Una festa della mia infanzia
Se frugo tra i ricordi del passato
che vanno indietro oltre i cinquant’anni
sicuro che la memoria non m’inganni
rivivo come presente il tempo andato.
Come da un sogno recente si ridesta
l’ambiente familiare il dì di festa.
La mia famiglia semplice e modesta
mai un momento è stata inoperosa,
ha affrontato in maniera dignitosa
le tristezze che la vita manifesta.
In casa il pane non c’è mai mancato,
ma niente doveva essere sprecato.
Per le feste si faceva il “ritrovato”
ossia il pranzo con i parenti stretti
si metteva la tovaglia coi merletti
le posate di metallo inargentato.
Anche i piatti bianchi rigati di celeste
erano riservati per le feste.
Le regole per apparecchiare erano queste:
i calici di vetro cristallino
uno per l’acqua e l’altro per il vino,
le bottiglie con la trina in sopravveste.
Era una bella tavola imbandita
pronta a ricever la mia famiglia unita.
L’attesa per il pranzo era infinita,
sembrava che il cibo non venisse cotto,
gli ospiti attendevano in salotto
ricordando le avventure della vita.
Le donne eran rapite dai fornelli
e le camere riservate a noi monelli.
Per passare a tavola non c’eran campanelli,
bastava un cenno del capofamiglia
a scatenare un allegro parapiglia
per occupar le sedie e gli sgabelli.
Era un momento agitato, ma composto
poi ognuno si sedeva al proprio posto.
Si cominciava con fette di pan tosto
spalmate con burro, acciuga e capperini,
misti a crostini di milza e fegatini,
salumi nostrani con sott’oli accosto.
Un antipasto semplice e normale,
senza salmone, ostriche o caviale.
Se il pranzo era quello di Natale,
si proseguiva con le tagliatelle
tirate a mano e gialle come stelle,
condite con sugo di manzo e di maiale.
Servite nelle zuppiere ben condite,
che appena vuote venivan riempite.
Dopo che le tagliatelle eran servite
un altro primo era in tavola portato:
un bel turbante di riso sformato
con salsa di rigaglie saporite.
Ad ogni cambiamento di portata
con gli applausi veniva salutata.
Era proprio una bella tavolata,
dove tutti si sentivano contenti
e manifestando positivi sentimenti
volevano l’occasione rinnovata.
Dopo ascoltato il discorso di rito
si poteva andare avanti nel convito.
Come secondo era di solito servito
maiale cotto nel forno e pillottato
con qualche spiedo di arrosto girato,
insieme a più d’un contorno saporito.
Queste piatti profumati e succulenti
sono nel mio palato ancor presenti.
Il vino non conosceva abbinamenti
come al giorno d’oggi è molto in uso,
qualche bottiglia speciale e il resto sfuso
accantonato apposta per gli eventi.
Quando diverse bottiglie eran vuotate
cominciavan le barzellette e le risate.
Appena finite le grandi portate
la tavola veniva in parte sbarazzata
per essere di nuovo preparata
con l’aggiunta di bicchieri e di posate.
Era l’atteso momento per i ghiotti
sian essi bimbi, adulti oppur vecchiotti.
Cominciava ad arrivar torte e biscotti,
dolci al cucchiaio, ciambelle, zuccherini,
bicchieri di vin santo e cantuccini
torroni, panettoni e gianduiotti.
Si stappava qualche bottiglia di moscato,
qualche rosolio e qualche distillato.
Alla fine qualche volto è un po’ arrossato,
ma tutti stanno bene in compagnia,
e in questa atmosfera d’allegria
parte qualche discorso strampalato.
È sera, la festa sta per terminare
Ognuno a casa sua deve tornare.
Questa nitida scena ancor m’appare
e dopo una vita che ho vissuto altrove
ancora questo ricordo mi commuove,
pensando che indietro non posso ritornare.
E’ una rimembranza dell’infanzia mia
che dedico al mio paese natale: Scarperia.
Alvaro Claudi