Quando accade un terremoto l’immagine classica che viene mostrata nei telegiornali è quella che con poca fantasia non ho potuto fare a meno di usare pure io come copertina di questo articolo, un tracciato su carta che mostra un’improvvisa amplificazione. Incuriosisce capire come mai quel segnale è riconducibile proprio ad un evento sismico e non ad altri fenomeni che in qualche modo abbiano causato vibrazioni, ad esempio il transito di un mezzo pesante nelle vicinanze oppure il volo di un aereo, entrambi fenomeni che nella nostra esperienza causano oscillazioni percepibili da noi stessi senza bisogno di alcuno strumento scientifico. Quando passa un camion o peggio una serie di camion su una strada trafficata e ci si trova in un edificio ad essa prospiciente, si avverte nettamente una vibrazione del pavimento. Quando un aereo vola ad una velocità tale che le onde sonore emesse hanno caratteristiche compatibili con le dimensioni delle nostre finestre, i vetri entrano in risonanza e si ode una netta vibrazione che continua finché l’aereo non si allontana. Un sistema capace di rilevare un terremoto deve saper discriminare tra tutte queste vibrazioni.
Prima della nascita del “sismografo” avvenne quella del “sismoscopio”, un termine molto meno noto ma ugualmente importante. Il primo genera un tracciato con precise informazioni sull’intensità e la distanza del fenomeno sismico, mentre il secondo è in grado di rilevare l’evento e al più la direzione di provenienza dell’onda, ma non conserva le informazioni dei movimenti rilevati per successive analisi.
Il primo sismoscopio nacque poco meno di duemila anni fa per mano di uno scienziato cinese chiamato Zhang Heng e vissuto fra il 78 e il 139 d.C. durante la dinastia Han [1]. La sua invenzione era davvero straordinaria, basti pensare che sebbene fosse uno strumento di rilevazione “scientifico” fu comunque incluso in un bellissimo vaso di metallo adornato con 8 draghi equidisposti attorno e, sul piano di appoggio, altrettante rane con la bocca spalancata poste nelle direzioni principali della Rosa dei Venti:
Figura 1. A sinistra una replica fedele del sismoscopio di Zhang Heng. A destra lo schema realizzativo con tanto di legenda (in cinese :-) ).
Al suo interno il vaso contiene uno speciale pendolo che entra in oscillazione a seguito di un evento sismico. Oscillando, il pendolo sposta delle levette collocate sulle pareti interne dell’anfora. Tali levette, se azionate, aprono la bocca di un drago che contiene una pallina. All’apertura della bocca del drago, la pallina cade perfettamente nella bocca di una rana sottostante, emettendo un chiaro rumore metallico che è il segnale di terremoto in corso. Inoltre, a seconda di dove cade la pallina si individua la direzione di provenienza dell’evento.
Molti furono scettici sul reale funzionamento del sismoscopio costruito da Zhang. Quando molti erano già pronti a dare addosso allo scienziato un giorno lo strumento lasciò cadere una pallina nella bocca della rana a nord-ovest, senza che alcuno avesse percepito il benché minimo movimento tellurico. In seguito giunse a corte un messo per informare che nella regione di Longxi, oggi provincia di Gansu, proprio nella direzione nord-ovest indicata dalla pallina caduta, c’era stato un terremoto. Questo confermò inequivocabilmente la funzionalità del sismoscopio e Zhang fu riconosciuto membro di corte e continuò ad operare come scienziato nelle più disparate discipline.
Sia il suo strumento che i moderni sismografi sono basati sulle oscillazioni di un pendolo innescate dalle onde generate da un evento sismico. Il fatto rilevante è che si tratta di oscillazioni molto lente, la cui frequenza è compresa fra 0.05 e 0.3 Hz, ovvero il cui periodo è compreso fra 3 e 20 secondi.
Proprio questa caratteristica permette, con opportuni e sofisticati filtri e accorgimenti, di eliminare tutte le oscillazioni indotte da sorgenti diverse da un terremoto, perché in ogni caso avranno frequenze ben superiori a quelle tipiche indicate.
Si può calcolare quanto lungo deve essere un pendolo classico che compie piccole oscillazioni in tempi simili ai periodi delle onde sismiche dall’espressione del suo periodo di oscillazione che, contrariamente a quello che intuitivamente sembrerebbe logico, non dipende dalla massa appesa in fondo al pendolo ma unicamente dalla sua lunghezza. Infatti il periodo è pari a:
dove l è la lunghezza del pendolo e g l’accelerazione di gravità (pari in media a circa 9.81 m/s2 sulla superficie terrestre). Si ricava quindi la lunghezza del pendolo in funzione del periodo:
Se ad esempio imponiamo un periodo di oscillazione intermedio, pari a T = 10 secondi, scopriamo che il pendolo deve essere lungo circa 24.9 metri ! È evidente che un sismografo basato su tale pendolo dovrebbe prevedere una stanza con soffitto così alto da renderne impraticabile l’utilizzo negli apparati odierni. Tuttavia fu proprio così che l’italiano Andrea Bina nel 1751 immaginò il primo sismografo al mondo, uno strumento in grado di “scrivere” una traccia consultabile a posteriori [2].
