Oggi, venerdì 5 luglio, a Mardilibri di Portoferraio si presenta “La guerra che viene” di Sandro Moiso (ed. Mimesis/Eterotopie). Impegni di lavoro mi impediscono di partecipare.
Conosco Sandro Moiso da quando insegnava al “Foresi”: lo conosco come collega e come insegnante di uno dei miei figli. Di questo “pensatore decisamente fuori dagli schemi” (Valerio Evangelisti) ho apprezzato il rigore, l'impegno e le doti relazionali che, con gli adolescenti, sono una forte arma motivazionale. Ricordo la passione con cui invitava i suoi alunni a guardare film di spessore e leggere libri non banali. Moiso consigliava di leggere qualche libro nel periodo estivo, a scelta in un elenco da lui consigliato. Fu in quell'occasione che ebbi modo di conoscere “Gomorra” di Roberto Saviano, un nome allora non famoso. E rimasi colpito, ma non sorpreso, quando regalò a mio figlio, ricoverato in ospedale, i racconti della scrittrice statunitense Flannery O'Connor.
Ma veniamo al libro, che devo dire non ho ancora finito di leggere.
Si parla di guerra, nelle sue diverse forme, e delle sue cause psicosociali. “La guerra è la norma di esistenza di un modo di produzione basato sull'appropriazione circoscritta e privata della ricchezza”, afferma Moiso. La politica come continuazione della guerra con altri mezzi e che persiste nella costruzione dell'immagine del nemico. E in ciò i media fanno la loro parte. Un complesso che mette insieme economia, militare, politica, media/intellettuali per mantenere e, se possibile, consolidare il mondo iniquo con le sue conseguenze disumane.
Nella mente balenano alcuni pensieri, stimolati dalla lettura e collegati alla mia formazione culturale.
La diagnosi, evidentemente ispirata a/da Marx (ma ci sarebbe da fare dei distinguo), mi richiama alcune affermazioni di papa Francesco, specie della lettera enciclica “Laudato si'” (il paradigma tecnocratico, radice dell'iniquità e della devastazione della casa comune, in cui si ode il grido della terra unito al grido dei poveri). E' in atto, ripete papa Francesco, la terza guerra mondiale a pezzi. Può apparire strano, agli inesperti, che La Civiltà Cattolica (la più antica rivista in lingua italiana) l'anno scorso abbia dedicato un articolo all'eredità di Karl Marx nel bicentenario della nascita. In esso si parla di due aspetti che ancora oggi risultano significativi: la paradossalità del suo pensiero e la critica al capitalismo selvaggio, forse l’elemento più attuale del suo contributo. E si riconosce a Marx il “merito indiscusso di aver lanciato un formidabile grido di allarme a una società che ha fatto del denaro il proprio dio”. E di aver “cercato di dare voce a chi non aveva voce (il proletariato) di fronte al volto disumano del capitalismo selvaggio, prospettando un immaginario futuro”.
Ma ogni analisi della situazione deve aprire alla speranza, a una via di uscita. Lasciando da parte l'opzione di fondo (la Storia ha un fine?), Moiso ritiene generiche o insufficienti molte delle attuali risposte. Si orienta, invece, verso quelle esperienze di resistenza (lotta) alla logica del dominio e del possesso, quei “luoghi pericolosi perché non rappresentano il locale e l'immediato, ma il mondo di domani”. E indica alcuni esempi francesi (Nantes, Parigi), la Val di Susa e il Medio Oriente (Rojava). Chi crede nella necessità umana del cambiamento deve interrogarsi sulle sue scelte, sulla capacità di resistenza dell'umano nel disumano (creando e sostenendo “ciò che inferno non è”, Calvino), anche attraverso la disobbedienza (don Milani). Si dirà: ma si tratta di piccole realtà! Eppure queste esperienze comunitarie sono forti della logica del potere dei segni (opposta a quella dei segni del potere). Nella globalizzazione dell'indifferenza costituiscono motivo di speranza e indicano una direzione. La stessa storia del cristianesimo, in Occidente e oltre, è ricca di realizzazione dell'utopia (eu-topia) di Cristo: esperienze alternative ai valori mondani e fondate sui biblici valori del Regno. Un terreno di incontro, su questa linea, fra credenti e non credenti che vogliono affrontare e promuovere l'umano, è la osannata triade libertà, uguaglianza e fraternità. Con l'accortezza di tenerle sempre insieme, tutte, cercando di riequilibrare le prime due con quella più trascurata: la fraternità. Ed è su questo piano che si comprendono gli apprezzamenti “pensati” per alcune affermazioni contenute, oltre che nella citata “Laudato sì'”, anche nel messaggio cristiano-islamico di Abu Dhabi e nel discorso del 21 giugno scorso di papa Francesco (intervenuto in qualità di convegnista fra gli altri) a Posillipo: l'appartenenza all'unica famiglia umana, il riconoscimento della dignità di ogni persona, la via della nonviolenza, per ricordarne alcune.
Infine, la questione educativa: come coscientizzarsi e far crescere la coscienza su questi temi soprattutto nelle giovani generazioni? Giovani che mostrano in questi ultimi tempi una certa (minoritaria) attenzione verso i temi dei cambiamenti climatici, del ritorno alla minaccia nucleare, della qualità della democrazia. Mi vengono in mente due testimoni (e che per questo sono anche maestri) che possono venire in aiuto: il pedagogista brasiliano Paulo Freire (l'educazione come pratica della libertà) e il filosofo italiano Aldo Capitini (la nonviolenza e il senso di appartenenza fra tutte le creature). Educazione e organizzazione sono le vie: termini non nuovi, sempre utilizzati. Ma questo è il tempo (e lo spazio) per riempirli di contenuti creativi con la valorizzazione della dimensione del “noi”, nella linea dell'etica della responsabilità in prospettiva personalistica.
Di questo, e altro ancora, mi piacerebbe parlare con Sandro. Ma ci sarà l'occasione.
Nunzio Marotti