Il complesso collinare centrale dell'isola si articola su tre gruppi. Quello principale si snoda sul crinale tra monte Orello e monte San Martino, e rappresenta il cuore dell'Elba. Le vette non raggiungono mai i 400 metri, facendone le alture più basse di tutti i quattro settori collinari isolani. Due gruppi minori si sviluppano a sud (le colline che formano il promontorio di Fonza) e a nord (il gruppo delle Cime, tra Portoferraio e la Biodola).
Oggi la nostra escursione toponomastica sale su alcuni tra i più bei colli isolani. Uno dei poggi più belli è l'Orello, ammantato di pinete e dalle radure panoramiche, sia sul versante portoferraiese che laconese. Il toponimo è oscuro, e potrebbe essere una pesante corruzione di quello originario. In passato spesso si trova nella forma Lorello, che farebbe presumere una radice in “laurus”, e quindi un colle su cui crescevano alberi di alloro. Tuttavia, come abbiamo già visto per il monte Orlano, sopra Pomonte, potrebbe essere anche in questo caso valida la derivazione da “orulus”, inteso come margine: forse perché il monte era visto come estrema altura orientale del crinale centrale.
Coi suoi 360 metri di quota svetta il monte Barbatoia: Remigio Sabbadini, direi correttamente, lo fa derivare da “barba”, cioè radice della pianta. Da notare che il toponimo ricorre un'altra volta all'Eba: la cala di Barbatoia era l'antica denominazione dell'attuale spiaggia di Fetovaia, e in quel caso le barbe si riferirebbero alle alghe spiaggiate di Posidonia oceanica.
Nella parte occidentale del complesso si protendono due crinali spartiacque, la Costa del Gualdarone e la Serra di Literno. Il primo deriva da gualdo, cioè bosco, a sua volta originato dal germanico wald, termine sicuramente introdotto nelle nostre regioni dai longobardi, ma poi italianizzato ed entrato nella nostra antica parlata comune. Per questo occorre andarci cauti prima di attribuire i numerosi Gualdo o derivati presenti sull'isola a un'antica dominazione longobarda. Literno fa molto probabilmente riferimento ad alaterno (Rhamnus alaternus), specie arborea tipica della macchia mediterranea.
Due alture della suddetta Serra sono identificate in passato con i nomi di monte Altamuro (o Altamugio, a seconda della fonte) e monte Arde d'Occhiolo, splendidi toponimi oggi vivi solo in documenti antichi. Forse si tratta di nomi fortemente corrotti degli originari. Il termine “arde” potrebbe derivare da “ardetta”, cioè terreno bruciato (come è inteso anche in Corsica): di solito il fuoco veniva appiccato alla macchia per creare pascolo per gli armenti. E anche Altamuro potrebbe essere decifrato come un muro a secco che circoscriveva un'area di pascolo. Oltretutto esistono ancora ben tre toponimi che rendono l'idea di quanto queste colline fossero legate alla pastorizia: il colle alle Vacche, il colle Pecorino e molto probabilmente il monte Bacile (da vaccile). E anche il poggio Zuffale, derivante dal vernacolo zuffo, ovvero ciuffo d'erba, fa pensare a praterie buone per il pascolo.
Un caso molto interessante è il monte Pericoli, altura di 332 metri, sopra San Martino. Il toponimo è piuttosto recente, dato che fino all'Ottocento il colle era conosciuto come poggio di San Martino, mentre si trova il fosso Pericolo di Colle Grande. Forse il toponimo più che da pericolo, come asserisce Sabbadini, deriva dal latino “percolare”, da cui anche il verbo italiano moderno, intendendo quindi i rivoli delle acque che solcano le pendici. Sempre sul versante nord si trova anche il colle Carene, omonimo della sottostante valle. Sabbadini prende alla lettera il nome, giustificandolo con la forma a carena della vallata. Ma non è da sottovalutare l'ipotesi che derivi da “arena” (quindi una corruzione di Val d'Arene), ovvero le terre e sabbie che formano la piana alluvionale del fondovalle, depositate dalle acque del fosso. Del complesso fanno parte anche i monti Tabari e Cafferi, e il poggio Corsetti, tutti derivanti da cognomi di antichi possidenti: il secondo forse di origine ligure; il terzo ancora vivissimo nel capoliverese. Forse Tabari è un po' più antico, ma sono da prendere con cautela le ipotesi di Sabbadini, che lo vuole originato dal longobardo Tautpert, e di Silvio Pieri, che lo fa derivare dal romano Avarius.
Tra le alture del complesso delle Cime si trova il monte Poppe, evidentemente dalla forma mammellare dell'altura; il monte Tignoso, che secondo Sabbadini deriva da tigna, ovvero brullo e squallido (forse ai suoi tempi), ma potrebbe stare anche per luogo impervio e di difficile accesso; il poggio Seccione, da “seccia”, antico termine che sta per stoppia; il monte Bello, con il rudere del forte francese, corruzione del toponimo originario Albero. Nonché l'interessante poggio Consumella, oggi incluso nell'area urbana di Portoferraio. Sabbadini lo fa derivare dall'improbabile nome longobardo Cunisummulus. Ma potrebbe originare dall'arcaico termine italiano “consuma”, inteso come andato in malora: quindi un possedimento o terreni lasciati incolti, o finiti in fallimento e messi all'incanto.
Il complesso collinare che forma l'ampio promontorio di Fonza è attraversato da un bel sentiero di crinale, con superbi panorami sulla costa sud dell'isola. Si trovano in successione i monti Cocchero, Tambone e Fonza. Sulla vetta del primo spiccano grossi monoliti abbattuti, molto probabilmente attinenti a un luogo di culto, forse dell'Età del Bronzo. Cocchero è un vernacolo elbano che significa vetta. Tambone deriva molto probabilmente da “grossa tomba”, inteso come avvallamento, forse riferita alle incassate pendici orientali, fianchi molto freschi e ombrosi, detti appunto Ombria del Tambone. Attendibile l'ipotesi di Sabbadini che Fonza derivi da fonte.
Sul versante occidentale svetta il selvaggio monte Paglicce (chissà perché riportato nella mappe moderne come Pagliece), che deriva chiaramente da paglia. Suggestivo ma oscuro il nome antico di questo poggio: monte Dragone. Forse esisteva una formazione rocciosa che ricordava la figura di un drago. Infine va citato il bel crinale solatio e panoramico della Serra di Segagnana. Secondo Sabbadini il toponimo deriva dal nome romano Sicanius. Secondo Romualdo Cardarelli invece deriverebbe da “seccagno”, ovvero luogo arido, ed è la spiegazione che convince di più.
Andrea Galassi