Dei due, logicamente, ho conosciuto meglio Nilo.
Persona d’altri tempi, viveva per il mare e non appena possibile salpava, col suo leggendario gozzo verde, costruito (è sottointeso) con le proprie mani e, armato di specchio, andava a pescare.
Era, indiscutibilmente, un pescatore formidabile.
Del mare Nilo mi ha trasmesso questo, la cosa fondamentale: il mare va rispettato, sempre e comunque, perché potrebbe non darti una seconda possibilità.
Questo fatto che segue, per ovvii motivi, non potrò scordarlo mai, idem gli altri quattro.
Con l’equipaggio della Padulella di allora (nella foto) la combinammo grossa, e vedemmo la morte in faccia, quando provammo a cavalcare le onde post libecciata che sovente increspano sopra la secca di Capo Bianco.
Facemmo una cazzata, una spropositata cazzata, la barca planò in verticale (di poppa) sull’onda per un centinaio di metri, veloce come un motoscafo, imbarcando acqua a tutta forza proprio da dove stavo seduto io. Il mare montava furiosamente sopra il mio groppone, ero letteralmente sommerso: un po’ per respirare, un po’ per la paura alzai gli occhi al cielo ma il cielo non c’era, c’era al suo posto la sagoma di Leo Lupi (vogatore di prua, immaginate un po’ quanto fossimo in verticale) sbiancato pure lui.
La forza del mare era così dirompente che gli agugliotti del timone, di acciaio inossidabile, si piegarono come fagiolini ed il timone fu inghiottito dall’onda. Anche i remi schizzarono in aria come farfalle, fuoriusciti dagli scalmi - di acciaio inossidabile anche quelli - non si sa come.
Se in quella funambolica planata all’indietro non ci siamo ribaltati, è soltanto per miracolo.
Viceversa, con ogni probabilità, sarei stato spacciato: mi sarebbero caduti addosso i vogatori prima e la barca poi.
Quando finalmente la barca si fermò, era piena d’acqua fino all’orlo, senza remi né timone, ma era il meno.
Realizzammo di essere incolumi, ovviamente ci eravamo cacati addosso tutti, bagnati fradici ridevamo a crepapelle e piangevamo dalla contentezza, in contemporanea.
Nilo, che dalla spiaggia della Padulella aveva visto tutto col cuore in gola, saltò sul suo gozzo e si precipitò a soccorrerci, più veloce della luce, pareva Superman.
Accertatosi che noi stessimo tutti bene, dette la precedenza ai remi e al timone.
Aveva ragione, stava facendo buio e la barca con l’equipaggio poteva essere raccattata facilmente (a traina) in qualsiasi momento, remi e timone no.
Recuperato il tutto (ci mise poco, in base alla corrente sapeva già dove andare a cercare), venne alla barca.
Era più scioccato di noi e liberò lo spavento incazzandosi peggio di una iena.
Non avevo mai visto, prima di allora, una persona arrabbiata così tanto.
La partaccia che ci fece, col senno di poi, fu una grande lezione.
Una volta a terra, si trasformò in Clark Kent.
Fu di una premurosità sbalorditiva e ci rifocillò come si fa coi naufraghi: si procurò per noi asciugamani puliti e fece portare pizze e bibite dal bar/ristorante sulla spiaggia.
Con quell’equipaggio, cambiando capovoga, facemmo altri due assalti ai Campionati Italiani, nel 1991 e nel 1992: entrambe le volte finimmo sul podio, ma la vittoria ci sfuggì.
Seguirono altri tentativi, con altri equipaggi, andati tutti a vuoto.
Fino al 2009, quando la Padulella spezzò l’incantesimo proprio all’Elba, a Marciana Marina, con un equipaggio stratosferico (che di Campionati Italiani ne vinse tre consecutivi), allenato dal figlio Maurizio - tecnico sopraffino - e con a bordo il nipote Roberto come vogatore, ma Nilo fisicamente non era presente, le sue condizioni di salute non glielo consentivano, a malincuore era rimasto a casa.
