Una delle prime cose che vengono insegnate durante i corsi di immersione subacquea è la variazione dei colori sott’acqua man mano che ci si allontana dalla superficie. Questo argomento si affronta subito per prevenire qualsiasi possibile disagio che il neofita potrebbe avere durante le prime prove in mare, ad esempio se pungendosi per aver toccato un riccio vede uscire dal dito una gocciolina di strano liquido color marrone scuro, evento che potrebbe indurre nel malcapitato turpi pensieri tipo “che diavolo sta succedendo al mio corpo ?”. In realtà il corpo sta benissimo, il nuovo colore al posto del rosso del sangue è semplicemente dovuto agli effetti di una diversa penetrazione della luce nell’elemento ‘acqua’.
In tutto lo spettro della luce visibile chi ha la peggio è la radiazione con più elevata lunghezza d’onda, quella dal rosso in su (dai 650 nm). La penetrazione in acqua migliora via via che la lunghezza d’onda si abbassa e già intorno ai 600 nm si guadagna qualche metro. Spingendosi poi a valori fra i 400 e i 500 nm propri del blu/verde i raggi luminosi riescono a raggiungere profondità considerevoli anche superiori ai 200 metri (questa è, tra l’altro, la ragione principale perché vediamo il mare blu). La seguente Figura 1 offre una percezione immediata di quanto appena espresso [1]:
Figura 1. In alto, lo spettro della luce visibile con indicazione delle lunghezze d’onda.
In basso, la raffigurazione della penetrazione della luce in acqua in funzione del colore.
Naturalmente condizioni particolari della colonna d’acqua modificano queste quote, che sono riferite ad acque limpide. Ad esempio, in prossimità di estuari di fiumi o torrenti, le particelle in sospensione che vengono immesse in mare alterano fortemente la penetrazione dei colori.
La luce è sia una sorgente di energia che un basilare segnale ambientale che influenza la fisiologia di molte forme di vita le quali basano la propria esistenza sulla fotosintesi clorofilliana. Fra queste molte alghe e piante marine.
In particolare le ‘diatomee’ sono microalghe che vivono in sospensione nelle acque di tutto il pianeta, quindi non si trovano ancorate su un fondale duro, bensì sono flottanti nella colonna d’acqua. Rappresentano i principali esponenti del così detto ‘fitoplancton’, ovvero il plancton vegetale. Sarà per il fatto che sono microscopiche, o perché non appariscenti, ma sta di fatto che non viene loro riconosciuta la clamorosa importanza che hanno per la vita sulla Terra: producono infatti dal 30 al 50% dell’ossigeno presente nell’atmosfera. Sono proprio le distese di centinaia e migliaia di chilometri quadrati di diatomee (che talvolta raggiungono anche la superficie del mare formando vere e proprie chiazze verdi) a contribuire in modo così eclatante alla vita sul pianeta Terra. Per questo gli scienziati rivolgono loro studi approfonditi, cercando di capirne ogni aspetto allo scopo anche di preservarle.
In questo ambito un recente studio molto interessante [2] ha dimostrato mediante modelli ed esperimenti che le diatomee sono in grado di “misurare” la profondità a cui si trovano utilizzando la luce, riuscendo così sia a regolare in modo efficiente la fotosintesi clorofilliana, sia ad acclimatarsi meglio a profondità elevate.
Per noi umani percepire la luce visibile è considerata cosa automatica e regolata dai fotorecettori presenti sulla retina del nostro occhio [3], che riesce non solo a creare segnali per il cervello in base all’intensità luminosa, ma anche in base alla lunghezza d’onda della luce, ovvero al suo colore. Sistemi meno evoluti come le diatomee hanno comunque a disposizione particolari proteine chiamate ‘fitocromi’ che vengono attivate dalla luce e pertanto sono veri e propri “fotorecettori”.
Queste proteine si ripiegano su se stesse oppure si elongano commutando fra due stati che sono attivati da ben precise lunghezze d’onda: quando ricevono luce rossa (di lunghezza d’onda 660 nm) passano dallo stato inattivo chiamato ‘Pr’ allo stato attivo chiamato ‘Pfr’; eseguono il cambiamento opposto quando sono colpite da luce nel “profondo rosso”, cioè con lunghezze d’onda di 730 nm come visibile nella figura seguente:
Figura 2. Il ciclo di attivazione e disattivazione delle fitoproteine è innescato rispettivamente da luce rossa a 660 nm e da luce nel profondo rosso a 730 nm.
Il riquadro in basso a sinistra mostra la struttura della proteina nel suo stato Pfr.
I due stati sono così chiamati dalle iniziali di ‘Phytoprotein red’ (Pr) e ‘Phytoprotein far red’ (Pfr).
Dal punto di vista macroscopico, la risposta fisiologica dell’alga (e delle piante) dipende dalla percentuale di proteine in uno o nell’altro stato e pertanto dipende non solo dal colore della luce percepita ma anche dalla sua intensità.
Proprio per questo i ricercatori hanno dapprima intuito e poi verificato sperimentalmente che le diatomee potessero usare la luce visibile come segnale di misura per la profondità, in base all’argomentazione di inizio articolo sulla sua diversa penetrazione in mare.
