Nella notte appena trascorsa, fra il 21 e il 22 dicembre, abbiamo oltrepassato, senza accorgercene, il solstizio d’inverno (esattamente alle ore 23:03). Dal 17 dicembre al 6 gennaio attraverseremo una lunga serie di ricorrenze solari. ll Natale cristiano è una delle tante feste che dimostrano come un concetto cronologico saldamente associato a fedi e liturgie antiche del tempo e della fertilità sia stato assimilato, non senza imbarazzi, dal Cristianesimo, assumendo via via nuovi significati. La religione romana, bollata dai cristiani come superficiale e puramente liturgica, fu, in realtà, tutt’altro che banale.
Fra il 17 e il 23 dicembre si celebrava a Roma la festa di Saturno, con banchetti e scambi di auguri e di modesti doni. Il nostro termine “strenna” deriva da “strena”, parola latina a sua volta derivante dall’antica lingua dei Sabini, che starebbe ad indicare il dono augurale. In questi giorni, fra i più brevi e oscuri dell’anno, le diverse divinità del sottosuolo (Saturno, Plutone, Dis Pater) uscivano dall’inferno e vagavano sulla terra. Nella mentalità antica, ambigua per definizione e per noi quasi incomprensibile, queste divinità tutelavano da un lato le anime dei defunti, dall’altro le campagne e i raccolti. Poiché si temeva che le loro cupe processioni potessero danneggiare il ciclo della fertilità, interrompendo il periodo del riposo invernale del terreno, si offrivano loro doni e feste per favorire il loro ritorno nell'aldilà e il loro ricollocarsi nel ciclo stagionale.
E’ importante, in questi giorni, il succedersi delle divinità femminili. Il 21 dicembre, solstizio d’inverno, i Romani celebravano Angerona, arcaica divinità del silenzio e degli amori segreti, raffigurata con l’indice della mano destra sulla bocca chiusa. Si pensava che con questo gesto la dea intimasse di tacere il vero nome di Roma, per tenerlo nascosto ai nemici. Il silenzio era considerato, nella mentalità romana arcaica, una grande virtù. Ma il nome di Angerona poteva derivare da “ab angeronando”, cioè dal rivolgersi del sole (immagine che rimanda al passaggio fra il periodo del declino della luce a quello in cui le giornate tornano ad allungarsi). Ang-erona guariva dalle cardiopatie (prima fra tutte la ang-ina pectoris). I giorni della sua cerimonia sono il “tempus in quo ang-usta lux est”, i giorni in cui si deve percorrere l’ang-usto passaggio fra la morte-buio (e le relative paure) e la rinascita-luce, ancora lontane ma già quasi percettibili. Di Angerona, divinità priva di santuari, si venerava una statua collocata nel tempio o presso l’ara di Volupia, sul lato occidentale del Palatino, presso la porta aperta verso il Tevere.
La silenziosa Angerona doveva avere qualche connessione con la ninfa Tacita Muta, altra significativa divinità del silenzio, onorata nella circostanza di feste celebrate il 18/21 febbraio. Tacita Muta si chiamava, in origine, Lala (dal greco lalèo, parlare). I suoi eccessivi chiacchiericci fecero infuriare Giove, che dispose il taglio della lingua e il trasferimento della ninfa nell’Ade, sotto la scorta di Hermes-Mercurio. Violentata dal dio, la ninfa generò due gemelli (i Lari). Poiché simbolo di morte e del silenzio eterno, alle cerimonie invernali in onore di Tacita Muta si unì una festività dei Morti (Feralia).
Il nome dei Lares ci porta ad un’altra divinità femminile: Acca Larentia o Larunda. Questa, in origine, potrebbe essere stata una prostituta di origini etrusche, protettrice degli umili. Divenuta ricchissima, avrebbe lasciato in eredità al popolo romano un patrimonio talmente ingente da giustificare l’istituzione di importanti feste in suo onore, le Accalia o Larentalia, celebrate il 23 dicembre al Velabro, presso la sua tomba. Secondo altre fonti, Acca Larenzia sarebbe stata la moglie del pastore Faustolo, che avrebbe soccorso i gemelli Romolo e Remo, salvandoli dalle acque. In questa versione la donna assumerebbe il nome di Fabula (colei che parla…) e viene detta “lupa”, termine gergale con il quale i Romani identificavano la prostituta.
Si arriva così al 24-25 dicembre, ovvero ai due giorni in cui i Romani celebravano il Dies Natalis Solis Invicti, "Giorno di nascita del Sole Invitto", giorno che concludeva i Saturnalia. La sanzione di questa festa al 25 dicembre e, conseguentemente, del Natale cristiano, è riportata da una fonte dell’anno 354. E’ noto, tuttavia, che la festività andò a innestarsi su un culto solare antichissimo, quello di Sol Indiges.
A questo punto, tuttavia, si era già innescata, e da tempo, una catena di equivoci. I Romani pensavano, infatti, che i cristiani fossero adoratori del sole. Né i cristiani stessi contribuirono a dissipare questi equivoci: la domenica, giorno del Signore, è, infatti, anche il “giorno del Sole”, come lo chiamano già i padri della Chiesa. Ulteriori confusioni derivarono dalla scelta di celebrare la nascita di Cristo in coincidenza con il solstizio d’inverno e con il Dies Natalis del ritorno del Sole vincente sulle tenebre. E’ assai probabile che la scelta di far convergere sul 25 dicembre le diverse celebrazioni sia stata in gran parte determinata dalla necessità di decostruire il significato delle celebrazioni pagane e di assorbirle. Il forte radicamento delle feste solstiziali pagane nella mentalità e nella sfera emotiva collettiva è provato dal fatto che, ancora attorno al 460 d.C., con l’impero in via di disfacimento, il grande papa Leone, vincitore morale di Attila, doveva, suo malgrado, ammettere che alcuni cristiani, prima di entrare nella basilica di San Pietro, si volgevano verso il sole e si inchinavano…
Il giorno di Natale sembra anche essere quello in cui le divinità femminili della fertilità di un remotissimo passato, silenti o tacitate, cedono il passo al ritorno di Zeus-Iuppiter-Giove, la grande divinità maschile indoeuropea del sole, del fulmine, del fuoco e della quercia. Il 24 dicembre era tradizione accendere un grande ceppo di legno di quercia nel camino. In alcune comunità si allestiscono e poi si accendono grandi cataste di legna nelle strade e nelle piazze, per festeggiare il Natale cristiano e la rinascita del sole, ancora oggi.
Passeranno alcuni giorni, comincerà l’anno nuovo. Torneranno, di nuovo, le antiche divinità femminili. Ma della Befana parleremo fra qualche giorno…