Ma i ragazzi dell’equipaggio, una volta compiuta l’impresa, corsero subito da lui.
Perché da lui, e solo da lui, si doveva andare a festeggiare (nella foto).
Nilo si commosse. Ed eccezionalmente suonò la trombetta.
Perché tradizione imponeva che, quando alla Consumella nasceva un bambino, Nilo celebrasse il lieto evento con il suono di una trombetta, quella che usavano gli spazzini di una volta.
Era compito suo.
Quella volta Nilo fece il primo (e ultimo) strappo alla regola e suonò ancora la trombetta, celebrando la vittoria dei Campionati Italiani come se fosse un pargolo venuto al mondo.
In effetti quel titolo, sospirato, sofferto, agognato, era atteso da tanto, troppo tempo.
E Nilo, dopo aver aspettato una vita, fece in tempo a goderselo ed assaporarselo tutto, fino in fondo.
Morì qualche settimana dopo.
Ancora oggi si è mantenuta la tradizione di festeggiare il nuovo arrivato in zona con il suono di quella trombetta.
Di Nilo conservo un ricordo particolare, speciale.
Perché alla Padulella, inteso come spiaggia, ci ho anche preso moglie, in quel lontano 1989.
Alle sette del pomeriggio cominciava l’allenamento e quelli erano tempi dove il timoniere, tutti i giorni, lavava la barca, da solo e zitto.
Se non lo faceva, o se lo faceva male, scattava la rappresaglia, per lo più fisica: scariche di pattoni, tuffi in mare vestito e cose del genere.
Così spesso mi avvantaggiavo ed andavo al mare lì. Ci andava anche lei.
Avevamo ventotto anni in due, sembrava una cotta da adolescenti, invece non ci siamo mai lasciati ed oggi abbiamo quattro bambini.
Agli inizi della nostra relazione Nilo mi ha anche, se vogliamo, spalleggiato nei primi appuntamenti al mare.
Mi spiego meglio.
Per fare colpo su di lei, mi piaceva accompagnarla in delle gite a remi in barchetta, fino anche ai Prunini.
Ma la barchetta dove la prendevo?
Questa foto ne è la prova inconfutabile: me la prestava lui!
Ad onor del vero, quando gli chiedevo il permesso, bubbolava sempre qualcosa, ma di no non me l’ha mai detto.
Da Nilo ho imparato anche un’altra cosa: i nodi marinari che so fare (pochi per la verità) me li ha insegnati lui.
C’era una foto di copertina, sul supplemento dell’elenco telefonico di qualche anno fa, che immortalava la Padulella dall’alto.
Purtroppo non sono riuscito a recuperarla questa foto, però ce l’ho stampata bene in mente e proverò a descriverla.
Era una foto stupenda, scattata dal cucuzzolo (a metà scalinata lato destro), proprio dal punto esatto da dove venivano frullati i cronometri in mare.
La giornata doveva essere primaverile o forse tiepidamente invernale.
I colori erano più vividi del solito e lo scorcio era impagabile, come in certe giornate sanno offrire soltanto le spiagge bianche di Portoferraio (un po’ tutte, dalle Ghiaie a Sansone) esposte a nord.
Il cielo era terso, l’acqua limpida, la spiaggia deserta ed in mare, ovviamente, non c’era nessuno, tranne una piccola barca verde, precisamente al centro della baia.
E chi volevi che fosse? Era Nilo.
Ad un occhio attento, molto attento, non sfuggiva la sua postura, chinato in avanti col capo all’ingiù, nello specchio.
Insomma, polpava. Tanto per cambiare.
Quella foto andava oltre il panorama mozzafiato, quella foto era un riflesso dell’anima.
Continua…
Michele Melis
Didascalia foto
- Nilo.
- Nilo (di spalle con la maglietta rossa) con le “sue” barche di legno (Padulella 1 e 2).
- L’equipaggio della Padulella autore della bravata sulla secca di Capo Bianco.
- L’equipaggio della Padulella 1992.
- Nilo e l’equipaggio della Padulella campione d’Italia 2009.
- Il barchettino di Nilo.