15. Da Zitto e nuota! - Manovre d'attracco (parte 1)
La manovra per entrare nel porto, per la verità, era cominciata male, con la faccenda del pallone. Dopo aver fatto un lungo giro per recuperarlo (la corrente l'aveva spinto lontano, molto lontano), ci presentammo nuovamente davanti al porto. Il fatto fu, da alcuni, interpretato come un ripensamento dovuto a discussioni a bordo, e una folla di sfaccendati si raggruppò sul molo per seguire meglio le nostre mosse. A parer loro, evidentemente, la cosa poteva farsi interessante. Nulla è più irritante che fare qualcosa di difficile o importante sotto occhi critici che ti guardano, pronti a deriderti. A bordo, tutti ci rendemmo conto del fatto, col risultato che perdemmo la tranquillità.
Pieraugusto dette una nuova occhiata panoramica sulla barca, poi spostò lo sguardo verso la banchina e il molo. Non avevo mai visto tanti panfili, yacht e barche varie ancorate in un porto, anzi in un porticciolo. Non c'era un posto libero, dove poter ormeggiare.
Maurizio era al timone: essendo stato primo ufficiale di coperta per tanto tempo, ed essendo da poco Comandante (sulle navi), a lui spettava il compito della manovra. Pieraugusto, pur essendo il «capo», sulla barca, era Direttore di macchina sulle navi (grado equivalente a Comandante, ma del settore macchine, e non di coperta).
La fortuna ci venne in aiuto, perché in quel momento una barca si staccò dalla banchina, lasciando libero un posto. Era uno spazio piccolo piccolo, per la verità: il panfilo che se ne stava andando era stretto come una sogliola; pensai che le persone a bordo dovevano camminare di fianco per non cadere in mare; il Cavodurno invece aveva nella «pancia» proprio il suo forte. Ma dato che il posto era l'unico disponibile, dopo una rapida consultazione tra Pieraugusto e Maurizio, fu presa la decisione di fare ugualmente la manovra, fidando soprattutto sulla loro esperienza di professionisti. Questo fu un grosso errore, come vedremo in seguito: i professionisti hanno anche a disposizione materiale da professionisti, così quando un dilettante vuoi fare un lavoro da professionista, senza avere i mezzi, o viceversa il professionista si basa su un lavoro fatto dal dilettante, nascono i problemi.
Ma procediamo con ordine.
Dopo l'ennesima occhiata di Pieraugusto per accertarsi che tutti fossimo in posizione, ci dirigemmo verso lo spazio libero.
La manovra, di per sé, era abbastanza chiara: arrivati davanti al nostro posto libero, si doveva fermare la barca, al largo, gettare l'ancora, fare perno su essa, andando a marcia indietro col timone tutto ruotato, in modo da presentarsi a terra con la poppa. Si trattava insomma di mettere la prua al posto della poppa, e viceversa, e infilarsi così, a marcia indietro, in quello spazio angusto.
Sono certo che tutto sarebbe andato liscio, se la sfortuna non ci avesse messo lo zampino.
Lo zampino fu una zampa di Maurizio (sotto forma di pedata) alla leva della marcia. Vicino al timone c'era una leva per la marcia avanti e indietro. Era una leva molto lunga, che correva in una moltitudine di guide, nel suo lungo tragitto dal motore a là. Pare che Almiro avesse ricavato le aste e le guide dalle cose più disparate: pompe di biciclette, tubi per l'acqua e così via.
Quando giunse il momento di rallentare la corsa della barca, innestando la retromarcia, questa non volle saperne. Maurizio cercò di spostare la leva prima delicatamente,
con movimenti leggeri, poi, man mano che la barca si avvicinava paurosamente alla banchina, con colpi sempre più forti, infine con un calcione.
Sembrava che la barca, stanca di navigare sul mare aperto, avesse deciso di gettarsi sulla banchina al più presto possibile, senza far caso se di prua o di poppa. La pedata di Maurizio, evidentemente, offese la leva, che in risposta a un simile affronto, decise di ribellarsi e si staccò dal suo alloggiamento naturale, finendo a pezzi per terra. La cosa si faceva tragica perché stavamo filando (ed ebbi l'impressione che mai, in navigazione, fossimo andati così forte) verso la terraferma, con Maurizio completamente impossibilitato a fermare la barca e inebetito dalla sorpresa.
Fu Pieraugusto, con una prontezza di riflessi veramente encomiabile, a salvarci dal disastro completo.
Resosi conto, con un colpo d'occhio, che la leva delle marce non esisteva più, urlò con quanto fiato aveva in gola:
«Molla l'ancoraaa!»
Questa volta «dovevo» fare le cose perfettamente, e assestai un colpo poderoso con l'asta di ferro sulla tacca posteriore del verricello, col risultato di stringerlo ancora di più. Preso dalla disperazione, allora, cominciai a battere colpi all'impazzata su quel povero verricello indifeso, che certamente non capiva perché ce l'avessi tanto con lui. Come Dio volle, un colpo andò a segno e il verricello, punto sul vivo, mollò l'ancora che aveva tenuta stretta fino ad allora. Stavo per complimentarmi con me stesso, quando Pieraugusto urlò:
«Ferma l'ancoraaa!»
Adesso la cosa è chiara: non avendo i freni e con la marcia indietro rotta, la barca poteva essere fermata solo tenendosi all'ancora calata sul fondo. Lì per lì, però, l'ordine mi parve un po' strano, dato che mi aveva appena detto di mollarla. Volli essere sicuro, prima di fare pasticci, e gli gridai:
«Cosa hai detto?»
«Ferma il verricellooo!» rispose urlando. Fermai il verricello, alla stessa maniera di prima: dandogli colpi violenti sopra, alla cieca. Anche questa volta la cosa ottenne l'effetto sperato, e la barca si fermò a dieci centimetri da un lussuoso yacht con la bandiera panamense.
Intanto si era radunata un bel po' di gente sulla banchina. Anche sugli yacht ancorati cominciavano a spuntare molte teste interessate. Quelli che prima stavano sul molo si spostarono correndo verso la banchina, per avere una visuale migliore.
Continua...
Gianfranco Panvini