Avevo detto (in “BLU”, due puntate fa), che la percezione dei colori è centrale in un’isola mediterranea. I colori usualmente associati all’Elba sono il verde e il blu, forti in una bella giornata di tramontana o di grecale, venti che amplificano il timbro smeraldino delle piante e il cobalto del mare. Poi, il racconto proseguiva fra il blu della rada di Portoferraio e della Linguella e il verde del monte Capanne e del museo di Marciana. Mondi lontanissimi, a pensarci bene, ma, a tratti, nella storia, improvvisamente e drammaticamente riavvicinati da complesse vicende culturali.
I Greci avevano chiamato l’Elba “Aithale” (del colore della fuliggine) perché l’isola appariva a quegli antichi navigatori, come una massa scura sul mare, del colore della fuliggine, come ha ben spiegato Alessandro Corretti. Certamente questo attributo coloristico si coniugò, presto ma non da subito, con l’immagine dei fumi che uscivano dai sempre più numerosi forni per la riduzione dei minerali di ferro. La massa scura era, però, frequentemente interrotta da episodi coloristici di tono diverso. Faccio un esempio: due anni fa, mentre scavavamo le mura antiche di Populonia, mi capitava spesso di lanciare nostalgiche occhiate dal promontorio di Baratti alla costa nord dell’Elba. Nelle giornate limpide si vedeva nettissima, come una ferita aperta, la frana di roccia bianca che interessa il litorale fra Sottobomba e Montebello. Anche i navigatori antichi, avvicinandosi, scoprivano che lo scuro dell’isola era rotto, qua e là, da una serie di incidenti cromatici: spiagge chiare, rocce rilucenti, promontori bianchi. Questi luoghi erano punti di riferimento preziosissimi per chi navigava senza bussola e senza sestante, potendo contare soltanto sull’osservazione del sole e degli astri e su portolani ormai perduti. Queste eccezioni cromatiche erano utili a identificare luoghi ricchi (di acqua, di cibo e di altre risorse), zone abitate da amici/nemici, buoni approdi. Spingendo il ragionamento ai limiti, queste macchie di colore potevano segnare la differenza fra la vita e la morte. I “Capo Bianco” e “Punta Bianca” (a Portoferraio, a Porto Azzurro, a Capoliveri) e la spiaggia delle Pietre Albe a Pomonte si chiamano così dalla notte dei tempi: il bianco riflettente delle rocce di aplite o di altre rocce chiare spezza il verde, il blu e la fuliggine. Talvolta, si aggiungono ulteriori elementi di contrasto (Terra Nera, Punta Nera).
Quando arriviamo nell’Elba orientale, troviamo altri mondi ancora. Soprattutto, troviamo un mondo molto minerale e orizzonti antichissimi, ottimamente descritti nel MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DEL DISTRETTO MINERARIO DI RIO NELL’ELBA. Questo Museo è importante perché, come quello di Marciana, risale, nel suo rifacimento, alla fase iniziale della progettazione del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, fase in cui la politica del Parco contemplava anche i valori storici (la vicenda umana) e non solo i quadri ambientali.
Il Museo, allestito nel moderno edificio del Barcocaio nel centro storico del paese, illustra la storia dello sfruttamento dei ricchi giacimenti minerari (soprattutto ferro) della parte orientale dell’isola, dalla Preistoria al Medioevo. Uno degli insediamenti archeologici più affascinanti dell’isola intera è certamente la grotta di San Giuseppe a Rio nell’Elba, luogo di sepoltura di un villaggio utilizzato per più generazioni, tra la fine del III e gli inizi del II millennio a.C. Fino a pochi mesi fa, potevamo affermare che la popolazione era coinvolta in attività di estrazione locale e di transazione del rame, partecipando alle coeve culture dell’area meridionale della Toscana continentale e dall’alto Lazio. Oggi, grazie agli studi di Marco Benvenuti e di Caterina Mazzotta sussistono dubbi su una lavorazione del rame elbano su vasta scala. Lo studio antropologico dei resti (appartenenti a circa 90 individui), illustrato in vari pannelli che analizzano le patologie e il tipo di nutrizione, contribuisce ad inquadrare questa popolazione in una società che traeva il proprio benessere da un’economia florida.
Una fiorente attività metallurgica sembra caratterizzare anche il periodo compreso tra la fine dell’età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro, cui sono riferibili ripostigli e corredi funerari pervenuti da collezioni private e recenti ritrovamenti: il nucleo di oggetti che compongono il ripostiglio di San Martino provenienti dalla Collezione Foresi, un cinerario fittile trovato in associazione con numerosi frammenti di bronzo a Cima del Monte e reperti ceramici e metallici rinvenuti di recente nella zona del Volterraio. Ad una fase avanzata della prima età del Ferro risalgono altri reperti della Collezione Foresi: il ripostiglio di sole asce di Colle Reciso ed una sepoltura dalla montagna di Campo con corredo di armi, fibule e frammenti di vari oggetti metallici.
Nella sezione etrusca sono esposti, per la prima volta, i reperti dei corredi tombali di età tardo-arcaica e proto-classica, provenienti da tombe a cassone trovate a Le Trane (Portoferraio) e i materiali relativi ad un grande opificio – il primo impianto siderurgico antico venuto in luce all’Elba – scoperto di recente a San Bennato (Rio Marina).
A Rio Elba è particolarmente attiva Cinzia Battaglia guida ambientale e anima della Casa del Parco “Franco Franchini”, dove organizza bellissimi stage di carattere ambientale e archeologico per grandi e piccoli.
Concludo con una promessa che, forse, è anche una minaccia. Nei prossimi giorni, se ci riesco, proverò a raccontare una storia che è un po’ un romanzo. Qualcosa che non è dimostrabile ma che potrebbe essere accaduto da queste parti, più o meno tremila anni fa.
Franco Cambi