Il meno esteso dei complessi collinari isolani è quello formato dal monte Calamita, che a sua volta caratterizza la penisola omonima, nella parte sud-orientale dell'Elba. Oggi facciamo un giro virtuale su questo panettone di 414 metri, formato da gneiss che prendono il suo nome, formazioni geologiche antichissime, tra pinete devastate da un incendio alla fine del secolo scorso, e paesaggi minerari.
Come non partire dal nome principale. Non tanto per la spiegazione, anzi chiarissima: ovviamente è dovuta ai giacimenti di magnetite, il minerale detto volgarmente calamita e dal più alto tenore ferroso. Le denominazioni monte della Calamita e punta della Calamita sono antiche, attestate già nel Cinquecento. Tuttavia fino praticamente all'Ottocento queste attestazioni geografiche erano intese in senso molto ampio, e non come oggi legate a specifici punti topografici.
Per esempio la sommità del monte è ancora riportata nella mappa catastale ottocentesca con il nome di Cadro, evidentemente perché dove oggi sorge il semaforo dell'aereonautica militare esisteva un chiuso per animali d'allevamento. Anche la punta di Calamita è un'attestazione topografica piuttosto recente. In una carta geologica del 1880 il promontorio appare triforcuto (come doveva essere in origine, prima delle pesanti escavazioni industriali), e per ogni capo un nome specifico: punta Bianca, punta Nera e punta Rossa, chiaramente per il colore delle rocce. Solo il terzo toponimo è vivo ancor oggi.
Forma il complesso collinare anche il monte le Torricelle. In passato si trova con il nome di Torricella di Corpione. Il toponimo è piuttosto interessante: non è detto che la torricella fosse necessariamente un'opera militare di vigilanza, ma una struttura pastorale o agricola che ricordava appunto una torre, proprietà di tal Corpione, un nome o soprannome, forse corrotto. L'ipotesi che si trattasse di un caprile è forte, considerando che nella zona ancora oggi si vedono resti di recinti a secco pastorali, e un fosso sulle pendici sud-orientali dell'altura è detto di Caprivecchi, dove “capri” sta appunto per caprili. E questo gran numero di recinti spiegherebbe anche la forma al plurale del nome attuale del monte.
Spostandosi di poco a sud troviamo il poggio Fino, riportato in passato anche come poggio di Fine, terrazzo panoramico sull'Argentario e il Giglio. Remigio Sabbadini lo interpreta, direi correttamente, come confine: questo potrebbe indicare che il poggio era preso come limite dell'antica area di pascolo.
Nella parte meridionale del complesso svetta il poggio Polveraio, un paesaggio lunare a causa delle escavazioni minerarie. Il toponimo potrebbe originare dalla natura terrosa del suolo, ma non è da escludere l'antica presenza di un deposito di polvere per una batteria di vigilanza costiera sul promontorio.
Nella stessa miniera di Calamita spiccano toponimi interessanti, che danno il nome ai vari cantieri. Macei, che è un vernacolo elbano per sassi o, per estensione, luoghi sassosi, così come Vallone e Coti Nere fanno riferimento a caratteristiche orografiche e geologiche.
Civetta è piuttosto interessante, in quanto uno dei toponimi che riporta (almeno apparentemente) a specie di uccelli che forse in quei luoghi nidificavano. E lo stesso caso di Cicogna (specie però oggi assente sull'isola), località in prossimità del monte Calamita. Ma si potrebbe fare l'esempio di Chirlo (Lacona) e il più generico Uccellaia (Marciana Marina).
Le Francesche viene riportato da Sabbadini alle mele: ipotesi assurda, in quanto albero da frutto poco o punto affine al clima dell'isola. Ci possono essere due strade: o che derivi da un nome di un possidente del passato (Francesco, Francesca o, perché no, a una famiglia); oppure a francese. Da notare che in alcune mappe ottocentesche (tra cui quella geologica citata) una cala e punta Francese risultano gli antichi nomi di Pareti. Ma è difficile dire se l'attinenza sia con antichi possidenti transalpini o con avvenimenti aventi protagonisti francesi.
Un toponimo su cui rompersi la testa è il bellissimo Albaroccia (o Albaroccio). Qui le ipotesi possono essere molteplici. Tralasciamo quella che derivi da un baroccio, la meno probabile. Potrebbe originare da “albaraccio”, ovvero un esemplare di pioppo particolarmente significativo. Ma potrebbe essere composto anche da due termini, di cui “alba” va inteso nell'italiano antico di bianca, chiara: quindi rocce chiare, forse perché spiccavano sui terreni ferriferi scuri (peraltro non sarebbe un caso raro all'Elba: basti l'esempio di Pietre Albe, vicino Chiessi, che ha lo stesso significato). Ancora, potrebbe derivare da “barà”, verbo elbano che sta per franare: quindi significherebbe “alla piccola frana” o “al burrone”.
Sul versante nord del complesso si trova il poggio del Pozzo. Questo si riferisce molto probabilmente a una cisterna di raccolta dell'acqua dell'antica e oggi scomparsa fonte delle Cavallacce, segnalata fino alla fine dell'Ottocento, per esempio nella carta geologica del 1885, redatta da Bernardino Lotti. Questo toponimo, oggi vivo nel fosso sottostante, si può assimilare ai diversi Acquacavalla e derivati del resto dell'isola, dove “cavalla” può far riferimento all'irruenza dell'acqua, ma anche appunto al verbo cavare, inteso come attingere.
Sulle pendici che da Capoliveri scendono verso la piana di Mola spiccano due alture. Il poggio di Spernaino, un bel terrazzo panoramico, oggi in gran parte occupato dal cimitero del paese, fa molto probabilmente riferimento a un antico possidente; e il modesto monte Zuccale, altura di 141 metri, sormontata da una croce votiva. Il toponimo è interessante, perché forse più che un campo coltivato a zucche, è una corruzione di “sugale”, cioè terreno concimato. Comunque di un passato agricolo, oggi quasi preistoria.
Andrea Galassi