Ci si può ammalare di troppe storie, un po’ come ci sia ammala di diabete per sovralimentazione? “Potrebbe darsi che una vorace avidità di storie fosse salutare per i nostri antenati ma che abbia invece conseguenze dannose in un mondo dove libri, lettori mp3, televisori e smartphone rendono le storie onnipresenti”. Parto dalla fine, da quest’ultima osservazione di Jonathan Gottschall, per entrare nel vasto territorio di temi, argomentazioni, studi scientifici, ipotesi presenti in L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno resi umani, edito da Bollati Boringhieri.
Gottschall, che insegna letteratura inglese in Pennsylvania, parte da lontano, dai test effettuati su gruppi di scimmie messe davanti a una macchina da scrivere per ricavarne che nessuna di loro, nonostante tentativi infiniti, potrebbe mai scrivere l’Amleto. Anche se l’Amleto, come sappiamo, è stato scritto da un loro discendente più evoluto, di nome William Shakespeare. Da questa osservazione paradossale Gottschall ricostruisce il passaggio dalle scimmie all’uomo, animale che fin dalle sue origini ha la prerogativa di raccontare e creare storie. “Potremmo non esserne consapevoli, ma siamo creature di un reame immaginario chiamato l’Isola che non c’è.”
Viviamo duemila storie al giorno
Gottschall segue non solo le tracce consuete e già note riassumibili in “tutto è narrazione”, ma cerca di spiegarci, attraverso i risultati di conoscenze tratte dalla biologia, dalla psicologia e dalle neuroscienze, come siamo diventati “l’animale che racconta storie” (che poi è il titolo originale del libro: The story-telling animal). Possiamo scoprire così che trascorriamo la metà delle nostre ore di veglia elaborando fantasie, attraverso sogni a occhi aperti (dialoghi con noi stessi) in cui ci raccontiamo circa duemila storie al giorno di 14” l’una, in media. A queste, ovviamente, si aggiungono i sogni notturni, che sono altre storie Cominciamo da bambini, creando realtà immaginarie, e continuiamo per tutto l’arco della vita, perché le storie ci danno molte delle informazioni e delle esperienze altrui necessarie alla vita e la nostra mente è modellata per le storie e al tempo stesso modellata dalle storie. Le storie fanno insomma da simulatori di volo per la vita e studi di laboratorio ci dicono che attraverso i neuroni-specchio le storie influiscono su di noi anche a livello fisico. “La nostra mente – sostiene Gottschall – combatte costantemente per estrarre significato dai dati che vi affluiscono attraverso i sensi.” La mente narrante però, ci avverte l’autore sulla base di innumerevoli studi, “può anche essere un saputello supponente. E’ allergica all’incertezza, alla casualità, alle coincidenze” e dunque inventa narrazioni anche dove non ci sono. Alla richiesta di “cosa hai visto?” dopo la proiezione di una sequenza di forme geometriche di un minuto e mezzo, solo 3 persone su un campione di 144 hanno detto di aver visto una sequenza di forme inanimate; per tutti gli altri il video raccontava una storia, ovviamente diversa per ciascuno. La nostra mente insomma tende a partire per la tangente, anche quando ci troviamo a narrare episodi della nostra vita. “Le persone – ha scritto il giornalista David Carr – ricordano più spesso ciò con cui possono convivere piuttosto che il modo in cui hanno davvero vissuto”. Per questa ragione, ad esempio, le autobiografie, e le stesse biografie, possono essere per buona parte considerate fiction. Questo vale anche quando consideriamo noi stessi in relazione agli altri. Due esempi di “storie” che ci rassicurano: il 90 per cento delle persone ritiene di essere un guidatore al di sopra della media e il 94 per cento dei docenti universitari ha la stessa certezza matematicamente impossibile.
Creature dell’Isola che non c’è
Per questo Gottschall considera gli esseri umani “creature dell’isola che non c’è. L’Isola che non c’è è la nostra nicchia evolutiva, il nostro habitat speciale.” Nel bene e nel male ci sono storie che si intrecciano con la Storia con la S maiuscola: La capanna dello zio Tom e Il buio oltre la siepe hanno favorito ad esempio una presa di coscienza diffusa del problema della schiavitù, mentre il Rienzi di Wagner, vuole una leggenda, avrebbe convinto Hitler a scegliere la sua strada di aspirante dominatore del mondo. E così, incidendo nel profondo, agiscono su di noi inconsapevolmente anche alcune canzoni, mini-storie che introiettiamo in noi.
Non possiamo fare a meno delle storie, insomma e, nonostante il gran discutere della “fine del romanzo”, nei soli Stati uniti esce un romanzo all’ora. Ovviamente la narrazione non è solo la forma-romanzo. “Come un organismo biologico la narrazione si adatta costantemente alla richiesta del suo ambiente.” Può accadere così che si diffondano tra milioni di persone videogiochi talmente coinvolgenti da creare vere e proprie culture con tanto di indagini etnografiche. E se, osserva ancora Gottschall, gli universi virtuali sono ritenuti responsabili del crescente senso di isolamento, sono a volte anche risposte a quell’isolamento, ripristinando quello che nella quotidianità è stato soppresso.
In una forma o nell’altra, è la conclusione, continueremo a essere immersi nelle storie. “Così come non torneremo mai a camminare a quattro zampe, le storie non usciranno mai dalla nostra esistenza di animali narratori.”
Jonathan Gottschall -L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno resi umani, traduzione Giuliana Olivero, Bollati Boringhieri, 2014, pp. 256, euro 22
L’Isola della lettura è una rubrica settimanale di Elbadipaul e Elbareport.
Luciano Minerva http://www.elbadipaul.it/