Caro Luigi,
Mi duole constatare che anche tu delimiti l'ambito di interesse della giornata del ricordo alla tragedia delle foibe, e, pur condannando gli eccidi compiuti in quella zona di confine, li inquadri quasi nella "normalità" della guerra ed in particolar modo delle opposte repressioni causate da vicendevoli, occupazioni dell'Istria e della Venezia Giulia.
Questo per me è motivo di grande sconforto poiché mi rendo conto del sostanziale insuccesso di questa ricorrenza, la quale, così parzializzata, non centra affatto l'obiettivo di restituire un ricordo negato, per decenni, a centinaia di migliaia di italiani.
La tragedia vera di quegli anni, a parte il picco di violenza degli infoibamenti, fu l'eradicazione di un popolo dalle proprie case, dalle proprie terre.
Parliamo di circa 350 mila persone costrette a scappare, lasciandosi dietro tutto, compresi molti morti assassinati.
E non parliamo di una piccola fetta di territorio, ma praticamente di tutta la fascia costiera della ex Jugoslavia, centinaia e centinaia di chilometri. Quindi non solo Istria ma tutta la Dalmazia.
Un territorio nel quale la componente culturale italiana viveva da millenni, ben prima dell'arrivo degli slavi nel settimo secolo.
Si sa, la storia è fatta di guerre, di invasioni, di dominazioni, di cambiamenti politici, culturali, linguistici.
Una giornata del ricordo, però, dovrebbe aiutare a far ricordare, laddove alcuni eventi più recenti della nostra storia hanno tentato di cancellare il passato.
Far ricordare la storia, non singoli eventi, pur drammatici. La storia fatta dalla gente, dai popoli, da noi, non solo quella fatta da chi muoveva le pedine e segnava su una mappa i confini delle nazioni.
Allora quei morti non sono i soldatini di quegli scellerati giocatori ma i padri, le madri, i figli di famiglie in fuga dalla propria storia millenaria, che abbandonavano perché volevano continuare a sentirsi italiani. E cosa hanno trovato sulla strada del loro peregrinare? Morte e disprezzo.
Si, disprezzo, perché quegli italiani che prima erano tutti fascisti e poi tutti antifascisti hanno reso la vita difficile agli esuli, colpevoli di non essersene restati a casa loro ad abbracciare la "rivoluzione". Erano considerati fascisti "postumi"; qualcuno poi, in questo contesto, giocoforza lo divenne.
In realtà quei disgraziati avevano abbandonato quelle terre non per paura del regime, ma per paura, dopo millenni, di non poter più custodire la proprietà identità culturale. Identità che hanno conservato con fatica, resistendo a millenni di storia sotto diverse dominazioni. I fatti del '900 sono solo l'epilogo.
Questa è la storia da ricordare, non solo quindi i picchi di violenza, ma una parte importante di storia degli Italiani.
Mi piacerebbe, quando mi chiedono: "Da dove viene la tua famiglia?", non leggere più smarrimento nello sguardo dell'interlocutore alla risposta "Dalla Dalmazia".
Questo è il ricordo che vorrei nei miei concittadini, perché ancora, nonostante la ricorrenza, esso è custodito solo nella memoria di qualche sopravvissuto (sono passati settant'anni, gli ultimi esuli erano bambini allora, o poco più) e negli sbiaditi racconti che passano di generazione in generazione.
Renato Corrado de Michieli Vitturi