Le infinite sfumature di colore di un fiore, i mille toni di un brano musicale, le sinuose onde del mare ci indicano che senza ombra di dubbio le cose intorno a noi seguono criteri di una piacevole continuità, senza brusche interruzioni, senza salti improvvisi, senza gradini naturali. Quanto meno ciò è vero fin tanto che parliamo del mondo macroscopico, nel quale ciò che ci circonda può essere disegnato da un bambino con curve dolci ed aggraziate.
Alla fine del 1800 iniziava l’esplorazione di un aspetto nuovo e impercettibile del mondo, quello delle onde radio, scoperte da poco e subito studiate in tutti i loro affascinanti aspetti. Erano gli anni in cui il nostro grandioso premio Nobel Guglielmo Marconi dimostrò che era possibile comunicare a distanza ideando il telegrafo senza fili. Quei lavori pionieristici hanno permesso la nascita e la crescita delle telecomunicazioni fino a come le conosciamo oggi, quando Internet connette l’intero pianeta e raggiunge anche zone remotissime non solo grazie a particolari ritrovati tecnologici, ma soprattutto a quegli antichi pezzi di Sapere che ancora oggi mostrano con vigore tutta la loro importanza e validità.
Ai primi del 1900 muoveva i primi passi una branca della Fisica che si dedicava a studiare l’emissione e il moto degli elettroni nella materia. Nel 1904 venne realizzato il primo dispositivo in grado di condizionare quel moto, la valvola termoionica a due terminali, dando origine a quella che da allora in poi si sarebbe chiamata Elettronica.
Elettronica e telecomunicazioni iniziarono a camminare di pari passo e, appena fu possibile visualizzare quelle onde che permettevano la “magia” del trasferimento di informazioni senza fili da una parte all’altra del pianeta, si capì che la descrizione del nostro quotidiano basata sulla continuità di cui si è detto all’inizio, veniva confermata anche in quella scoperta: i segnali elettrici (Figura 1) risultavano essere onde continue e sinuose proprio come quelle degli oggetti naturali che ci circondano, una notizia molto confortante e per questo accolta con grande soddisfazione.
Figura 1. Segnale elettrico visualizzato su un antico oscilloscopio, lo strumento che permise di “vedere” le onde utilizzate per trasmettere senza fili.
La continuità e, in alcuni casi, persino la linearità dei segnali elettronici li rendevano davvero simili e paragonabili a tutto ciò che ci circonda. Fu in base a questa evidenza che i segnali elettrici furono considerati “analoghi alla realtà” e detti “analogici”.
Con la realizzazione dei primi telegrafi senza fili si definì la struttura di un apparato radio che aveva (ed ha) una parte che trasmette segnali ed una parte che li riceve, come schematizzato in Figura 2:
Figura 2. Schema base di un sistema radio composto da una stazione trasmittente (TX) e da una ricevente (RX), ciascuna connessa alla propria antenna che permette sia di far propagare, sia di captare i segnali elettromagnetici nell’atmosfera.
Gli anglosassoni direbbero: “So far, so good”, fin qua tutto bene. Ma… ma un problema importante cominciò a bussare all’uscio, un ospite indesiderato si mise in mezzo: il rumore.
Se un segnale analogico si trova a transitare in una zona con linee elettriche ad alta tensione, oppure in luoghi dove ci sono macchine elettriche di potenza in funzione, o ancora in zone di bassa propagazione per le onde elettromagnetiche e in molti altri casi, allora gli si sommerà un contributo di disturbo costituito da un segnale (elettrico) di rumore. In questo caso, dal trasmettitore continuerà a partire un segnale perfetto, ma al ricevitore arriverà quel segnale corrotto e disturbato, come visibile in Figura 3. Più ampio sarà il rumore, più effetto negativo avrà sul segnale ricevuto, perché ad esso puntualmente si andrà sempre a sommare:
Figura 3. Effetto del rumore elettromagnetico sul segnale ricevuto da una stazione radio.
Il problema era davvero grande e spesso precludeva la possibilità di realizzare sistemi di comunicazione affidabili. Ha impegnato per decine di anni pletore di ingegneri e alla fine, senza essere riferibile ad un singolo scienziato, bensì al contributo di molti singoli ricercatori, questo comune enorme studio ha risolto il problema in maniera davvero brillante. La soluzione ha segnato una svolta epocale e ha sancito la nascita di un nuovo mondo, quello “digitale”.
