola” ferrea e, nonostante alle nostre latitudini non abbia praticamente nemici naturali una volta adulto o almeno del tutto sviluppato, i suoi giovani vengono falcidiati proprio dal loro ambiente di elezione, il mare che, si sa, non ha pietà per i deboli, gli impreparati, gli abbandonati a sé stessi o, semplicemente, per gli sfortunati. A qualsiasi specie appartengano. E chi ha orecchie per intendere…
I giovani gabbiani reali del porto di Portoferraio, però, devono affrontare una minaccia ulteriore: le banchine alte e impossibili da “scalare”. Stare troppo tempo in acqua finisce per indebolirli, affamarli e, paradossalmente, assetarli. Se fossero nati sulle scogliere dell’Isola avrebbero avuto più possibilità di trovare un “approdo” sicuro ma l’ambiente fortemente antropizzato, seppur attrattivo da molti punti di vista, spesso si trasforma in una vera e propria “trappola ecologica”.
E così i giovani gabbiani, cresciuti facilmente grazie all’abbondante cibo reperito dai genitori in ambito portuale o poco distante (il pesce scartato dai pescherecci, in primis), toccato il mare per la prima volta in vita loro, si trovano nel bel mezzo di un problema micidiale e quel mare che doveva accoglierli e portarli verso il futuro...se li inghiotte.
Eppure, basterebbe poco per evitare lo strazio dei pulcini sfiniti, morenti, o delle carcasse galleggianti. Basterebbe posizionare dei “pallets” ben legati a banchina e magari ben assicurati al fondo per garantire che non “scarroccino” creando impaccio alle operazioni portuali. Funzionerebbero da zattere, da scialuppe di salvataggio. Fatte salve le autorizzazioni degli organi competenti, ovviamente.
Un qualsiasi “uomo di mare” potrebbe attrezzarne diversi a costo zero e massima efficacia. Un gesto di gentilezza verso delle forme di vita che, altrimenti, finirebbero presto in fondo al mare.
A modesto parere di ancor più modesto ornitologo, di gesti di gentilezza verso le vite in bilico in mezzo al mare c’è assoluto, immediato e tremendo bisogno.
Giorgio Paesani - Ornitologo