Esistono scrigni del passato su cui il tempo sembra accanirsi di più, nel suo stillicidio dei giorni. e, con esso, l’oblio. E’ questa l’impressione che si ha passando per la strada della Parata, tra Rio Elba e Cavo, dove, alzando lo sguardo alla Torre del Giove, sospesa tra l’azzurro di cielo e mare e il verde della macchia mediterranea, stringe il cuore vederla progressivamente impoverita delle sue strutture portanti ed accessorie ed immiserita ormai al rango di rudere pericolante.
Per chi abita nel versante orientale, il Castello del Volterraio e la Torre del Giove sono punti di riferimento spaziale ed emotivo, luoghi del cuore, su cui s’allunga lo sguardo per ricavarne conferme di sicurezza e sensazioni di mistero.
Quante volte, specialmente da bambini, abbiamo immaginato quei siti attivi e vitali, protettivi e forti, sentinelle pronte a denunciare indebite interferenze piratesche ma anche ad accogliere entro le proprie spesse mura popolazioni atterrite!
Oggi questi monumenti del nostro passato stanno soccombendo agli insulti del tempo e della dimenticanza. Per il Castello del Volterraio, così familiare anche nel paesaggio portoferraiese, su cui incombe e domina, qualcosa si sta muovendo: sia il Parco, a cui appartiene, che l’associazione Salviamo il Volterraio sono attive per strapparlo al degrado e al pericolo di crolli devastanti; per la Torre del Giove, al contrario, tutto tace. Eppure perderlo sarebbe davvero una colpa.
Giorgio Monaco, nel suo commento alle Memorie storiche dell’Isola d’Elba di Vincenzo Mellini, così scrive:
“La costruzione fu compiuta dagli Appiani, in allora signori di gran parte dell’Elba, nel 1459. Della costruzione,ormai molto fatiscente, sono conservati bassi i muri esterni, molto più alti i muri interni (specialmente ad ovest). Appena fuori del recinto, a est, è a terra uno stemma, in pietra, degli Appiani (mio sopraluogo, 14 agosto 1960).”
Sono passati cinquantatre anni da quel sopralluogo, niente è stato fatto, lo stemma è stato rubato e naturalmente le condizioni generali del castello si sono ulteriormente degradate. Un restauro s’impone, dunque, con urgenza, per non perdere anche quel poco che è sopravvissuto.
Dall’alto della sua collina di 350 metri, oggi ricoperta da un fitto manto di lecci, lo sguardo abbraccia tutto il canale di Piombino, con gli isolotti di Palmaiola e Cerboli, e la prospiciente costa toscana, da Populonia all’Argentario: un colpo d’occhio bellissimo.
Da quell’altura, la Torre del Giove (dal latino iugum, giogo) svolgeva i suoi compiti di vigilanza su terra, mare e miniere; proteggeva, quando poteva, gli abitanti di Grassera; assisteva agli scontri tra spagnoli e francesi; subiva smantellamenti e distruzioni punitive.
Sembra che in origine la struttura rettangolare fosse completamente circondata da mura e da un fossato e che l’edificio fosse formato da due piani divisi da un solaio a volte. L’ingresso principale, un’apertura ad arco piuttosto piccola e protetta da un ponte levatoio, si trovava sul lato orientale.
Coresi del Bruno, nelle Memorie manoscritte dell’Isola d’Elba del 1729, così scrive:
“[…] camminando verso Rio, sulla sommità di una montagna la più altari quella parte, tra la terra di Rio e San Bennato, si ritrova una antica torre di forma quadra la quale è larga circa braccia 6 per ogni faccia, con la sua fossa intorno, scavata nel masso. Alta braccia 7 all’incirca; questa dicono essere stata fatta dagli antichi Romani, acciò i bastimenti, che di notte cercavano la bocca del Canale ne tempi oscuri, con facilità la ritrovassero, stante che sopra di questa accendevano un gran fuoco da vedersi sì per Levante, che per Ponente per molte miglia distante, era fatta a tre piani e nella parte di dentro vi era una pietra scritta e intagliata di lettere latine, che denotavano servire di fanale.
Fino all’anno 1707stiede armata di soldati Spagnoli, servendoseneancor essi per scoperta, e dar segno al Presidio di Longone, distante circa 4 miglia, della venuta dell’Armata.Ma arrivate nell’Isola alcune truppe Alemanne impadronitesi delle Terre di Rio e Capoliveri per poi prender Longone, presero ancora la torre del Giove. Questa con le sue terre sopra dette ritennero fino all’anno 1708 tanto che gli Spagnoli rinforzati di gente ripresero le due terre dando la rotta all’Alemanni e similmente la suddetta torre la quale poi demolirono non affatto, ma la resero inabitabile e demolirono le mura di rio e Capoliveri.
Questa torre chiamata “del Giove”è opinione di alcuni che anticamente si chiamasse “di Giove” e che li Gentili vi facessero sacrifici a quella Deità. Altri dicono che si chiamasse del Giogo, per essere fabbricata sopra un giogo di monte, o vero che era il Giogo o Freno dell’isola, et anche de nemici, poiché dando avviso a tutti gli abitanti di quella, avean campo di prender l’armi e mettersi in difesa. Era tutta in volta, con Muraglie assai grosse e nella di lei sommità aveva un grosso parapetto fatto a merli, et in mezzo del piano di sopra vi era un gran piedistallo, ove appunto accendevano il fuoco per fare il segno detto. La sua figura si vede qui appresso osservata nel luogo medesimo dove è posto. Da un piano all’altro si andava per mezzo di certe piccole scale fabbricate vicino alle mura di dentro, e senza parapetto et assai stretto, si crede fatte così ad arte.”
Dunque, come si può dedurre anche da queste testimonianze, la Torre del Giove è un tesoro da custodire, per il suo valore storico e architettonico. Non possiamo permetterci di assistere impotenti al suo crollo. E non esclusivamente per amore dell’arte, della storia e della nostra identità culturale. Simili monumenti attraggono visitatori, sollecitano ed animano un turismo intelligente, che non si accontenta di mare e spiagge ma va a ricercare l’anima dei luoghi che visita e in cui soggiorna. Questo è il turismo del presente e del futuro a cui come abitanti dell’Elba, orgogliosi di un illustre passato, ma anche come cittadini consapevoli della necessità di creare sull’isola il contesto economico per continuare a risiedervi, insieme ai nostri figli, dobbiamo dare risposte certe e soddisfacenti.
Leonardo Preziosi, in un suo recente articolo apparso sulla stampa locale, sottolineava proprio lo stretto connubio tra cultura ed economia. Si chiedeva infatti se la cultura potesse costituire un volano per il futuro dell’economia elbana e rispondeva di sì, con forza, aggiungendo: L’Italia è considerata la culla dell’arte, possiede il più grande patrimonio del mondo ma non c’è stato un governo che abbia considerato la cultura come una risorsa primaria del Paese, su cui investire; nel 2011 i finanziamenti per la cultura hanno costituito solo lo 0,2% del budget di spesa dello Stato.
Questa è non solo insensibilità per la cultura, in un territorio che ha una concentrazione di patrimonio artistico ineguagliabile nel mondo; ma anche miopia economica e politica. Perché, al contrario di quanto disse tempo fa uno sprovveduto ministro, con la cultura si mangia! Oltre che preservare scrigni di bellezza e d’ armonia per il futuro, che, lo sappiamo, ha sempre un cuore antico.
Maria Gisella Catuogno
Foto Giacomo Paoli