È recentemente apparso sulla prestigiosa rivista Nature (1) un bell’articolo che fa luce su un intrigante aspetto della vita sottomarina, spiegando dopo circa un secolo di tentativi, come riescono i pesci ad individuare da dove proviene un suono. Che ciò in effetti avvenga ha evidenze già dai primi del ‘900 e pure noi, con una maschera subacquea e un po’ di attenzione, possiamo osservare pesci più o meno numerosi che si dirigono decisamente in direzione opposta a quella di una sorgente che li ha spaventati. Ma “come” ciò avvenga è rimasto indimostrato fino a oggi.
Un gruppo di ricercatori guidato da Johannes Veith dell’Università di Berlino ha utilizzato tecniche di indagine molto avanzate (e inesistenti al tempo dei pionieri di questi studi) per ricavare dati sperimentali ineccepibili al riguardo: microscopia confocale, sistemi laser, idrofoni di precisione, e molti altri.
Che sia arduo percepire da dove proviene un suono in mare lo sappiamo bene noi umani, progettati per vivere in aria. La distanza fra le nostre orecchie è tale da permettere al nostro cervello di elaborare la comunque piccola differenza di tempo che intercorre fra la percezione del suono a un orecchio e quella all’altro orecchio. Il suono infatti si propaga in aria all’incirca a 330 metri al secondo e il nostro cervello è in grado di discriminare i pochi decimillesimi di secondo che intercorrono fra i segnali di stimolo generati dall’apparato uditivo, sebbene i nostri “microfoni” (le orecchie) distino in media solo una ventina di centimetri. Si, siamo creature molto evolute (dal punto di vista ecologico, molto meno da quello etico e sociale!).
In acqua le cose vanno molto peggio perché l’acqua è un mezzo molto più denso dell’aria e così la velocità del suono è di circa 1500 metri al secondo. La differenza fra i tempi di arrivo di un suono alle nostre orecchie è troppo piccola perché il nostro cervello riesca ad elaborarla. Ecco perché sott’acqua non siamo in grado di distinguere quale sia la direzione di provenienza di un suono.
Ma i pesci, progettati per vivere in acqua, sono in grado di farlo, è dimostrato.
Una parte del mistero, quella facile, fu dipanata molti anni fa, quando si evidenziò la struttura delle cellule ciliate che fanno parte del loro sistema uditivo (Figura 1).
Un suono produce sostanzialmente due effetti nel mezzo in cui si propaga:
1. le particelle del mezzo oscillano, di fatto non percorrendo tratti significativi, ma spostandosi di qua e di là, urtando quelle adiacenti e facendo propagare l’effetto anche a distanza considerevole da chi lo ha generato;
2. la forza conseguente, applicata sulle superfici delle particelle, genera una pressione sonora, quella che i Disk Jockey chiamano appunto la “sound pressure”.
Ebbene quando le particelle di acqua si muovono, le cilia fanno altrettanto, attivandone una principale (chiamata Kinocilium) e trasferendo così l’informazione del segnale acustico al cervello del pesce.
Tuttavia questa struttura così funzionale da sola non basta. Infatti le cilia flettono sia che le particelle di acqua si muovano verso sinistra, sia che lo facciano verso destra. Il meccanismo pertanto è in grado di individuare la retta su cui si sta propagando il suono, ma con un’incertezza di 180 gradi sulla sua origine.
Nel 1975 lo zoologo Arie Schuijf ipotizzò che questa “ambiguità dei 180 gradi” potesse essere risolta considerando altri sensori nel pesce (2). E aveva ragione: ora il gruppo di Veith è riuscito a dimostrare che l’anello mancante per la precisa localizzazione della sorgente sonora è costituito da segnali generati dalla vescica natatoria del pesce, quella “sacca” di aria che gli permette di stabilizzarsi ad una certa quota senza né precipitare verso il fondale, né risalire verso la superficie (la vescica natatoria ha ispirato il cosidetto Giubbotto ad Assetto Variabile, GAV, che usano i subacquei per identici motivi di stabilizzazione ad una certa quota).
Gli scienziati hanno ottimizzato tecniche di misura molto sofisticate su piccoli pesci trasparenti vivi, della specie Danionella cerebrum (Foto di copertina). Hanno così potuto verificare che mentre le cellule ciliate degli otoliti percepiscono il moto delle particelle generato dall’onda sonora, alcune cellule della vescica natatoria rilevano la pressione del suono. È la combinazione di queste due informazioni sensoriali a permettere la precisa individuazione della sorgente sonora: il pesce rileva la differenza di fase fra il moto di particelle e la pressione sonora. Se i due segnali sono in fase, quella è la direzione di provenienza, se invece sono in controfase tale direzione è esattamente a 180 gradi dalla prima.
Uno degli esperimenti decisivi, davvero molto intelligente e bello, è consistito nell’alterare appositamente la fase tra i due segnali. In condizioni normali, l’emissione di un suono che i pesci percepivano come minaccioso ne causava la fuga in direzione opposta. Ma se lo stesso suono veniva generato in controfase allo spostamento delle particelle di acqua, i pesci scappavano inconsapevolmente verso la direzione sbagliata, proprio quella della sorgente da cui proveniva il suono che li aveva spaventati. Questa evidenza sperimentale ha definitivamente fatto luce sul meccanismo sensoriale che la Natura ha sviluppato nei pesci.
Questo lavoro scientifico ha quindi risolto uno dei grandi misteri sugli animali marini ma, come sempre accade nella Scienza, ha contestualmente aperto nuovi orizzonti per future esplorazioni. Prima fra tutte, l’analisi della direzionalità del suono per tutta quella categoria di pesci che NON possiede vescica natatoria, a cui appartengono i cosidetti pesci cartilaginei, di cui razze e squali sono i più comuni rappresentanti. Per questi il mistero è ancora da districare.
Figura 1. Conformazione delle cellule ciliate degli otoliti, che presentano molte cilia libere di flettere e di andare ad attivare il Kinocilium, una sorta di cilia principale che trasduce il segnale.
Figura 2. In alto un’onda sonora con pressione e velocità delle particelle di acqua in fase. In basso la stessa situazione ma con i segnali in controfase.
Marco Sartore
Nell'immagine di copertina - Immagine di un individuo di Danionella cerebrum, il piccolo pesce utilizzato per effettuare gli esperimenti, in cui sono ben riconoscibili gli organi interni e la vescica natatoria.
(1) J.Veith et al., Nature, Vol. 361, No. 8019, 4 Luglio 2024
(2) Schuijf, A. & Buwalda, R. J. A. J. Comp. Physiol. 98,333–343 (1975)