L’effetto più macroscopico che avviene è dunque il passaggio fra gli stati Pr e Pfr a seconda della luce che raggiunge le diatomee, regolato in prima battuta dalla profondità a cui si trovano. Ma siccome la componente rossa scompare nei primi metri dalla superficie (vedi Figura 1), a differenza dei fitocromi presenti nelle piante terrestri le diatomee si sono evolute specializzandosi con fitocromi sensibili alle lunghezze d’onda del verde e del blu, che dominano alle più elevate profondità. Questo significa che, a differenza di quanto detto sopra, il passaggio di stato da Pfr a Pr per le diatomee avviene a lunghezze d’onda intorno ai 400-500 nm. Questa variazione evolutiva rispetto agli altri vegetali anche terrestri permette loro il passaggio di stato in funzione della profondità, come schematizzato nella seguente Figura 3:
Figura 3. Effetto macroscopico della profondità sulle diatomee: a basse profondità si attiva lo stato Pfr, che viene disattivato là dove la penetrazione della luce rossa è preclusa (in giallo testi in Italiano).
Pertanto queste alghe attivano risposte fisiologiche, principalmente per dar luogo alla fotosintesi clorofilliana, in base a un ben preciso stimolo esterno. Ma i ricercatori non si sono fermati a questa constatazione. In primo luogo, hanno cercato di capire la distribuzione a livello planetario di diatomee utilizzando dati provenienti da diverse campagne di studio multinazionali disponibili per la comunità scientifica [5] e scoprendo che quelle con il gene espresso per le fitoproteine popolano le zone con acque temperate o fredde, risultando praticamente assenti nelle zone tropicali e sub-tropicali, precisamente a latitudini comprese fra 30° N e 30° S:
Figura 4. Distribuzione di diatomee con gene espresso per le fitoproteine, con ampia presenza nelle zone extra-tropicali (markers rossi).
Questa distribuzione conferma che le diatomee che possiedono le fitoproteine specializzate al riconoscimento della luce fino alle bande del verde/blu popolano proprio quelle aree in cui il rimescolamento della colonna d’acqua è maggiormente pronunciato, sia durante l’alternarsi delle stagioni e delle condizioni e correnti meteo marine, sia in alcuni casi anche con dinamiche più veloci. Risultano invece assenti nell’ampia zona equatoriale dove questi effetti non si presentano o sono molto meno marcati (a parte singole eccezioni dovute a fattori molto localizzati). Questa evidenza ha confortato le ipotesi di studio iniziali.
Gli scienziati hanno quindi riprodotto in laboratorio le condizioni di luce a varie quote e utilizzato diatomee modificate con sostanze fluorescenti per poter stabilire con certezza gli stati Pr e Pfr, dimostrando così la perfetta corrispondenza della risposta ottica alle quote: ciò che inizialmente sembrava una “semplice” distinzione a due stati acque basse / acque profonde si è in realtà rivelata una precisa misura continua della batimetrica (profondità delle acque), per cui è stato riscontrato che le diatomee possiedono un sofisticato ‘sensore ottico della profonditá’. La seguente Figura 5 mostra un grafico che riporta i valori misurati del tasso di foto-conversione del segnale luminoso in funzione della profondità:
Figura 5. tasso di foto-conversione della luce da parte di diatomee in funzione della profondità, che mostra un andamento molto lineare.
Questo studio apre nuovi orizzonti verso la comprensione della specializzazione evolutiva sulla Terra, dimostrando ancora una volta che l’ambiente gioca un ruolo assolutamente primario sulla selezione delle strategie degli esseri viventi, come dimostra la presenza di fitocromi specializzati nelle alghe proprio e solo là dove ambientalmente è utile.
L’abilità di rilevare con precisione la profondità e di rispondere a variazioni della luce a seconda della sua lunghezza d’onda probabilmente conferisce vantaggi competitivi alle specie che sono in grado di farlo. Tutto questo potrà in futuro essere studiato anche su altre alghe e piante acquatiche (come ad esempio la “nostra” Posidonia oceanica) offrendo nuove conoscenze del mondo sommerso.
Marco Sartore
Riferimenti bibliografici
1. Visible Light Spectrum Wavelengths and Colors, A. Helmenstine,
https://sciencenotes.org/visible-light-spectrum-wavelengths-and-colors/
2. “Diatom phytochromes integrate the underwater light spectrum to sense depth”, Duchêne, C. et al. Nature 637, 691–697 (2025).
3. Elbareport Pillole di Scienza 12, “L’occhio e la macchina fotografica”,
https://www.elbareport.it/scienza-ambiente/item/69510-pillole-di-scienza-12-l%E2%80%99occhio-e-la-macchina-fotografica
4. “Phytochrome Signaling Mechanisms”, Jigang Li et al., Arabidopsis Book (2011).
DOI: 10.1199/tab.0148, https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC3268501/
5. “A global oceans atlas of eukaryotic genes”, Q. Carradec et al, Nature Communications, 9, 373 (2018). https://doi.org/10.1038/s41467-017-02342-1