Dal 26 luglio al 2 agosto la Gran Guardia di Portoferraio ospiterà il terzo progetto espositivo dell’artista – professore Paolo Guidotti, già presente all’Elba nei due anni passati presso Il Libraio con le mostre “I quadri di eza” e “Mi sono perso in Calata”. In quest’occasione, ancora una volta, Guidotti stupisce per la straordinaria capacità di sviluppare la sua ricerca artistica, basata su un’idea di opera d’arte del tutto personale ed originale, pur restando sempre fedele a caratteristiche riconoscibili che ormai rappresentano il “marchio di fabbrica” del suo modo di lavorare: il formato rimane sempre il medesimo (30 X 40), cosi come il modo di assegnare prezzo e nome alle proprie creazioni. Quale, dunque, la svolta concettuale che viene presentata in questo contesto? Partendo dal titolo “Il quadro di eza” risulta chiaro che l’artista ha cercato di fare di un’unica opera la summa del suo percorso. Superando infatti la difficoltà che molti pittori provano dinnanzi ad una tela bianca, Guidotti parte da una delle sue opere (la n 233) e la manipola fino al punto che si sente soddisfatto del risultato. Quest’ultimo viene immortalato in un’immagine fotografica che rappresenta il successivo punto da cui partire. Procedendo in questa direzione eza si è trovato sempre di fronte ad un nuovo inizio che prende, però, le mosse da una realizzazione precedente. Egli in questa maniera riesce a dar vita ad un’opera ogni volta diversa ma che emerge da una stratificazione di azioni e riflessioni documentate nei diversi quadri esposti, tutti capitoli di un percorso che non aspetta altro che di essere condiviso. Trentuno tavole portano dunque i segni di un progetto che unisce fotografia, collage e pittura, mix che permette di ottenere risultati del tutto differenti l’uno dall’altro e in grado di lasciar trasparire anche un certo gusto estetico. In conclusione vale la pena porre l’accento sulle parole che compaiono nell’opera n 233 e che riassumono i principali spunti di riflessione sui quali egli si sofferma: “La vita è arte/è unica/ha senso se esiste un altro/non ha mercato”. Alla luce anche delle esposizioni degli anni passati emergono forte l’idea del legame indissolubile che lega il “fare arte” al desiderio di sentirsi vivi; la volontà di creare degli unicum; il fatto che ogni pezzo nasca grazie ad un percorso precedente e che abbia il potere di creare dei momenti di scambio e dialogo; la speranza di svincolare il mondo dell’arte da noiose e poco accattivanti dinamiche commerciali.
Alice Betti