In questi giorni stiamo vivendo momenti terribili che mai ci saremmo sognati di vedere se non in qualche film o serie tv.
Queste vicende colpiscono duramente non solo perché incidono dolorosamente nei nostri affetti ma soprattutto perché minano le certezze sulle quali si è retta la nostra società moderna.
È bastato un piccolo virus per ricordarci quanto siamo fragili e vulnerabili anche se una certezza l'ha confermata: sono sempre i più deboli a pagare il prezzo più alto.
La lezione che ci dà la storia è che gli eventi, soprattutto quelli sfavorevoli, si ripetono negli anni e nei secoli ma, quasi mai, da questi gli uomini hanno imparato la lezione. Anche da questa pandemia temo che, passata l'emergenza, molti, soprattutto i politici mondiali, ormai nella maggioranza dei guitti ridicoli, dimenticheranno presto la lezione.
Nel corso degli anni queste epidemie o pandemie si sono abbattute con regolarità nel mondo e ovviamente anche all'Elba.
L'essere isola ci salvò dall'epidemia di colera del 1835 che risparmiò l'Elba, unica zona in Italia con la Sardegna. Non fu così per l'epidemia di colera del 1849, che colpì però solo Marciana Marina, e per quella dell'estate 1855.
Il primo caso dell'epidemia del 1855 fu segnalato a Portoferraio, tale Orsola Cacciò, il cui marito dimorava a Livorno dove il colera era presente già da febbraio; nella corrispondenza tra i due fu visto il possibile mezzo di contagio.
In quei giorni però il Governo del Granducato non ordinò, a differenza del 1835, la separazione dell'Isola dal continente, la gente continuò a lavorare e soprattutto a spostarsi diffondendo il morbo.
Il secondo caso fu un certo Fabiani di 70 anni, già non in buona salute, dopodiché cominciò a infettarsi il personale deputato all'assistenza dei malati: una guardia municipale, un infermiere e un membro della Confraternita della Misericordia. In quei giorni ci fu un'invasione di pappataci e il popolo volle vedere in questo la causa del contagio.
Un capitano marittimo di Livorno arrivato a Portoferraio con la sua imbarcazione portò il colera a Marciana Marina e da lì il morbo si diffuse in tutta la zona occidentale dell'Elba.
Teodosia Tagliaferro fu la prima vittima a Longone e di seguito il marito di lei. Le condizioni igienico-abitative di Longone rispetto a Portoferraio erano ben peggiori per cui il colera si propagò più rapidamente in città e nelle campagne fino a Capoliveri e Rio.
Uno dei motivi addotti dai contemporanei al dilagare del contagio del 1855 rispetto al '49 fu che nel 1854 non vi fu raccolto di vino e l'Elba si trovò in una crisi economica che aumentò gli effetti del morbo.
Dunque fra luglio e agosto l'epidemia era al massimo. Vennero approntati ospedali appositi e prestate cure a domicilio: a Portoferraio venne aperto un piccolo ospedale al Ponticello in un edificio del genio militare, dal 23 giugno al 5 agosto vi furono ricoverati 73 malati, di cui 39 morti e 34 guariti e un ospedaletto venne ricavato nella caserma di San Francesco (de Laugier) dove i ricoverati furono 12, 4 morti e 8 guariti.
Nel comune di Marciana che comprendeva i territori di Marciana, Poggio, Marciana Marina, S.Piero, S. Ilario e Campo tutti furono curati a casa.
A Longone venne aperto dal 29 luglio al 25 agosto un ospedaletto in via delle Anime del Purgatorio con 74 ricoverati, 24 morti e 50 guariti; ebbe massimo 8 inservienti e di tali 3 furono attaccati dal Colera: Clementina Giorni, Domenico Lazzerini e Maria Cecchi; i primi due morirono, l'altra guarì.
Nel paese di Capoliveri fu aperto il 21 luglio un ospedaletto in località la Croce; ma fu presto riempito, e un altro ne fu aperto
il 25 luglio in località Sull'Aia, furono chiusi ambedue il 20 agosto. In questi due ospedali vi furono 82 ricoverati, 29 morti 53 guariti.
A Rio Marina in un altro ospedale furono ricoverate 7 persone di cui tre morirono. In quello di Rio Alto furono ricoverati 8 individui dei quali 5 guarirono, 3 morirono.
Portoferraio aveva anche un ospedale militare che funzionava per tutta l'isola e accoglieva anche civili, dove non vi furono contagi perché l'autorità militare aveva ricavato alcune stanze nella caserma di San Francesco dove isolare i militari sospetti di contagio. Nello stabilimento penale di Portoferraio dove erano reclusi 143 detenuti il primo morì in luglio, tale Lazzaro Bernardi ergastolano, successivamente ne morì solo un altro.
Le misure prese dalle autorità erano sostanzialmente simili a quelle odierne: pronto ricovero negli ospedali creati all'uopo, disinfezioni di ogni genere, accurata pulizia del paese, vigilanza degli organi di polizia, cura degl'infermi e somministrazione di alimenti ai bisognosi.
Nel 1855 all'Elba i morti nei mesi di luglio, agosto e in parte in settembre furono molto maggiori degli anni precedenti e successivi.
Dalla visione dei registri anagrafici di quell'anno i morti nei mesi di luglio e agosto furono:
Portoferraio 110; Longone 145; Rio 102; Capoliveri 106; Marciana 41; Marciana Marina 31; Sant'Ilario 27; San Piero 39; Poggio 12; per un totale di 613, forse non tutti morti di colera ma la maggior parte sì, circa un 3% della popolazione dell'isola D'Elba.
Alla luce di quello che purtroppo succede oggidì mi è sembrato di cogliere molti aspetti incredibilmente simili con ciò che accadde allora e perciò degni di essere condivisi.
Giulio Frateschi
NB. la popolazione dell'Isola d'Elba raggiunse al censimento del 1861 i 20900 abitanti