Non avevo mai pensato che i “SUV succhia-benzina” fossero figli dei mezzi militari blindati e rappresentassero “un simbolo di incolumità invulnerabile alla rischiosa e imprevedibile vita urbana fuori di casa”, uno dei tanti modi dei pubblicitari e del “mercato” di approfittare deliberatamente delle paure diffuse. Me l’ha fatto scoprire Zygmunt Bauman, in un utile e prezioso volumetto edito da Laterza e da La Repubblica, dal titolo Il demone della paura.
E’ uscito a giugno, ma ho pensato di rileggerlo dopo essere stato colpito dalle dichiarazioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 4 novembre, giorno delle Forze armate. Eccole, così come le ha riportare l’Ansa:
Si affermano "nuove e più aggressive forme di estremismo e di fanatismo che rischiano di investire anche l'Europa, e l'Italia in particolare, infiltrandone gradualmente le società. È una minaccia reale, anche militare, che, insieme all'Unione Europea e alla Nato, dobbiamo essere pronti a prevenire e contrastare".
E ancora: "Penso che da parte di ogni paese Nato si debba esser seri nel prendere decisioni, che non possono mai avallare visioni ingenue, non realistiche, di perdita di importanza dello strumento militare".
Gli effetti moltiplicatori della paura
Ho ascoltato queste parole nei Tg, senza scia di commenti e riflessioni nei numerosi talk-show, ripensando a quant’acqua è passata sotto i ponti rispetto a quando un altro Presidente, il primo di sinistra, Sandro Pertini, diceva spesso con convinzione, passione, chiarezza: “Svuotiamo gli arsenali, riempiamo i granai”. Anzi, più che acqua sotto i ponti di questi decenni è passata molta paura (già, ma ora anche “acqua”, dopo tutte le alluvioni che ci toccano, e dopo il naufragio della “Concordia”, fa rima con “paura”), mentre l’unico leader mondiale ancora fermo a visioni “ingenue e non realistiche” come quelle di Pertini è rimasto Papa Francesco, che ricorda a noi tutti a chiare lettere che dietro le guerre ci sono “gli interessi economici dei fabbricanti di armi che sono mercanti di morte e che dovranno rendere conto a Dio”.
Ho ripreso, appunto, il libricino (136 pagine, 5 euro e 90, non abbiate …paura di spenderli) di Bauman e altri, perché tutti i nostri politici, da Napolitano in giù, e non certo solo quelli italiani, sembrano ignorare ciò che a Bauman e altri sembra più che evidente, e cioè che “l’ingrediente base, il più imponente prodotto della guerra contro i terroristi accusati di seminare la paura, è stato fino ad ora la paura stessa.” O ancora: “Quando elaborano i propri piani strategici e progetti tattici, i terroristi possono includere tra i loro assets le reazioni previste, e quasi sicure, del ‘nemico’, destinate ad amplificare notevolmente l’impatto desiderato delle loro atrocità”.
“La paura – scrive Bauman nella breve introduzione – è con ogni probabilità il demone più sinistro tra quelli che si annidano nelle società aperte del nostro tempo.”
I testi che Il demone della paura ci offre non sono nuovi né inediti: sono rielaborazioni riviste dall’autore da un testo del 2007, interviste de La repubblica a studiosi come Marc Augé, Ulrich Beck, Alain Touraine, brani da relazioni a un interessante convegno internazionale sulla paura, datato 2008, studi sulle cifre dell’insicurezza, sulla cronologia delle paure contemporanee e sulle scelte deliberatamente ansiogene dei mass-media.
Ma proprio il fatto che queste analisi e studi di alcuni anni fa siano straordinariamente adatti a comprendere ciò che accade intorno a noi (e con riflessi all’interno di noi), come l’Isis, l’Ebola, ecc., li rende ancora più attuali e degni di nota.
Nulla di meglio, in questo caso, anziché scrivere una recensione-segnalazione, che prendere antologicamente alcuni brani dal testo e trascriverli, con i titoli dei capitoli che ne tracciano il percorso. Scelgo questa strada perché i brani (questi come altri) sono talmente chiari che sarebbe difficile illustrarli o riassumerli con altre parole.
1. Il veleno della paura
Uno studio sulla violenza terroristica della Rote Armee Fraktion, nella Germania degli anni ’70, ha scoperto che “mentre nel 1976 soltanto il 7 per cento dei cittadini tedeschi considerava ‘incolumità personale una questione politica fondamentale, due anni dopo una maggioranza considerevole della popolazione la riteneva molto più importante della lotta contro la disoccupazione e l’inflazione.”
