«Figuratevi una sorta di lago svizzero, più bello, con il cielo dell’Oriente…».Appena entrato nella rada di Portoferraio, nell’aprile 1902, Paul Gruyer non riuscì a tenere nascosto l’entusiasmo per quella placida visione di sogno. Poi la visita immancabile alle memorie napoleoniche dei Mulini e di San Martino, le fotografie scattate in gran numero per abbellire la sua futura pubblicazione elbana.
L’esplorazione dell’isola seguì verso ovest, con le ridenti piane di Procchio fino ad arrivare a Marciana Marina; là si trovava l’«Albergo della Pace» gestito dal signor Ventura Braschi, dove lo scrittore francese trovò alloggio. La mattina dopo, con tempo nuvolo, Gruyer si incamminò verso Marciana: «Dopo una mezz’ora di salita in questa nebbia, la forma degli oggetti ridiventa più precisa, il sole splende di nuovo ed ecco, sopra la mia testa, Marciana Alta sorgere dalle nuvole.»; quella Marciana che «è il paese còrso, selvaggio e sinistro, il nido d’uccelli da preda.» In paese lo scrittore cercò una guida per essere condotto al santuario della Madonna del Monte, e la trovò in una taverna fumosa: «È francese, è francese come l’Imperatore!» si sentì apostrofare dai marcianesi. L’uomo che lo avrebbe accompagnato, stravaccato sui tavoli ed armato di un nodoso bastone, era «una specie di Ercole, dalla stazza di un toro; dalla sua camicia aperta emergeva una petto muscoloso e villoso; era a piedi nudi (…). Quest’uomo dall’aspetto formidabile era il gigante buono delle favole (…).»
Arrivati nella nebbia alla Madonna del Monte, tutto apparve spettrale: i castagni secolari, il santuario, il romitorio, il Teatro della Fonte. Lassù si manifestò il romito, «un vecchio signore che abita lì con la moglie ed una capra, perduto come un indiano nella Pampa. Marciana Alta è per lui il centro della civilizzazione, e vi si ritira in inverno; Marciana Marina comincia a diventare la meta di un viaggio importante, e quanto a Portoferraio, se vi va due volte l’anno, è molto. Lui è, però, il re dell’infinito.» E il «Re dell’Infinito» volle accompagnare Gruyer fino al Masso dell’Aquila, dove sino a cinquant’anni prima erano visibili i resti del Telegrafo di Napoleone. «Ma il vecchio cerca di farmi capire che bisogna restare ancora ed aspettare un po’: ‘Poco, poco, signore!’. Fa il mulinello con le sue braccia per esprimere che la nebbia si dissiperà presto e che io vedrò la Corsica.» E accadde proprio così: «’Venite, signore, venite!’ mi grida il vecchio, e mi porta rapidamente fino ad una roccia in parte murata davanti alla quale si avverte il vuoto, e che forma una sorta di trono ciclopico dove si sedeva l’Imperatore. (…) Le nuvole si mettono a fuggire lungo la montagna (…) e davanti a me, a cinquanta chilometri oltre il mare, dalla polvere d’oro dell’occidente si delinea poco a poco il lungo profilo, seghettato, delle montagne còrse, del Monte d’Oro e di tutta la schiena nevosa che corre da un capo all’altro dell’isola. È qualcosa d’indimenticabile e di sublime. Il vecchio ride ad alta voce per il suo trionfo e i suoi occhi scintillano come i miei al riflesso del sole che scende nel cielo davanti a noi e quasi già tocca l’orizzonte.»