Si è svolta sabato 9 a Firenze, presso la sede della SACI (Studio Art Centers International) una giornata di studi dal titolo Dipinti fuori dal carcere, sul restauro di alcuni dei quadri provenienti dalla chiesa di San Giacomo al Forte di Porto Azzurro. L’occasione è servita soprattutto per comunicare pubblicamente ‒ a metà del percorso ‒ il grado di avanzamento dei lavori. Com’è noto, nell’ottobre 2015, si concluse un accordo tra la Soprintendenza alle Belle Arti di Pisa e Livorno ‒ competente in quanto i dipinti sono di proprietà statale ‒ e la prestigiosa scuola statunitense di formazione al restauro (con sede a Firenze), uniti dall’obiettivo comune di dare inizio al complesso progetto di recupero e valorizzazione di un importante patrimonio artistico elbano, partendo da quattro tra le opere più compromesse (su un totale di undici).
Il convegno si è aperto con il benvenuto del presidente della SACI, Steve Brittan e col saluto del commissario Giulia Perrini, a nome del direttore del penitenziario di Porto Azzurro, Francesco D’Anselmo. Sono quindi intervenuti Andrea Muzzi, Soprintendente alle Belle Arti per le province di Pisa e Livorno, che si è soffermato su alcuni punti nodali della tutela dei beni artistici, soprattutto sulla necessità di non disperdere e riportare alla fruizione collettiva anche gli oggetti meno noti o quelli che, come in questo caso, sono rimasti nascosti per un lungo periodo a causa della loro particolarissima collocazione (un istituto penitenziario). A seguire Amedeo Mercurio, storico dell’arte della Soprintendenza responsabile per il territorio elbano, che ha tratteggiato la cronaca del salvataggio dei dipinti ‒ dalla chiusura della chiesa nel 2005 alla rimozione del 2014 ‒ inserendola in una più ampia prospettiva sul significato storico dei luoghi e delle opere, con alcune ipotesi sulla loro possibile collocazione futura. Infine, Roberta Lapucci, direttrice del gruppo di lavoro impegnato nel restauro, ha svolto un’accurata disamina delle vicende ‟spagnolescheˮ che portarono alla fondazione del Forte di Longone e della sua chiesa barocca ‒ e alla sua conseguente dotazione di dipinti a soggetto sacro, con iconografie ben delineate ‒ offrendo le prime anticipazioni di una ricerca agli inizi volta a dissipare il mistero che ancora ricopre il nome degli autori dei dipinti.
Il convegno è poi proseguito nel pomeriggio con gli interventi di carattere tecnico svolti dagli operatori in formazione della SACI impegnati nel restauro. Soprattutto sono stati illustrati i punti di maggior criticità del lavoro dovuti alle condizioni di accentuato degrado in cui i dipinti hanno sostato per un periodo lunghissimo, alle prese con un vero e proprio catalogo completo dei maggiori nemici della corretta conservazione dei dipinti su tela (salsedine, infiltrazione di acqua piovana, incursioni di volatili).
In conclusione una breve tavola rotonda ha tirato le somme dei lavori rilevando soprattutto la passione con cui i giovani operatori hanno recepito sin dall’inizio il carattere avvincente dell’operazione, ancor più perché li metteva di fronte a oggetti provenienti da un contesto storico così diverso da quello nord-americano di provenienza.