2. Il tempo della paura
“Mettere in mostra le minacce all’incolumità personale è diventata una delle principali, se non la principale risorsa nella guerra degli ascolti tra i mass-media, rimpinguando continuamente il capitale della paura e rendendone ancora più efficace l’utilizzo, sia commerciale che politico.”
“Con il progressivo smantellamento delle difese contro i tremori esistenziali, costruite e finanziate dallo Stato, e con la crescente delegittimazione dei sistemi di autodifesa collettiva, come i sindacati e altri strumenti della contrattazione collettiva a opera della concorrenza del mercato che erode la solidarietà dei deboli, adesso viene lasciato agli individui il compito di cercare, trovare, adottare soluzioni individuali a problemi prodotti dalla società.”
3. Lo Stato della paura
“Non avere un posto di lavoro viene sempre più percepito come uno stato di ‘esubero’ (essere scartati, etichettati con il marchio di superflui, inutili, non impiegabili e condannati a rimanere ‘economicamente inattivi’) invece che come una condizione di ‘disoccupazione’ (termine che indica un allontanamento dalla norma, che è quella dell’essere occupato, un disturbo temporaneo che può e deve essere curato).“
“Soltanto una linea sottile separa oggi i disoccupati, in modo particolare i disoccupati di lungo periodo, dal buco nero della ‘sottoclasse’, […] persone il cui apporto alla vita della società è nullo, delle quali la società potrebbe fare a meno e ne guadagnerebbe sbarazzandosene.
“Non meno tenue è la linea che separa i ‘superflui’ dai ‘criminali’: la ‘sottoclasse’ e i ‘criminali’ non sono altro che due sottocategorie degli esclusi, dei ‘socialmente inadatti’, o addirittura degli elementi ‘antisociali’.
4. Lo spazio della paura
“Le più angosciose fra le paure contemporanee nascono dall’incertezza esistenziale. Sono paure che affondano le loro radici molto più in profondità nelle condizioni di vita. […] La mixofobia (la paura di una società in cui ci si mescola agli altri, n.d.r.) che infesta la coabitazione degli abitanti delle città non è la fonte della loro angoscia, ma il prodotto di un’interpretazione perversa e fuorviante delle sue origini.”
“La funzione latente delle barriere al confine, apparentemente erette contro i “falsi richiedenti asilo” e i migranti puramente economici, è di rafforzare l’instabile, erratica e imprevedibile esistenza di quelli che stanno dentro. Ma la vita liquida moderna è destinata a rimanere erratica e capricciosa…”
5. I diritti come antidoto alla paura
“Senza diritti politici, la gente non può essere sicura dei propri diritti personali: ma sena diritti sociali , i diritti politii saranno un sogno irraggiungibile. […] Se i diritti sociali non sono garantiti, i poveri e i pigri non potranno esercitare i diritti politici di cui formalmente godono. E allora i poveri avranno titolo soltanto ciò che i governi riterranno necessario concedere.”
“Come dice acutamente Benjamin R. Barber, ‘nessun bambino americano potrà sentirsi sicuro nel suo letto se i bambini di Karachi o Baghdad non si sentiranno sicuri nei loro. Gli europei non potranno vantarsi a lungo delle proprie libertà se i popoli di altre parti del mondo rimarranno poveri e umiliati.’ ”
Questo è ciò che scriveva Bauman nel 2007. Dovrebbero essere temi cruciali, dovrebbero essere affrontati seriamente dalla politica, se non circolasse dalle parti del governo (e non solo) quella terribile spocchia (non nuova nella storia, ahinoi) contro gli intellettuali e i “professoroni” come Bauman e gli altri studiosi le cui acute riflessioni vengono bellamente ignorate da chi ci governa in nostro nome e per nostro conto.
Non voglio togliere ai lettori il piacere della scoperta, dunque non trascrivo altre citazioni da questo prezioso libricino, se non per concludere con un’osservazione del sociologo tedesco Ulrich Beck: “Esagerando un po’ si può dire che non è tanto l’atto terroristico quanto la sua messa in scena globale e le anticipazioni politiche che crea, con azioni e reazioni, che stanno distruggendo le istituzioni occidentali di libertà e democrazia.” Lo disse in un’intervista a Fabio Gambaro sei anni fa, è confermato sempre di più da ciò che abbiamo davanti ai nostri occhi.
Zygmunt Bauman, Il demone della paura, trad. Savino D’Amico, ed. Laterza e La Repubblica, 2014, pp. 136, euro 5,90
Luciano Minerva http://www.elbadipaul.it/