Rambelli di Legambiente dell’Emilia-Romagna partendo da alcuni esempi della sua regione conclude che i parchi anziché privilegiare solo il loro ruolo –insomma smettendo di guardarsi l’ombellico- ripartano dai loro obiettivi.
Tra gli esempi citati di alcune esperienze positive Rambelli si sofferma su quelle agricole. Esperienze che secondo gli amici di legambiente consiglierebbero peraltro anche di designare nei parchi rappresentanze agricole così da dare la sveglia ad enti che appunto preferirebbero fare manfrina o scannarsi per una presidenza. Da qui dovrebbe ripartire la riscossa delle nostre aree protette.
A queste critiche sempre più spesso se ne aggiunge un’altra ossia quella di segno opposto e cioè di essersi molto preoccupati della tutela ambientale, della conservazione ma poco o niente dell’economia che proprio nei parchi potrebbe trovare nuovi slanci come nell’agricoltura ma non solo.
Ora riesce difficile capire come una politica seria ed efficace di tutela specialmente in aree protette caratterizzate da ampi territori agricoli o forestali possa essere stata portata avanti ignorando le implicazioni economiche. E non solo perché la legge quadro sui parchi al pari delle leggi regionali prevedeva sia un piano ambientale che quello socio-economico (che oggi è giusto raccordare). Ma chi ne aveva fatto almeno uno (ed è proprio il caso della maggior parte dei parchi regionali ma non di quelli nazionali) è proprio su quel terreno specialmente agricolo-forestale che si è dovuto fin dall’inizio misurare. Ne so qualcosa per quanto riguarda il parco di San Rossore che tra le prime questioni che ha dovuto affrontare sulla base del piano Cervellati (emiliano) c’è stata proprio quella del suo territorio agricolo –un terzo della sua dimensione- dove si è fatto leva su produzioni non incentrate soprattutto su ‘veleni’ ma anche perché l’aratura non penalizzasse la resa dei terreni.
Ripartire quindi dagli obiettivi propri del ruolo dei parchi significa innanzitutto ripartire da politiche di programmazione, di progettazione ignorate dal ministero per anni e dagli stessi parchi specie nazionali che non si sono presi la briga neppure di dotarsi di almeno uno dei due piani.
E qui l’invecchiamento della legge quadro c’entra come il cavolo a merenda. Del resto tra le modifiche che vorrebbe apportare il Senato poco saggiamente vi è quella di far pagar dazio per poter fare nei parchi anche cose che ora non sono e giustamente possibili. Insomma i parchi vanno e alla svelta rilanciati perché tornino a fare e bene i parchi e quindi il loro e non altri mestieri.
Renzo Moschini