Dopo il grande successo della mostra “… SE TORNASSE OGGI”, progetto multimediale legato all’Elba e ad alcuni dei suoi figli illustri, esposizione fotografica, supporto audiovisivo ed installazione evocativa dei personaggi che si è tenuta ne giorni scorsi alla Telemaco Signorini di Portoferraio, abbiamo deciso, per chi non è potuto venire, o per chi vuol rivedere, e riascoltare con più calma, le storie dei nostri 11 personaggi illustri che in passato hanno vissuto nella nostra isola e che OGGI potessero per un giorno tornare, che cosa direbbero dell’attuale modernità? Quali le loro considerazioni sul tempo attuale?
Continuiamo con Giovanni Passannante, raccontato da Rita Poggioli
Nato il 18 febbraio 1849 a Salvia ( oggi Savoia) di Lucania, da Pasquale e da Maria Fiore, fu l'ultimo di dieci figli, quattro dei quali morti in tenera età.
Le condizioni economiche molto difficili della famiglia ebbero una decisiva influenza sulla sua formazione. Costretto per aiutare i suoi a svolgere lavori sin dalla più tenera infanzia, Giovanni espresse il desiderio di frequentare la scuola. Le misere condizioni familiari tuttavia non gli consentirono di frequentare che brevemente le aule scolastiche.
Appena salito al trono (9 gennaio 1878), il Re Umberto I predispose subito un tour nelle maggiori città del Regno al fine di mostrarsi al popolo e guadagnare almeno una parte della grande notorietà di cui aveva goduto il padre come "padre della patria". Venne accompagnato in questo viaggio dall'allora primo ministro Benedetto Cairoli.
Giunto a Napoli, il 17 novembre 1878, lucano Giovanni Passannante ,quando il corteo reale giunse all'altezza del Largo della Carriera Grande, si avvicinò alla carrozza del sovrano che incedeva lenta tra la folla e, simulando di voler porgere una supplica, salì sul predellino, scoprì un coltellino che teneva avvolto in uno straccio e vibrò un colpo in direzione del re. UmbertoI riuscì a difendersi con la propria spada deviando il coltellino (una lama di 8 cm circa, "buono solo per sbucciare le mele", come dichiarò al processo il proprietario del negozio ove Passannante aveva ottenuto l'arma barattandola con la sua giacca). Il re rimase leggermente ferito a un braccio mentre Cairoli, nel tentativo di difendere il monarca, afferrò l’attentatore che timase ferito con un taglio alla coscia destra.
Il capitano dei corazzieri, Stefano De Giovanni, colpì con una sciabolata Passanante alla testa e questi venne tratto in arresto.
Fu brutalmente interrogato e torturato nel tentativo di fargli confessare un'inesistente congiura. Nel fazzoletto rosso nel quale aveva nascosto il pugnale, Passannante aveva scritto: «Morte al Re, viva la Repubblica Universale, viva Orsini». Orsini è noto per il tentativo di assassinare l'imperatore francese Napoleone III. Orsini fondò la nuova società segreta "Congiura Italiana dei Figli della Morte"; seguace di Giuseppe Mazzini, svolse attività rivoluzionarie nello Stato della Chiesa ed nel Granducato di Toscana. All'inizio del 1849 Orsini fu eletto deputato all'Assemblea Costituente della Repubblica Romana, nel collegio della provincia di Forlì, ma l'intervento dell'esercito francese a sostegno del Papa obbligò Orsini a fuggire. Nel 1857 Orsini ruppe i legami con Mazzini, colpevole d'aver affossato la neonata Repubblica Romana e, non ultimo, d'aver rotto il giuramento che lo legava alla Carboneria e cominciò a preparare l'assassinio di Naoleone III.
L’ intera famiglia di Passannante attentatore, composta dalla madre settantaseienne, due fratelli e tre sorelle - colpevoli solo d'essere consanguinei del Passannante - furono arrestati già il giorno dopo l'attentato e condotti nel manicomio criminale di Aversa dove furono internati fino alla morte. Solo il fratello Pasquale riuscì a fuggire.
Il trattamento riservato alla famiglia dell'attentatore riecheggia il rigore proprio dell'assolutismo ...nonostante il regime sabaudo si vantasse di "liberalità", in forza di quello straccio di Statuto Albertino. Il sindaco del paese di origine di Passannante, Salvia di Lucania, fu costretto a recarsi al cospetto del re implorando perdono e umiliandosi al punto di offrire di mutare il nome del comune in Savoia di Lucania, nome che porta ancor oggi. Parenti e omonimi del Passannante dovettero lasciare il paese trasferendosi nei paesi limitrofi.
Processato con un difensore d'ufficio, l'anarchico fu condannato a morte, sebbene il codice penale prevedesse la pena capitale solo in caso di morte del re e non di ferimento. Successivamente, con Regio Decreto del 29 marzo 1879, Umberto I commutò la sentenza in un carcere a vita in condizioni disumane a Portoferraio, sull'isola d'Elba. : rinchiuso in una cella priva di latrina, posta sotto il livello del mare (Passannante era alto circa 1,60 m, la cella era alta solo 1,40 m), rimase senza poter mai parlare con nessuno e visse in completo isolamento per anni tra i propri escrementi e con 18 chilogrammi di catene ai piedi .
Tali condizioni disumane di detenzione furono oggetto di una denuncia dell'on. Agostino Bertani e della giornalista Anna Maria Mozzoni, a seguito della quale il prigioniero, in uno stato di squilibri psichici dovuti all'interminabile tortura della sua pena e ormai ridotto alla follia, certificata da una perizia psichiatrica condotta dai professori Biffi e Tamburini, fu trasferito presso il manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, ove morì il 14 febbraio 1910.
“Passannante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell'acqua, e lì, sotto l'azione combinata dell'umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò … il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l'ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti.
Il signor Bertani … poté scorgere quest'uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. Il disgraziato emetteva di tanto in tanto un grido lacerante che i marinai dell'isola udivano, e rimanevano inorriditi ». DOPO LA SUA MORTE IL CORPO, IN OSSEQUIO ALLE TEORIE LOMBROSIANE miranti ad individuare supposte cause fisiche di "devianza", fu sottoposto ad autopsia e decapitato e si scoprì che aveva una fossetta dietro l'osso occipitale, e si cominciò a pensare che quella fossetta era il segnale della tendenza all’anarchia di un soggetto, tanto è vero che successivamente si iniziarono ad aprire la testa di tutti gli anarchici che decedevano ed in alcuni la fossetta si trovava in altri mancava. Il cervello e il cranio di Passannante, assieme a suoi blocchi di appunti, studiati dai fautori della teoria eugenetica sviluppata dal criminologo Cesare Lombroso, rimasero esposti sino al 2007 presso il Museo Criminologico dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia di Roma, dove si trovavano dal 1936, dopo essere stati conservati presso l'Istituto Superiore di Polizia associato al carcere giudiziario "Regina Coeli" di Roma. Cervello e testa di Giovanni Passannante, a maggior gloria delle teorie lombrosiane.
La permanenza dei resti in esposizione presso il Museo ha causato proteste ed interrogazioni parlamentari. Il 23 febbraio 1999 l'allora ministro di Grazia e Giustizia, Oliviero Diliberto, firmò il nulla osta alla traslazione dei resti del Passannante da Roma a Savoia di Lucania, che tuttavia avvenne solo otto anni dopo.
GIOVANNI PASSANNANTE - il video