Bina scrisse un compendio intitolato “Ragionamento sopra la cagione dei terremoti” in cui oltre ai ragionamenti dell’epoca sulle onde sismiche descrisse la sua invenzione. Si trattava di un pendolo semplice al quale, nonostante il periodo di oscillazione fosse (come descritto qui sopra) indipendente dalla massa attaccata alla fune, fu comunque collegata una massa molto grande, nella fattispecie un grosso masso di pietra.
Figura 2. Ricostruzione fedele del primo sismografo della storia, inventato da Andrea Bina nel 1751.
In questo modo l’azione naturale del pendolo veniva coadiuvata da un altro principio fisico, quello così detto “di inerzia”, che altro non è che il primo principio della meccanica di Newton: l'inerzia di un corpo esprime la resistenza a variare il proprio stato di quiete (o di moto a velocità costante).
Nel caso della massa in fondo al pendolo, fin tanto che è ferma e su di essa non agiscono forze esterne, tende a rimanere immobile. Solo quando si innesca l’oscillazione del pendolo e quando questa è di una certa rilevanza, inizia a muoversi.
Se in fondo al pendolo fosse collegata una massa piccola, si registrerebbero oscillazioni “spurie” anche in assenza di terremoti, poiché alla piccola massa, con minore inerzia, basterebbe qualunque debole forza esterna per iniziare a muoversi (tipo quelle di disturbo citate ad inizio articolo, mezzi che transitano etc.).
Sotto alla grossa pietra Bina attaccò uno stilo appuntito che toccava con la punta una cassetta di legno riempita con sabbia e lasciata galleggiare in una vasca piena di acqua: tutti “trucchi” fisici molto ben ideati per ottenere un efficace filtraggio meccanico delle vibrazioni indesiderate del terreno. Un ennesimo mirabile esempio del genio italiano.
Durante un terremoto il pendolo entrava finalmente in oscillazione e la grande massa di pietra si spostava nella direzione dell’onda sismica, lasciando sulla sabbia ben precisi segni che senza dubbio possiamo definire come i primi sismogrammi della storia.
Il sismografo di Bina per la prima volta permetteva uno studio dell’evento sismico successivo all’evento stesso. Egli stesso interpretò, secondo le conoscenze dell’epoca, i sismogrammi nella sabbia scrivendo: “Se il terremoto sarà stato regolare, o di ondeggiamento, rettilinei saranno li solchi, se tremulo ed irregolare saranno tortuosi; se sarà stato vorticoso si conoscerà ciò dalla profondità a cui lo stilo sarà penetrato entro la materia molle”.
Dato che, come si è visto, un pendolo verticale di periodo comparabile con quello delle onde sismiche ha una lunghezza poco pratica, oggi giorno negli strumenti si fa uso quindi di pendoli più complessi, costituiti da più parti interconnesse a formare un analogo in volumi molto ridotti. Solitamente ad un elemento verticale se ne aggiunge uno di tipo orizzontale e la struttura complessiva permette di lavorare in spazi più corti di un metro quadro.
Pur essendo sempre presente una massa che viene posta in movimento dalle scosse telluriche, i moderni sismografi utilizzano l’elettromagnetismo come metodo di rilevazione al posto dello stilo nella sabbia, sfruttando in particolare l’induzione elettromagnetica. Quest’ultima fu studiata da Faraday e formalizzata da Maxwell [3] in una delle sue quattro famose formule. Sostanzialmente, se un magnete permanente (una calamita) viene posto in movimento all’interno di un conduttore elettrico (ad esempio una bobina di filo di rame) si osserva che “per induzione” nel conduttore scorre una corrente elettrica:
Figura 3. L’induzione elettromagnetica causa lo scorrere di corrente elettrica lungo un filo, in un verso o nell’altro a seconda di quello di spostamento di un magnete permanente nelle sue vicinanze.
La massa del sismografo è collegata alla calamita e l’insieme è libero di oscillare all’interno di una grande bobina di filo elettrico. Questa configurazione ha tre vantaggi principali rispetto a quelle “storiche”:
- un’enorme sensibilità, dal momento che anche piccolissime variazioni del campo magnetico generano misurabili correnti elettriche nel circuito esterno;
- l’acquisizione digitale del segnale su computer e di conseguenza;
- la possibilità di filtrare il segnale rilevato con le più moderne tecniche matematiche.
In particolare, grazie alle operazioni di post-processing sui dati acquisiti si riesce a dedurre con precisione un ampio insieme di informazioni sull’evento sismico, fra cui il tipo di onda sismica, la durata di ogni fase, la precisa distanza dell’evento e altri dettagli.
Marco Sartore
Riferimenti bibliografici
1. “Science: 100 Scientists Who Changed the World”, Balchin, Jon. (2003). New York: Enchanted Lion Books. ISBN 1-59270-017-9
2. “Ragionamento sopra la cagione dei terremoti”, Andrea Bina (1751),
https://archive.org/details/bub_gb_1eWb0yfZAcwC
3. , “A Treatise on Electricity and Magnetism”, Maxwell, James Clerk (1904), Vol. II, Third Edition. Oxford University Press.