Aveva ragione Remigio Sabbadini che i toponimi devono essere verificati sulle bocche degli abitanti e sui luoghi. È questo che rende questo studio il più affascinante di tutti: la toponomastica si divide equamente tra fonti documentarie e osservazione sul campo. Quando poi molti toponimi si squadernano tra monti che si affacciano sull'infinito, luoghi impervi e freschi o franosi e riarsi, pendici solitarie e boscose o battute dal vento, coste tormentate tra scogliere a strapiombo, che l'isola regala a ogni angolo, la scoperta (o riscoperta) è fantastica.
Purtroppo questi sono giorni che non lo permettono. Quindi uno si può consolare solo con una ricerca unidirezionale: l'archivio. Ma quando i documenti sono sparsi sulla scrivania, un bel viaggio può cominciare comunque.
L'Elba è ricca più che di acqua, di sorgenti: infatti esse erano numerose ma quasi sempre poco abbondanti, se non addirittura a secco in estate, un po' come i molti fossi che solcano ogni pendice. La loro importanza è però sempre stata basilare per gli isolani, tanto che nella toponomastica l'elemento acqua è uno dei più presenti. Si contano non meno di 25 nomi che riportano a esso. Molti fanno riferimento alle caratteristiche della sorgiva: Acquabona, Acquacalda (che ricorre in due luoghi, Marciana Marina e Lacona), Acquadolce (Rio Marina, dove infatti si trova ancora oggi un'abbondante sorgente sulla scogliera, a cui attingevano i marinai) e forse Acqua Moresca (Cavo). Secondo Sabbadini quest'ultima località è “un fosso che ricorda le irruzioni dei pirati saraceni di Barberia”, ma moresca potrebbe stare per scura: quindi un corso d'acqua torba o fangosa.
A questo proposito c'è un altro toponimo curioso nel marcianese: il fosso Guazzoculo. Composto da due parole (la seconda piuttosto esplicita), dove “guazzo” sta per “a bagno”, forse deriva anch'esso dalle acque sporche o terrose o ancora puzzolenti, che in esso scorrevano, dando appunto l'idea di uno scarico fisiologico. Chi frequenta questi sentieri sa benissimo che in primavera, ai primi caldi, quando la portata d'acqua di questi fossi cala e l'acqua crea pozze stagnanti, l'odore diventa caratteristico. Anche questo è il bello dello studio della toponomastica in loco: è indispensabile che tutti i sensi siano pronti a cogliere ciò che ci circonda.
Anche la portata di fossi o sorgenti era un aspetto fondamentale. Abbiamo quindi ben tre Acquaviva (Porto Azzurro, Marciana e Portoferraio) e un Acquavivola (Rio), un Acqua che Corre (oggi scomparso, zona riese), a testimonianza di abbondanza; due Acquitella (Poggio e Nisporto), al contrario fossi poco abbondanti. L'irruenza della portata è testimoniata da Acquacavalla (le Trane) e due Acquacavallina (Seccheto e Madonna del Monte), ma in questi casi non va sottovalutata un'altra spiegazione: cavalla potrebbe derivare da cavare, inteso come attingere, e quindi sorgenti o fossi da cui veniva presa l'acqua. Fino ad arrivare all'Acqua di Strada (Ortano), Acquarile (Marciana) e Acquarilli, questi due che potrebbero però anche derivare da zone di acqua stagnante. Sorgenti a cui attingere ma anche rivolgere una prece alla Vergine sono l'Acqua della Madonna (Sant'Andrea) e Acqua Santa (Monserrato).
Anche l'esposizione solare dei terreni era un elemento fondamentale nella considerazione degli elbani, molto probabilmente in ottica agricola. Si trovano quindi due Solana (Cavo e Sant'Ilario), due Solane (Procchio e Chiessi) e una Solanella (Marciana), luoghi chiaramente baciati dal sole per buona parte della giornata. Esiste anche un Soleasco (Poggio), di cui già l'interessante suffisso finale potrebbe renderlo una voce di origine ligure, e Sabbadini fa rientrare nei luoghi solatii; ma potrebbe anche derivare da solio, cioè luogo in pendice o su un piccolo altipiano.
Ma ancor di più sono le località dove il sole batteva poco, e non solo perché esposte a nord, ma anche per essere su pendici incassate o molto boscose. Ci sono almeno sette località col nome Ombrìa (non a caso quasi tutte legate a fossi o valli), due nella forma Umbrìa (Literno e Scaglieri), nonché una Ombriola e una Ombriacci (entrambe a Marciana), ma quest'ultima da prendere con più cautela.
