Caro Sergio,
il tuo ricordo della professoressa Trentanove mi ha profondamente colpito. Naturalmente non la conoscevo, ma mi è sembrato di rivedere, attraverso le parole tue e di Grazia Battaglini, una galleria di insegnanti che ho avuto la ventura di incontrare, testimoni anch’essi della “Grande bellezza”: talvolta “sobriamente eleganti e dall’aspetto fragile” come la professoressa Silvana; talvolta “d’acciao” come la professoressa Mortula; talvolta un po’ eccentrici, un po’ torrenziali o un po’ troppo riservati, ma ugualmente capaci di arrivare a toccare la difficilissima sensibilità di giovani occupati e preoccupati soprattutto di sé e della propria confusione. Come il cielo di Lombardia, “così bello quando è bello”, dice il Manzoni. Buoni o terribili che fossero, ma sempre “umani”, rimangono nella mente di ciascuno di noi come “monumenti”, segnali di svolta delle nostre vite, più o meno durevoli secondo i casi personali, ma certamente corresponsabili del nostro intimo migliore.
E’ questa la “buona scuola”, sempre fatta di persone che per mestiere pongono ai loro “clienti” i preziosi prodotti della loro curiosità, della sensibilità, della conoscenza corroborata dalla scienza delle comunicazione e della comunicativa. Molti sono anche oggi in mezzo a noi, Intelligencija delle nostre comunità disconosciuta nello straordinario valore del contributo che sola può dare al restauro delle nostre civiltà, maltrattata con angherie economiche e oberata da mansioni improprie, non di rado oggetto di gelosie e competizioni indebite da parte di chi pur le affida i propri figli per farli crescere “in sapienza e in grazia”. Eppure, verrebbe da dire, unica forma di Resistenza.
Poi ci sono anche insegnanti svogliati e avari di sé, e tuttavia anch’essi specchio della nostra società dove svogliati e avari non sono merce rarissima. Ma questi ci interessano in altra sede.
Ora vorrei cogliere, dal vostro ricordo di alunni di un’insegnante “memorabile”, un incoraggiamento a credere –oltre la pervicace disattenzione diffusa a riguardo della scuola- che essa resta presidio sicuro contro ogni decadenza, garanzia contro ogni barbarie interna ed esterna, fondamento della speranza in un futuro più “a misura d’uomo”. Tzvetlan Todorov, filosofo bulgaro scomparso ieri, ha scritto: “Il multiculturalismo è lo stato naturale di tutte le culture. La xenofobia, le pulsioni sull'identità tradizionale non sono destinate a durare. Una cultura che non cambia è una cultura morta”. La scuola è questo. E la vostra testimonianza ce lo ha ricordato. Grazie.
Luigi
Caro Luigi
Anche le tue riflessioni mi hanno colpito, ed ulteriormente convinto, sì, che se c'è un ideale bastione da difendere fino all'ultima cartuccia, contro l'offensiva del valore dei disvalori, dell'orgoglio dell'ignoranza, è il bastione della scuola e della cultura che vi si amministra e somministra.
Guccini tantissimi anni fa in "Libera Nos Domine" chiedeva al Signore di liberarci "dai sacri sanfedisti e da quel loro odore, dai pazzi giacobini e dal loro bruciore, da visionari e martiri dell'odio e del terrore, da chi ti paradisa dicendo "è per amore", dai manichei che ti urlano "o con noi o traditore!", allora sembrava sopra le righe, oggi a leggerle quelle righe fanno rabbrividire, perché sembrano fotografare proprio le insidie di questo tempo.
L'unico antidoto, hai ragione, è la cultura spalmata sul popolo, unica via per farvi crescere la tolleranza, la solidarieta, il salutare rimescolamento evolutivo che può salvarci.
Mi piace allora aprire il giornale stamani con una foto di una scuola - poverissima di mezzi, figlia di un tempo ancora economicamente austero - ma decisamente buona.
No, non è la terza delle teppe, di cui parlavo nel primo articolo, non c'è la Professoressa Silvana (Mortula e Lungonelli sì), è la mia prima media con tanto dei "tag" di un gioco del riconoscimento proposto da "Mucchio Selvaggio". Sono il 24, ma li ho riconosciuti tutti i miei compagni in posa e i quattro insegnanti, 55 anni dopo. Una bella performance anche per un "memorino" come me. Ma la benzina della memoria sono i giorni vissuti vivacemente, insieme agli altri, scoprendo cose; il tempo che ci passa addosso banale, nella noia individuale, nella solitudine, lo ricordiamo solo confusamente, in una sorta di marmellata mnemonica.
E allora vuol dire che quella foto contiene un insieme vivo, un mix umano, con cui sono cresciuto: apprendendo le eccezioni della terza declinazione (mi dimenticavo sempre accipiter, maledetto avvoltoio!), ma anche divertendomi, incazzandomi, imparando a rapportarmi col resto del mondo, a partire dal mondo che stava in cattedra e tra i banchi.
Vorrei mutatis mutandis (che l'assessore penserà certo essere allocuzione afferente all'intimo) certo, nello spirito, rivederla una scuola simile, o almeno sapere che c'è qualcosa che la ricorda.
Un abbraccio
Sergio