Se analogico derivava ‘dall’analogia’ fra i segnali e la realtà, digitale è un termine che deriva dal latino ‘digitus’, ovvero ‘dito’, la parte del corpo usata per contare i numeri. E digitale è il metodo di assegnare dei numeri ai segnali. Quali e quanti numeri dipende dal contesto e dall’applicazione, ma nel caso più semplice ne bastano due soltanto.
Proviamo allora ad inventarci un metodo per assegnare numeri ad un segnale continuo. Ad esempio si può decidere di utilizzare lo 0 e il 10, assegnandoli più diradati allorquando il segnale analogico è ampio e più fitti quando invece è piccolo, come in Figura 4. Si osservi che, in un termine di paragone molto realistico, se il segnale digitale ha un’escursione ampia fra 0 e 10, quello analogico è invece molto piccolo, ad esempio varia fra 0 e 1:
Figura 4. In alto il segnale analogico continuo (blu, riferito all’asse Y di sinistra) e in basso una sua possibile ‘traduzione’ digitale utilizzando i soli valori 0 e 10 (arancione, riferito all’asse Y a destra), secondo il metodo descritto nel testo.
I due segnali analogico e digitale diventano allora perfettamente interscambiabili, sono esattamente la stessa cosa espressa in due modi diversi: dato uno, si può indifferentemente ricavare l’altro.
In termini corretti, si dice che dal lato trasmettitore il segnale analogico viene codificato in digitale (dove il termine richiama l’assegnazione di un codice numerico) mentre al lato ricevitore avviene l’operazione opposta, pertanto il segnale digitale viene decodificato per ricavare una copia esatta di quello analogico di partenza.
Se questa convenzione è accettata e condivisa sia dal trasmettitore che dal ricevitore, allora il gioco è fatto: si potrà infatti trasmettere questo nuovo segnale digitale al posto del segnale analogico, tanto all’arrivo il ricevitore sarà perfettamente in grado di ricostruire il segnale analogico originario, come schematizzato in Figura 5:
Figura 5. A sinistra il segnale analogico (blu) viene trasformato nel suo equivalente digitale (arancione) e trasmesso. A destra il ricevitore esegue l’operazione opposta: riceve il segnale digitale e ricostruisce fedelmente il segnale analogico trasmesso.
Indubbiamente un bel gioco, ma tutto ciò ha l’aria di essere una complicazione inutile o un mero esercizio mentale di qualche strampalato studioso. E invece questo sistema, come vedremo, è così brillante che risolve meravigliosamente il problema del rumore.
Il trucco è definire una soglia inferiore al di sotto della quale stabiliamo che il segnale sia considerato ‘zero’ anche se il rumore lo ha alterato e lo ha portato ad un valore più grande, ad esempio 1.6 o 2. Analogamente definiamo una soglia superiore in cui il segnale sia considerato ‘dieci’ anche se, corrotto in qualche modo dal rumore, ha assunto un valore inferiore, ad esempio 9.5 o 8. Tutto questo è ben schematizzato nella Figura 6:
Figura 6. Il meccanismo delle soglie offre un margine di tolleranza significativo per considerare ‘alto’ o ‘basso’ un segnale
Il rumore è sempre quello e corrompe in egual misura qualunque segnale, ma l’effetto risulta ben diverso se disturba il segnale analogico o quello digitale: nel primo caso, il segnale ricevuto è fortemente alterato, quasi irriconoscibile. Nel secondo caso, l’effetto è che 0 può assumere valori diversi, ma sempre sotto la soglia per cui è considerato 0, e 10 può assumere valori più bassi ma sempre sopra la soglia per cui è considerato 10. Ciò significa che ad ogni 0 trasmesso si associa uno 0 ricevuto e ad ogni 10 un 10, nonostante i disturbi sommatisi durante il cammino: il gioco delle soglie rende il segnale digitale immune al rumore !
Basta poi che il ricevitore operi come già visto nella Figura 5 ed ecco che il segnale trasmesso è ricostruito in maniera perfetta anche se durante il tragitto ha subito forti disturbi elettromagnetici.
Si potrebbe a questo punto obiettare che la pulizia del segnale al lato ricevitore non sia merito della digitalizzazione ma del fatto che il segnale digitale nel nostro esempio è dieci volte più ampio di quello analogico, motivo per cui l’effetto del rumore è proporzionalmente meno intenso.
In realtà c’è una distinzione sottile ma fondamentale da tener presente. Infatti, se il segnale analogico avesse la medesima ampiezza dell’altro, il rumore gli si sommerebbe comunque. Certo, non nasconderebbe quasi del tutto il segnale trasmesso, ma in ricezione si avrebbe comunque un segnale alterato rispetto a quello originale.