La passata vocazione agricola dell'isola è testimoniata da molte voci, ma senza dubbio in gran parte dalle località legate ad aie. Con la parola Aia si trovano non meno di una quarantina di toponimi, anche nella forma Aiale, Aiali, Aialino, Aiola, Aiona. Anche se nei primi tre casi non va esclusa l'ipotesi che derivino dal latino arealis, cioè zona paludosa, in considerazione del fatto che sono località site tutte nella piana di Campo, a parte una in quella di Mola, quindi appunto zone paludose fino a un non remoto passato. Due Aia sono aree periferiche a centri abitati, Sant'Ilario e Marciana, e una è oggi inclusa in esso, Capoliveri, l'attuale piazza Garibaldi. E questi casi dimostrano l'importanza di questi luoghi per la vita sociale ed economica delle comunità isolane. Per il resto quasi tutte le Aia sono legate a nomi di persona, anche piuttosto antichi (per esempio Moraccio, Barsalello, Tommeo), evidentemente possidenti di tali appezzamenti agricoli. Interessanti sono l'Aia alli Preti (Pomonte) e l'Aia di Fragnello (oggi scomparso, area portoferraiese): il primo, Silvestre Ferruzzi lo riporta alla vicinanza di un luogo di culto, ma preti potrebbe essere anche una corruzione di prati; “fragnello” è invece interpretato come frassino da Sabbadini. Tre località, Arigalardo (Capoliveri), Adituccio (monte Calamita) e Agaciaccio (Fetovaia) molto probabilmente derivano anch'esse da zone coltivate: Aia di Aleardo, Aia di Duccio e Aia di Ciaccio.
E un segno importante lo lasciano anche la pastorizia, i pascoli e gli allevamenti. Quelli vaccini sono testimoniati da almeno sei toponimi: tre Vaccile (corrottosi oggi in Baccile o Bacile), dislocati tra San Piero, Marina di Campo e Chiessi; la val di Vaccina, a Rio; il colle delle Vacche, sopra Lacona; le Bacarelle, a Capoliveri. Per quest'ultimo non possiamo però trascurare l'ipotesi che derivi da una contrazione di “valle delle sugherelle”. Qualche dubbio in più invece lo dà Bovalico (Marina di Campo): l'origine più che da bove potrebbe riportare proprio a valico (forse “lo valico” o “allo valico”), facendo riferimento a un ponte o a uno restringimento di quello che è uno dei fossi più grandi della piana campese, e che quindi doveva dare discreti problemi per il passaggio da una riva all'altra. Oltretutto considerando che si trovava (e si trova tutt'ora) su una strada importante d'accesso al Porto di Campo, in prossimità oltretutto dell'importante chiesa di San Mamiliano.
Anche le pecore tengono il passo con almeno sei toponimi. Il colle Pecorino (sopra Procchio, chissà perché nelle mappe attuali riportato come Pecoano), la grotta alle Pecore, Pecoraio, Pecorello, Pecorili, Pecorinella (tutti nel campese).
Almeno una dozzina di toponimi fanno riferimento ad alberi in diverse forme: Alberelli (due, Seccheto e Redinoce), Albereto (Portoferraio), Alberi (Capoliveri), Albero (Vallebuia), Alberone (due, Portoferraio e Rio), nonché nella forma Albaro (oggi conosciuto come monte Bello, Portoferraio) o Albari (oggi scomparso, zona riese). In queste ultime due forme è ragionevole riportare il toponimo più che ad alberi generici, a dei pioppi, in passato chiamati appunto albari. Anche molti degli altri toponimi molto probabilmente riportano alla stessa conclusione, data la diffusione che ha il pioppo nelle campagne isolane, tuttavia potrebbero anche riferirsi a piccoli boschi di diverse specie. Curiosa è la località Albero in Faccia, vicino Procchio, che evidentemente fa riferimento alla passata esistenza di una pianta di eccezionali dimensioni da essere presa come punto di riferimento visuale.
Perché spesso è proprio di questo che si parla, nella ricerca alle origini dei toponimi: a riferimenti visuali. Rappresentati da monumenti vegetali, da rocce dal colore o la forma caratteristica, da straordinari manufatti umani che punteggiano il territorio. In sintesi da quei particolari che per generazioni di elbani hanno rappresentato il proprio spazio vitale familiare.
Andrea Galassi