Ernesto Antonio Pietro Giuseppe Cesare Augusto Gori, così il 14 agosto 1865 a Messina Francesco e Giulia chiamarono il loro figlio, forse già immaginando la polivalenza del neonato, che divenne giornalista, avvocato, poeta e ancora di più: scrittore, anarchico, compositore. Un Uomo insomma, un artista, un’impavida voce in anni di lotte logoranti e devastanti per il popolo.
Quel Pietro che morì sull’Isola dopo aver girovagato, con clamore e successo, per tutto il mondo con le sue idee sotto braccio.
Quel Pietro che morì guardando lo stesso mare che oggi, per l’offesa recata, ribolle nelle viscere fredde.
Ci si chiede se davvero il gioco valga la candela: deporre l’epitaffio di un grande uomo vissuto per la giustizia, l’uguaglianza e la libertà, per intitolare la piazza ad un precedente sindaco, per quanto bravo e retto possa essere stato. Sembra una rappresaglia in nome di non si sa che cosa.
Davvero non si capisce, da parte del Sindaco di Portoferraio, quanta disuguaglianza, quanto malcostume e arroganza c’è in questa azione. “Ci ripensi”, “Si fermi” ecco cosa dicevano i manifestanti quella mattina recatisi davanti al comune di Portoferraio per guardare, consci, un’ultima volta quell’effigie. Così come la lettera di un gruppo di volontari dell’ANPI che però, sembra inascoltata, cestinata, obliata.
In un periodo in cui Forza Nuova, il 28 ottobre scorso, ha proposto la celebrazione per il 95esimo anniversario della marcia su Roma, e in cui assistiamo alla scioccante sparatoria di Macerata compiuta da uno skinhead candidato per le comunali nella lista della Lega Nord; ci si chiede se sia davvero saggio e giusto staccare dalla parete quel ricordo, quella speranza.
Foscolo nei “Dei Sepolcri” ci insegna e spiega che la visione delle tompe dei Grandi, dei Giusti, dei Forti, scuote le viscere dell’uomo con energia nuova, pulita, genuina, innalzando la sua anima a compiere gesta eroiche, gloriose.
Forse quindi sarebbe bene spolverare e tirare a lucido le tombe, i monumenti, gli epitaffi dei Grandi italiani, che ormai stazionano nelle nostre belle piazze solo come abbellimenti. Ma noi Isolani cosa ne facciamo? Lo tiriamo via, lo impacchettiamo e lo releghiamo chissà in quale umida cantina come se temessimo che le dolci e sentite parole del poeta Pietro potessero risvegliarci dalla nostra cecità.
Cantato e ricordato in Italia, dimenticato e svalutato dalla sua terra.
Ma ci saranno tempi migliori anche per noi, tempi nei quali giovani coraggiosi ti recupereranno dal fondo della cantina per farti splendere nuovamente sotto il tuo sole.
Nostra patria è il mondo intero
nostra legge è la libertà
ed un pensiero
ribelle in cor ci sta.
Camilla Dini
studentessa del Liceo classico 'Foresi'