Una macchia verde, scurissima, nel chiarore dei castagni. Bacche rosse che ravvivano a sorpresa l’autunno dei monti più occidentali dell’Elba. Le due vallate di Marciana e Poggio conservano numerose stazioni di agrifoglio (Ilex aquifolium), un alberello molto longevo e a lentissimo accrescimento che predilige molta ombra insieme ad un alto tasso di umidità atmosferica; non a caso lo si ritrova sempre immerso tra alberi più alti di altre specie, a partire dai 300 metri di altitudine. Il suo antico nome elbano era «caracuto», identico al «caracutu» di Corsica; secondo alcuni, questo arcaico termine conserverebbe una radice mediterranea «car-» nel senso di «acuminato», unita al latino «acutus» sempre in riferimento alle foglie appuntite dell’albero. Secondo altri, dal latino «carex acuta». Una località dell’Elba occidentale, vicino la torre medievale di San Giovanni, era chiamata «Caracuto al Nibbio», che si può tradurre come «agrifoglio della nebbia». Nel 1744, a proposito del paese di Poggio, scriveva Giovanni Vincenzo Coresi Del Bruno: «Alla sommità de’ monti più aspri vi si ritrova una qualità di legno così bianco che per intarsiare serve in vece d’avorio, e questo lo chiamano agrifoglio.» Le belle bacche rosse dell’agrifoglio, simbolo del Natale, sono velenosissime per gli umani ma assai gradite dagli uccelli; sono possedute solo dagli esemplari femminili dell’albero. Le popolazioni germaniche della Foresta Nera ricavavano un tè dalle foglie secche dell’agrifoglio. Secondo il naturalista latino Gaio Plinio Secondo, «piantare un alberello di agrifoglio nella propria casa di città o di campagna ne annulla i sortilegi. Pitagora afferma che il suo fiore congela l’acqua e che un bastone ricavato da questa pianta, se viene lanciato contro un animale e tuttavia ne cade lontano per la scarsa forza di chi lo lancia, gli si riavvicina da solo.»
Silvestre Ferruzzi