Possiamo chiuderla qui o possiamo cominciare a parlare delle spiagge libere in Italia. I dati sono impietosi, oltre il 60 p.c. sono in concessione, per andarci devi pagare lettini e ombrelloni in quanto private. Con la crisi economica che colpisce le famiglie italiane, con un’inflazione che è una tassa occulta per chi ha un reddito fisso, con i prezzi alle stelle di pasta, pane, carne, pesce, con la benzina che ha superato i 2,00 euro al litro, gli italiani hanno avuto l’amara sorpresa quest’estate dell’aumento anche di lettini e ombrelloni. Passare con i bambini qualche ora in spiaggia pare diventato un lusso per pochi, invece di essere un bene pubblico a isposizione dei cittadini che ne possono usufruire liberamente per rilassarsi con la famiglia.
Vivo all’Elba oramai da diversi anni, mi piace osservare e mi pare di vedere anno dopo anno più ombrelloni che persone sulle spiagge. Con stabilimenti balneari che sembrano prendersi un pezzo in più di spiaggia libera ogni anno, forse senza i controlli dovuti delle amministrazioni pubbliche e forse senza che i sindaci facciano alcunché a tutela dei cittadini per andare al mare con le proprie famiglie senza spendere una fortuna.
Sembra il tempo di cambiare registro, aprire un dossier politico e prendere atto della questione spiagge libere. Continuare come si è fatto finora non può che essere negativo per la collettività e per il turismo. Molti italiani, ma anche stranieri si lamentano e chiedono un turismo sostenibile, diverso e a misura d’uomo. Probabilmente serve una svolta, un nuovo inizio, una nuova visione.
Oltre il 60 p.c. delle spiagge italiane è occupato da stabilimenti balneari, un record che non ci fa brillare in Europa, anche se siamo primi. Le concessioni continuano ad aumentare. Liguria, Campania, Emilia-Romagna hanno quasi il 70 p.c. delle spiagge in mano ai privati. Solo come esempio: Gatteo a Mare in Romagna, tutte le spiagge sono private, Pietrasanta in provincia di Lucca oltre il 95 p.c. sono private, a Pescara l’85 p.c., a Diano Marina in provincia di Savona il 90 p.c. Poi, la questione delle tasse di concessione. Altro esempio: il comune di Arzachena sulla Costa Smeralda in Sardegna, ha incamerato nel 2020 dalle tasse balneari 20mila euro dai propri 59 stabilimenti, che fanno una media di 320 euro per concessione all’anno.
Nel Belpaese la risorsa naturale spiaggia è scarsa almeno il 50 p.c. dovrebbe restare libero e il 25 p.c. delle coste dovrebbe restare intatto e protetto. Il fatto grave sono le costruzioni non rimovibili. Probabilmente, sarebbe opportuno cominciare a mappare le spiagge e le coste e forse troveremmo delle belle sorprese. Si tenga conto dei piccoli e di chi si è mosso con rispetto, si abbatta ciò che è abusivo e si faccia pagare ciò che è dovuto. Forse il resto è fuffa corporativa di chi teme che la ricreazione sia finita.
Le coste e le spiagge sono patrimonio inalienabile dello Stato, appartengono agli italiani e non possono essere privatizzate. Le spiagge al 60 p.c. devono restare libere. Il restante 40 p.c. può essere gestito dai Comuni o dallo Stato i quali possono attrezzarlo e metterlo a disposizione a prezzi ragionevoli. I servizi sono gratuiti come in Grecia, Spagna, Francia, Croazia ed altri Paesi. Una parte può essere data in concessione ai privati che le possono, a prezzi consistenti, attrezzare in linea con il valore e la scarsezza del bene, ma con garanzie di sostenibilità puntuali e con gare rinnovate ogni 7 anni. Portarsi il cibo e le bevande non deve essere considerato reato.
Nessuna struttura permanente in cemento o altro può essere messa sul demanio costiero. Cabine, chioschi, ristoranti, spogliatoi, ecc. devono essere rimovibili. Eventuali strutture fisse già esistenti vanno abbattute a spese di chi le ha costruite. Il reato di abusivismo edilizio sulla costa non è condonabile. A fine stagione non vi devono essere strutture temporanee sulle spiagge che vanno sgomberate per permettere alla natura di fare il proprio lavoro.
Tuttavia, la civiltà di una Nazione si vede anche dalla cura e dal rispetto che ha delle coste e spiagge che la natura ci ha donato. Spetta a noi proteggerle e farle diventare un’attrazione culturale, ma anche paesaggistica, ambientale e turistica. Non devono essere oggetto di pura speculazione economica dato che sono un bene collettivo che non può essere la sommatoria di particolari interessi forse corporativi. Come italiani dobbiamo sottrarle alla cruda e pura speculazione e questo non può che essere motivo di orgoglio e soddisfazione per noi tutti.
Enzo Sossi