Per fare un esempio con un segnale audio, il suono di un violino:
- se è poco ampio viene del tutto disturbato e in ricezione si sente un forte rumore e basta;
- ma anche se è molto ampio il rumore lo disturba comunque: si percepisce che è il suono di un violino, ma con un evidente e fastidioso brusio di sottofondo, come visibile in Figura 7.
Figura 7. Se un segnale viene trasmesso in forma analogica il rumore lo disturba in maniera proporzionale alla propria intensità. Per basso che sia il rumore, il segnale ricevuto non sarà comunque perfettamente sovrapponibile a quello trasmesso.
Invece se quello stesso suono di violino è trasmesso in digitale, il rumore non riesce ad alterare il segnale così tanto da mandare sopra la soglia alta un segnale di livello basso o, viceversa, da mandare un segnale alto sotto la soglia bassa, precludendo così la ricostruzione fedele del segnale analogico trasmesso. Quindi il segnale analogico del violino viene fedelmente ricostruito dal ricevitore ed è una copia esatta di quello trasmesso, come se il rumore non ci fosse mai stato, come se chi ascolta fosse nella (lontana) stanza dove la violinista sta suonando, Figura 8:
Figura 8. Se un segnale viene trasmesso in forma digitale il rumore lo altera ma non preclude la chiara distinzione fra i livelli alto e basso, per cui il ricevitore riesce comodamente a ricostruire una copia esatta del segnale analogico originario.
Questo è il perché profondo della rivoluzione digitale, il vero motivo per cui le apparecchiature elettroniche sono basate su processori digitali di segnale e sono diventate molto complesse rispetto agli esordi. Un’architettura che val bene una maggior difficoltà progettuale e realizzativa se il vantaggio consiste nell’ottenere segnali perfetti.
Ovviamente la codifica dell’esempio sopra riportato è una esemplificazione (per quanto veritiera) di ciò avviene in un reale sistema. Molti altri metodi sono stati nel tempo elaborati ed oggi abbiamo a disposizione codifiche digitali molto sofisticate, sistemi di trasmissione/ricezione ottimizzati e circuiti elettronici davvero compatti e performanti.
Ma anche la trasmissione digitale, come ogni ogni altra cosa, ha tuttavia un proprio limite fisico. Ci sono casi estremi in cui le condizioni di rumore sono talmente esasperate che anche i segnali digitali vengono alterati o addirittura distrutti, ma non è certo la normalità come nel caso di quelli analogici.
Un tipico esempio che chiunque può osservare direttamente è l’effetto di una pioggia così intensa da creare una barriera elettromagnetica sull’antenna parabolica di un televisore (tecnicamente frapponendosi fra la parabola e l’illuminatore). In questi casi, per la natura stessa del segnale digitale, siamo costretti ad accettare un “o tutto, o niente”: l’immagine ricevuta improvvisamente si ‘congela’ e addio ricezione, come nella seguente Figura 9-A:
Figura 9. Un forte disturbo su un segnale televisivo digitale (A) viene percepito dal ricevitore come assenza di segnale, in quanto è talmente corrotto dal rumore da non permettere la ricostruzione dell’immagine. Lo stesso rumore su un segnale video analogico (B) risulta in un’immagine fortemente disturbata ma pur sempre percepibile.
La stessa cosa non succedeva con la televisione analogica, Figura 9-B, che il più delle volte si vedeva con evidenti disturbi sul quadro e che in caso estremo risultava praticamente nebbia pura. Ma in quella nebbia riuscivamo comunque ad intravvedere il Colonnello Bernacca e a percepire, benché, disturbatissime, le sue preziose previsioni del tempo.
Così come nel mondo video, anche in quello audio rimangono vive e vegete alcune nostalgie per amplificatori analogici che a detta degli audiofili regalano un suono caldo e completo migliore di qualunque sistema digitale. Esistono infatti ancora oggi impianti stereofonici a valvole con schemi elettrici così ben curati e progettati da donare ai più esigenti soluzioni sonore davvero belle. Ma non voglio indurre diatribe fra modernisti e nostalgici, giacché un’analisi sulla qualità dei segnali presupporrebbe discorsi tecnici avanzati che esulano dallo scopo di un articolo puramente divulgativo come questo. Ci basti sapere che il digitale è bello, ma che anche l’analogico in alcuni casi ha un suo perché.
Marco Sartore