Il libro «Castagneti dell’Elba», scritto da Silvestre Ferruzzi e pubblicato dalla casa editrice Persephone, verte interamente sulla storia della castanicoltura elbana. Localizzati nel settore nordoccidentale dell’Elba, i castagneti hanno rappresentato, sin dall’età medievale, un’indispensabile fonte di sopravvivenza per gli antichi elbani. Le prime attestazioni sui castagneti dell’isola risalgono infatti al 1343; si tratta di documenti notarili riguardanti la compravendita di terreni boschivi presso Poggio e nella vallata di Patresi.
L’«albero del pane», come un tempo veniva chiamato dagli uomini delle montagne, era in grado di sfamare intere generazioni isolane; dalle castagne – dapprima essiccate nelle strutture soppalcate dette «seccaiole» (corrispondenti ai «metati» della Garfagnana) e poi macinate nei mulini a ritrecine (ossia a ruota orizzontale) che costellavano il corso dei torrenti del Monte Capanne – si ricavava quella preziosa e dolce farina ritenuta quasi un dono divino.
All’Elba il primo mulino («molendino») è documentato nel 1364 a Sant’Ilario, mentre dal Cinquecento, nel Marcianese, esistevano diversi mulini tra cui quello di Buccetto, di Cavallone, di Matteo di Pirro, dei Pardacci in località Panicale presso Marciana.
Dalla corteccia dei castagni veniva inoltre estratto l’astringente tannino, indispensabile nel processo di conciatura delle pelli che si svolgeva nelle «conce» edificate, anch’esse, presso i corsi d’acqua. Ma per generare nuovi e preziosi castagni domestici bisognava procedere con l’innesto, che avveniva nella prima metà di aprile; scelto un vigoroso pollone selvatico, l’«innestino» lo tagliava a mezzo metro dal suolo e vi inseriva, con la tecnica «a zufolo», una «panella», ossia un tubicino cavo di corteccia prelevato da rametti di castagni già innestati.
Il castagneto, per ben produrre, doveva essere curato tramite potatura dei rami e sfoltimento delle chiome; a tale scopo venivano usati particolari strumenti come la pesante roncola detta «ristaia» (dal latino «falx rustaria») e la scure detta «picozza».
Dal legname di castagno, infine, si ricavavano grosse travi squadrate con la grossa scure detta «squadratora», poi utilizzate nella realizzazione di solai.