7. Da Zitto e nuota! - All'arrembaggio del Veliero Cavodurno (parte 2)
Questo, se da una parte eliminava la prova di equilibrismo sulle corde e il lancio umano con la fionda, li rimpiazzava però all'istante e in maniera egregia. Infatti non si passava semplicemente dal molo al barchino, ma ci si doveva calare o saltare giù per quasi un metro e mezzo. In un caso e nell'altro occorreva atterrare esattamente nel centro di esso, se no si cominciava a oscillare paurosamente: queste cose io le ho capite «dopo», perché quando vi scese dentro Pieraugusto il barchino sembrava murato nel cemento, tanto rimase immobile. Saldamente piantato a gambe larghe (da prua a poppa) sul barchino, Pieraugusto si protese quanto bastò per afferrare la gomena che ancorava il barcone alla bitta, e tirando prima con una mano, poí con l'altra, scivolò sull'acqua con il barchino sotto i piedi e giunse al fianco del barcone stesso, mise le mani sul bordo, un piede su una fascia sporgente che correva lungo la fiancata del cargo maledetto e si issò con grazia e rapidità. Intanto Almiro si era sdraiato lungo per terra sul molo, con la testa nel vuoto (cioè sul mare), lasciandomi interdetto e pieno di curiosità. Sulle prime pensai che si fosse sentito male, ma poi vidi che i suoi movimenti erano fluidi e coordinati; allora pensai che sí fosse sporto col capo in acqua perché aveva visto qualche pesce e voleva prenderlo con le mani, dato che le protendeva verso l'acqua, ma anche questo mi sembrava improbabile; infine arrivai a pen¬sare che si trattasse di un rito sacro, in cui era necessario bagnarsi con l'acqua di mare per propiziarsi qualche divinità, cristiana o pagana che fosse. Nulla di tutto questo: Almiro si era sdraiato per terra per arrivare ad afferrare un'esile cordicella galleggiante che da una parte era legata a un anello murato a pelo d'acqua e dall'altra era legata al famigerato barchino. Era, insomma, la cordicella d'ormeggio del piccolo natante, tirando la quale Almiro riportò il barchino al molo, pronto per il prossimo «traghetto». Io osservavo tutto con il massimo interesse: l'adrenalina che vagava impazzita per le mie arterie acuiva la mia facoltà di concentrazione e di attenzione. Una serie di do¬mande si accalcavano alla mia mente, ma prontamente le ricacciavo via perché non mi distraessero e una in particolare mi tornò davanti tre volte: «Perché la cordicella del barchino doveva essere legata a quell'anello così in basso, a pelo d'acqua, e non, invece, alla bitta come lo erano le altre barche?» E ancora: «Quando viene l'alta marea come si fa per prendere la cordicella, bisogna mettersi la maschera subacquea e le bombole di ossigeno?» Come ho già detto, però, sono inesperto di cose di mare, e inoltre ricacciai indietro le domande senza cercare le risposte per non farmi distrarre dalle manovre di arrembaggio.
Dopo Pieraugusto passò Almiro, sempre con la stessa sicurezza di movimenti, e infine Maurizio, anche lui impeccabile. Dopo tre «traghetti» da me osservati nei minimi particolari ero ormai certo di aver assimilato la tecnica e di essere padrone della situazione. Così, quando i tre dal barcone si rivolsero a noi facendoci cenno di passare, sentii imperiosamente che era il mio turno: per prima cosa mi ero molto rassicurato sulla stabilità di detto barchino, e poi non volevo che le donne, che notoriamente non hanno né il senso dell'equilibrio né l'agilità di noi maschi, con i loro movimenti goffi e impacciati mi facessero dimenticare la tecnica appena osservata e da me prontamente assimilata. Così, per paura che qualcuna scendesse prima di me, mi catapultai in fretta sul barchino con le due grosse borse, una per mano. Forse per la fretta con cui affrontai l'impresa, o forse per le borse che mi sbilanciarono, non calcolai bene la distanza e approdai a piedi uniti sulla prua del guscio di noce che prima emise un cupo boato di sorpresa e un sinistro scricchiolio di sofferenza, poi reagì ribellandosi prontamente alla violenza subita impennandosi con la poppa quasi verticale (a me, almeno, da bordo, sembrò quasi verticale: mi fu poi detto che la poppa in questione si era appena appena sollevata dal pelo dell'acqua). Era chiara, comunque, l'intenzione del vile barchino di scaraventarmi in acqua seduta stante. Fatto sta che, con una prontezza di riflessi che giudicai encomiabile, per non essere catapultato a mare, mi buttai con la testa verso la poppa ribelle, onde ristabilire il giusto equilibrio di pesi e baricentri vari. Il risultato però fu che mi trovai sdraiato sul fondo del barchino con piedi a prua, testa a poppa, borse a mare.
A questa manovra avevano assistito tutti, richiamati dal tonfo del mio poco aggraziato atterraggio a piedi uniti: i tre uomini erano affacciati alla sponda del cargo maledetto, e ridevano a più non posso, le tre donne erano ancora sul molo, e ridevano anche loro.
«Che mattacchione!» commentò Almiro, scuotendo bonariamente la testa e sorridendo, rivolto agli altri due. «Non credevo proprio che fosse così spiritoso... La cosa più divertente è che sembra che faccia le cose sul serio, con quella sua finta espressione stupita in faccia... Prendi il mezzo marinaio.» Io captai la frase stando sdraiato e, lì per lì, mi sembrò poco simpatico che Almiro mi chiamasse mezzo marinaio solo perché ero caduto sul barchino; inoltre non volevo essere «preso» da nessuno, volevo dimo¬strare di cavarmela da solo... Vidi che Pieraugusto si sporgeva dal barcone e con una grossa pertica uncinata recuperava le due borse che stavano naufragando. Fu solo alcuni giorni dopo che, per caso, scoprii che il «mezzo marinaio» non ero io, ma proprio quella pertica con l'uncino: nessuno però seppe spiegarmi il perché del nome, che per me re¬sterà uno dei tanti misteri del mare.
Continua...
Gianfranco Panvini