Le cinque principali piane elbane hanno tutte un passato paludoso. Ma in una in particolare esso ha lasciato una forte traccia toponomastica. Il nostro viaggio oggi si sofferma su Lacona. Già questo toponimo è significativo, derivando da “lacuna”, e appare strano che Remigio Sabbadini vada a ricercare la spiegazione addirittura in icona. Ipotesi rilanciata anche da autori successivi, associandola all'immagine della Madonna della Neve, la chiesa di origine romanica che caratterizza la frequentazione medievale della località.
Altro toponimo chiarissimo è Margidore, derivante da “marcidus”, anche in questo caso zona umida, e non come vuole Sabbadini da marcitoio della canapa o del lino. Non occorre dilungarsi troppo poi sul termine Stagnolo, nella parte più occidentale della piana. Nella stessa area troviamo il Pian di Lota: qui non si fa propriamente riferimento a una palude, ma non ci si va neanche tanto lontano: deriva infatti da un termine arcaico che significa fango. Forse anche Isolella, al margine nord della piana, fa riferimento a un striscia di terra, quasi un'isola, in mezzo alla palude.
Un caso particolare è il poggio Marcuccio. In questa forma si trova in tempi recentissimi: fino all'Ottocento l'area era conosciuta come Maruccio, anche in questo caso di origine chiarissima (marucci o marazzi erano talvolta chiamati stagni e paludi). La forma attuale però non è frutto di una corruzione della parlata nei tempi, ma per così dire da una attualizzazione: nella prima metà del Novecento esisteva sul poggetto l'attività commerciale di tale famiglia Marcuzzo. Il toponimo si è dunque formato per ibridazione. È l'unico caso di questo genere accertato sull'isola, anche perché avvenuto in tempi recenti: ma questo non significa che non possa essere avvenuto in altri casi, in tempi più antichi. E questo spesso rimescola le carte per una corretta decifrazione di alcuni toponimi.
In mezzo alla piana, quasi come isolotti dell'antica palude, svettano i poggi degli Sprizzi (spruzzi marini, in elbano) e degli Svizzeri (forse antichi possidenti di origine elvetica? Una Costa dello Svizzero esiste anche sopra Cavoli).
Altro caso curioso è quello di Laconella, non tanto per il toponimo: i casi di diminutivi sono diversi sull'isola (Nisporto e Nisportino, per esempio). Se oggi ci chiedessero indicazioni sulla località, indirizzeremmo il richiedente nella parte più occidentale della baia, sotto il tozzo promontorio di Fonza. Ma fino a un secolo fa avremmo dovuto dare tutt'altra direzione: all'estremità orientale della spiaggia, all'attaccatura del promontorio di capo Stella, località oggi conosciuta come Canata, dal cognome di un passato possidente.
Di fronte Lacona si protende uno dei più bei promontori dell'isola: capo Stella. Il suggestivo toponimo, turisticamente efficace tanto da aver originato l'attuale nome del golfo a est di esso, è riportato opinabilmente da Sabbadini alla stella marina. Ma non è da sottovalutare l'ipotesi che possa derivare dal latino “hospitellum”, ovvero riparo, forse facendo riferimento ai due ampi golfi che suddivide, che in certe condizioni meteomarine potevano assicurare rifugio ai navigli. A questo proposito molto bello è il toponimo Madiella, l'antica denominazione dell'attuale golfo Stella e della spiaggia del Lido, ancora viva nell'Ottocento: forse deriva da “mada”, un vocabolo che in Corsica designa un acquitrino, e fa riferimento a una piccola palude che una volta caratterizzava la zona del Lido.
Sul promontorio si trovano interessanti toponimi. Per esempio la valle di Calon di Spirito, dove “calone” di solito designa spiaggette formate da valli ripide e incassate (è il caso dell'omonima località vicino l'Innamorata) e Spirito è chiaramente il nome di un antico possidente. Forse a terreni coltivati fa riferimento il fosso Campese. Il Serron Mozzo rimanda alle caratteristiche del crinale del promontorio, e il fosso di Piastraia alla formazione geologica a scaglie della costa. Anche lo scoglio della Corbella (o dei Corbelli), come quello sul versante opposto del golfo Stella si riferisce alla forma di un corbello rovesciato.
