L’Isola d’Elba e l’Arcipelago Toscano rappresentano un caso emblematico di unione fra natura e cultura: un’unione inscindibile, dalla quale sono scaturiti paesaggi mediterranei unici. Proprio la condizione insulare può essere la base su cui ricostruire un profilo unitario per un arcipelago la cui ricchezza principale è proprio l’irripetibile insularità, accompagnata ad una densità storica e ad una varietà paesaggistica che devono ancora essere adeguatamente valorizzate, per la crescita culturale dei residenti e di chi vuole condividerne la bellezza, magari anche per pochi giorni.
Serve, d’ora in avanti, una gestione condivisa del patrimonio ambientale e culturale dell’isola, basata su due pilastri: la condivisione verticale fra natura e cultura e la condivisione orizzontale fra le diverse istituzioni. La cultura di una comunità è scenario unificante, pur con le necessarie specificità locali, non rispetta i confini amministrativi (dei quali non sa che fare), se ne costruisce di propri.
Mentre le differenze sono sinonimo di ricchezza, la divisione porta inefficienza, disservizio, spreco. Ove si afferma “ognun per sé”, “facciamo da soli” e simili amenità, quello diventa il palcoscenico della rappresentazione del fallimento.
La gestione del patrimonio ambientale e culturale deve essere unitaria per sua natura. Già tanti problemi derivano da una concezione idealistica, elitaria e patrimoniale (quanto vale quel quadro?) del patrimonio culturale. Mentre in Italia ancora ci si accanisce attorno al vetusto e stantio concetto di Beni Culturali, altrove si è da tempo introdotto il concetto di “Heritage” (eredità), ovvero ricchezza data a noi in temporaneo possesso dai genitori perché possiamo trasmetterla ai figli, possibilmente accresciuta e valorizzata, non rendita da consumare più o meno lentamente. Il patrimonio ambientale e culturale (e il paesaggio che ne scaturisce) è garanzia dei diritti e dei beni comuni, non difesa del privilegio.
Nell’Arcipelago bisogna rendere comune l’azione dei Comuni, superare gli schieramenti e individuare un tavolo di condivisione, possibilmente con la mediazione del Parco Nazionale dell’Arcipelago.
Il terreno del patrimonio culturale può, in questo momento, essere quello giusto sul quale avviare una sperimentazione condivisa e collettiva. Ogni Comune ha una, dieci, cento emergenze ambientali e culturali. Sarebbe opportuno che i Comuni scegliessero un simbolo ciascuno, possibilmente al di fuori degli abitati: le Grotte, la villa romana del Cavo, Santa Caterina o Grassera, Monserrato, Madonna delle Grazie, San Michele, Castiglione di Marina di Campo, Fortezza pisana, Scoglio della Paolina o Cotone... e mi limito solo all’Elba.
Fatta una lista dei costi vivi di gestione di questi luoghi e delle loro rispettive criticità (accessibilità, visibilità, conoscenza, diffusione), costruiamo su questa prima compagine una progettualità, ripartendo oneri e onori, ottimizzando gli usi sociali di questi beni comuni e le risorse, umane e tecnologiche, che i Comuni hanno a disposizione, attraverso una convenzione unica. Questo può valere per i musei, che sono, spesso, in sofferenza di personale addetto al controllo, come per le aree aperte. E lo stesso si può dire per la comunicazione all’esterno dei luoghi con valenze culturali.
Dove non si arriva con le proprie forze, si arriverà coinvolgendo altre forze, altre istituzioni, altre competenze, con le quali stringere un rapporto di condivisione, di sussidiarietà, di sinergia: i mondi della scuola, delle associazioni, dell’impresa, delle università.
Franco Cambi