“Il Tesoro del Carmine” di Gianfranco Vanagolli è un romanzo d’avventura ricco di colpi di scena, agguati, rischi mortali, coraggio, determinazione, amore, incontri fugaci, associazioni clandestine, spie e avventurieri di cui è protagonista un giovane di belle speranze, Jean Thomas, francese, di ascendenze corse, che si trova a vivere un momento storico convulso, coincidente con la parabola politica e militare di Napoleone e un’ Europa, già convocata a Vienna, nei suoi capi di stato e di governo, che progetta la Restaurazione.
Il motore della vicenda è, come nei migliori romanzi d’avventura, la ricerca di un tesoro in una chiesa, quella del Carmine, di Portoferraio ─ fondale di quasi tutta la storia ─ che, a sua volta, sta per diventare teatro. Ecco, il dinamismo è forse una delle possibili chiavi di lettura del novel, dove niente è stabile e duraturo: Napoleone è l’imperatore di un minuscolo regno, a cui si dedica con la frenesia che lo contraddistingue, progettando una viabilità moderna, un moderno sfruttamento delle risorse minerarie e tentando di coinvolgere nel cambiamento anche la sonnolenta Pianosa, ma il suo cuore e la sua mente sono altrove, oltre il Canale; Jean è approdato sull’Isola seguendo l’odore dei soldi, ma sull’Isola resterà coinvolto in una rete da cui si districherà fortunosamente, per approdare su altri lidi, ancora per poco nell’obbiettivo della Storia; la folla di uomini e donne al seguito del Grande è anch’essa fluida, in perpetuo movimento, aggrappata allo Scoglio come all’ultima zattera dei propri interessi, messi in forse dall’abdicazione di Fontainebleau.
Dunque trasformazione e metamorfosi, che investono anche la sfera dei sentimenti o delle passioncelle nelle pagine del “Tesoro”, ma in esse, oltre all’avventura c’è ben altro.
Per esempio, un’attenta, mai pedante, ricostruzione storica dei dieci mesi dell’esilio elbano, affidata spesso alla prospettiva dei personaggi, e che quindi fa tutt’uno con la fiction. Gianfranco ha giustamente messo a frutto la sua competenza in proposito regalandoci squarci autentici e godibissimi della Portoferraio napoleonica, con i suoi personaggi di fama mondiale, per esempio la mitica Paolina, le sue feste, i suoi capricci, la sua generosità, ma anche la vita, improvvisamente stravolta e coinvolta nel tourbillon della corte, della borghesia elbana, ansiosa di essere all’altezza del momento di gloria che l’Isola sta sperimentando. Senza dimenticare, naturalmente, i nostri paesaggi di struggente bellezza, che punteggiano ed esaltano i pensieri e le azioni delle creature coinvolte. Il tutto in una prosa fluida, piana, sapientemente ritmata, che non trascura, accanto ai termini tecnici della navigazione e dell’ars militaris, le nostre espressioni gergali elbane né, tantomeno, i sapori della nostra cucina, i profumi della nostra terra o la luce del nostro mare.
Maria Gisella Catuogno