L'ALBA DELL'UNITA' D'ITALIA ALL'ELBA (1859-1860)
Questa è la seconda parte della lettera scritta il 20 maggio 1859 al governatore militare e civile dell'Elba dal "devotissimo servitore" Enrico Poggi, neo ministro di Giustizia e Grazia del gabinetto di governo di Toscana formato dal commissario straordinario Boncompagni.
Il Poggi volendo far conoscere "gl'intendimenti e le vedute" che gli serviranno da guida nell'esercizio del ministero di cui è stato chiamato a far parte, così continua:
"Ogni opinione è rispettata,ogni modo d'intendere e d'apprezzare l'andamento delle cose pubbliche è libero, purchè il Magistrato dopo aver con retta coscienza compiuto il dover suo si conduca nel consorzio sociale col senno e colla temperanza che si conviene a chi è insignito di un Sacerdozio Civile.
Vano è che raccomandi a Giudici zelantissimi l'osservanza severa della disciplina la quale rende più appariscente e più sensibile agli occhi di chiunque la rettitudine dei giudicati; non che quella maggiore speditezza nella risoluzione degli affari conciliabile con la gravità degli studi e con le prescrizioni degli ordini veglianti.
Attendano i Procuratori Generali presso le Corti ed i Procuratori del Governo presso i Tribunali di prima istanza a fare osservare con scrupolo le Leggi e a curare la repressione dei delitti. I tempi sono difficili per essersi di nuovo commossi ed agitati gli affetti e le passioni politiche. Ma non si perdano d'animo, conciòsiacosache queste non possono produrre gravi sconcerti nell'interno dello Stato, prevalendo nell'universale un sentimento che tiene in freno le passioni smodate e le costringe a tacere; quello di cooperare tutti in qualche modo, non foss'altro col silenzio o con la buona condotta, al riscatto della patria comune.
Pensino altresì che sconcertare i disegni dei pochi malevoli, se pur vi fossero, diretti a turbare l'ordine pubblico, basterebbe proclamarli al cospetto della società nemici d'Italia, perché queste sole parole varrebbero a condannarli all'animavversione ed alla ignominia pubblica, quasi fossero nella condizione degli antichi romani cittadini che disonorandosi con macchinazioni contro la patria venivano puniti con l'interdizione dell'acqua e del fuoco.
Ma quando il caso d'agire si presentasse, si mostrino fermi e rigorosi nell'eseguire le leggi, si adoperino con tutta l'energia possibile e che con tutti i mezzi che sono a loro disposizioni per reprimere ogni disordine, perché il Governo è risoluto a non tollerare che da nessuna parte né sotto verun pretesto venga alterata la tranquillità e la quiete del paese.
Chi ascese contro sua voglia a questi alti seggi ai tempi che corrono fece atto d'abnegazione civile per amore del pubblico bene; né vi fu portato da preconcetti desideri, o dalle lusinghe di un potere che spinoso sempre è a questi dì spogliato eziandio di quello splendore e di quelle dolcezze che possono talvolta adescare i meno esperti. Vi è dunque diritto e diritto incontrastabile ad esigere da ogni ordine di cittadini il sacrificio sull'altare della patria d'ogni risentimento, d'ogni rancore privato, delle rimembranze del passato e delle speranze dell'avvenire che meglio arridono ai particolari desideri di ciascuno, per accettare di buon animo il presente stato e contribuire a mantenerlo; finchè la Provvidenza non ci riconosca meritevoli di quelle migliori sorti a conseguir le quali ne ha aperto visibilmente la via.
Difficile e delicata è la condizione dei Pretori, massime di quelli che risiedono in piccole città, nelle terre e castella, dove l'autorità giudiciaria si dee le più volte esercitare in mezzo a passioni ed interessi più vivi, più in conflitto fra loro, più rumoreggianti all'interno del santuario della giustizia, di quello non accade nei grandi centri di popolazione.
A loro è più particolarmente raccomandabile una previdente sagacia ed una temperanza nei modi congiunta a quella fermezza d'animo che rivela il proposito di adempiere ai propri doveri senza lasciarsi senza lasciarsi preoccupare da nessun pensiero né da alcuna cura di quel che avverrà quando l'atto della giustizia è compiuto.Ogni Magistrato che si diporta in tal guisa e che alla prudenza unisce lo spirito di conciliazione, non può, non incontrare in breve il genio dei suoi amministrati,non può non vincere la contrarietà e le resistenze d'ogni maniera e meritarsi l'approvazione di tutti i buoni.
Il Governo che ha già spontaneamente mostrato di curare, con una debita sebben parziale riparazione di piccolissimo aggravio alla Finanza dello Stato, la dignità e il decoro dell'ordine giudiziario, fida nella saviezza, nella coscienza e nello zelo del Magistrati d'ogni grado, i quali vorranno dar nuovi saggi per
crescere sempre più nella pubblica estimazione, e per assicurare la rigorosa osservanza delle Leggi e la imparziale amministrazione della giustizia.
Molti bisogni rimarrebbero ancor a soddisfare potendo le istituzioni giudiciarie e le Leggi che a quelle più strettamente si riferiscono essere suscettive di miglioramento pel comun bene;ma i presenti tempi se permettono di prepararsi allo studio delle riforme non consentono d'operare cambiamenti di qualche importanza.
Il Governo è sollecito di conoscere tutte le necessità dell'ordine di cose ora esistente, aspettando dalla vittoria della Causa nazionale l'opportunità di provvedervi.
Di VS Illustrissima
Dal Ministero di Giustizia e Grazia
Lì 20 Maggio 1859
Devotiss. Servitore
ENRICO POGGI"
(Affari generali del Governo dell 'Elba 1859-1860 .Doc 15-100.Circolari 1-42.Circoalre 15.Archivio storico comune Portoferraio)
Marcello Camici