Tutti da luoghi incassati o piccole depressioni del suolo più o meno artificiali, all'Elba dette tompe, derivano quattro toponimi: il fosso Tombino, le Tombe dei Canosi, il fosso della Tomba Grande e la Tomba del Pero.
A conferma dello spettacolo che doveva essere l'arco collinare che circonda la piana, con le sue pendici coltivate, rimangono significativi toponimi: l'Aia di Virgilio, l'Aia di Buriano e l'Aia della Riccia, tutti antichi possidenti; il Pian dei Porri, ma soprattutto lo splendido Serrone dei Cento Sacchi, che evoca un'antica misura agraria, la sacca o saccata. Emanuele Foresi cita anche il Baracone dell'Aia, insieme al Baracone della Fornace, come siti dove rinvenne strumenti litici: il termine “baracone” è un vernacolo elbano che sta per luogo in forte pendenza.
Sopra Laconella, su pendici scavate da fossi, troviamo la valle dell'Inferno: all'Elba si trovano almeno altre 5 uguali o simili, e indicano orridi incassati tra le alture e di difficile accesso. Poco più a sud c'è la valle della Risega, termine che indica una rientranza nei fianchi collinari, proprio come una valle. L'attuale punta della Contessa (forse il soprannome di un'antica possidente) era invece conosciuta come capo di Bove: Sabbadini lo ricollega al nome romano Bovius, ma trattandosi di una località costiera viene più facile far riferimento a un bove marino, com'era volgarmente detta la foca monaca (Monachus monachus), oggi scomparsa, ma decenni fa avvistata di rado ma con grande emozione anche all'Elba. In passato sulla punta esisteva anche una formazione rocciosa detta l'Omaccio, per la forma antropomorfa (come nel caso dell'Omo Masso, nel marcianese).
Tra i toponimi più interessanti c'è il poggio Berghino, che Sabbadini riporta al personale germanico Perga, ma potrebbe anche intendersi come “berg”, cioè altura; senza escludere la possibilità che derivi da “berga”, ovvero riparo (un Passo di Bergo è anche nelle vicinanze del monte Capanne). Il Pian dei Lari è di difficile decifrazione, e potrebbe essersi fortemente modificato con i secoli: si potrebbe azzardare due ipotesi: che derivi da lauri, quindi per la presenza di alberi di alloro; o da Ilario, antico possidente. Caubbio, che Sabbadini fa derivare da “casa di Bubuli”, un nome romano, ma potrebbe stare anche per carubbo/carrubo (Ceratonia siliqua). Catarello, cioè piccolo catro, ovvero un recinto per animali domestici. Per Chirlo l'ipotesi di Sabbadini che derivi dal nome germanico Kerll non è del tutto da rigettare: all'Elba il chirlo è però l'assiolo (Otus scops).
E l'interessante Cote di Siterno. Anche qui la decifrazione è ardua, e potremmo ancora una volta trovarci di fronte a un toponimo fortemente corrottosi. Tuttavia occorre notare che esiste un termine provenzale pressoché identico che significa ciottolo, piccolo sasso: potrebbe quindi far riferimento alla natura sassosa del luogo? Decaduto è il curioso Piana dell'Ontorchiato: secondo Sabbadini deriva da “intorchiato”, riferito all'olio: quindi un luogo dove si trovava un frantoio, o forse per la presenza di torchi naturali o artificiali dove si spremeva l'uva; Romualdo Cardarelli lo fa derivare dal termine corso “intorchiatu”, ovvero penzoloni, strasciconi, riferendolo a un soprannome, evidentemente dell'antico proprietario del luogo.
E chissà che storia c'è dietro la valle del Bastardo...
Andrea Galassi