La vicenda della marineria elbana, tra le più interessanti dell'intero panorama nazionale, appare singolarmente trascurata dallo storico. Di fatto, il suo sviluppo risulta indagato in un solo lavoro, La vena del Monte e le vie del mare, di Lelio Giannoni, uscito pochi anni or sono. Esso appare uno strumento irrinunciabile per lo studio specifico in una frazione dell'isola, connotata, del resto, sul piano economico, sociale e antropologico-culturale, in modo non comune, il riese, che deliberatamente focalizza. Si tratta, ora, di non continuare a dilazionare una risposta alla domanda di un racconto più ampio. Da qui il presente Quaderno, con il quale attraversiamo gli anni che, dal 1804 al 1814, dal 1814 al 1815 e dal 1815 al 1859, videro l'Elba di volta in volta essere parte dell'impero francese, stato indipendente sotto Napoleone e dominio dei Lorena, fino alla loro caduta e alla unificazione della Toscana con il Regno di Sardegna. Dal punto di vista della gente di mare, tale arco di tempo significò una progressiva dilatazione delle rotte possibili e un misurarsi costante con un'evoluzione tecnica del naviglio mai stata tanto rapida e incisiva. Per i centri dove la gente di mare prevalse, quantitativamente e culturalmente, esso conobbe la nascita di grandi capitali e l'innalzamento generalizzato del livello di vita. Ciò fu vero soprattutto per le Marine di Rio e di Marciana, dai cui cantieri, peraltro, uscirono decine di bastimenti. Beninteso, le circostanze non si susseguirono sempre favorevoli: a lungo le flotte delle Reggenze barbaresche incrociarono fin nelle acque di casa; inoltre pesò la contrapposizione tra la Francia napoleonica e la Gran Bretagna. I traffici si restrinsero a tal punto, in qualche momento, che non restò, da Rio a Portoferraio a Campo, che abbracciare la corsa e, occasionalmente, perfino la pirateria. La stagione migliore cominciò negli anni Trenta, scomparsa la minaccia barbaresca; imperante l'equilibrio tra le potenze sancito nel Congresso di Vienna; nate, in America, nuove nazioni dal crollo degli imperi coloniali spagnolo e portoghese e fattosi più sensibile l'establishment del Granducato alle ragioni dell'industria e del commercio, che si sostennero con una nutrita serie di trattati. Quelli con l'impero turco aprirono la rotta del grano. Da allora i bastimenti elbani, si divisero tra le vecchie destinazioni sulle coste del continente italiano, francesi, spagnole, africane, lungo le quali avevano sempre trasportato soprattutto minerale di ferro e vino, e le nuove, sul Bosforo, nel Mar Nero, nel Mar d'Azov. Ma ve ne furono anche che uscirono nell'Atlantico per portarsi in America, ora in Colombia ora in Argentina ora nelle Antille, spesso carichi di emigranti, o nell'Europa settentrionale, nei grandi terminali del carbone. Fu in quelle ostiche acque che le flotte degli armatori locali si rinnovarono, dando sempre più spazio al brigantino di grandi dimensioni, 'scoprendo' il brigantino a palo e il re dei velieri quadri, la nave. A tutto ciò corrispondeva una crescita costante dell'opzione marinara tra la popolazione maschile attiva che, nella somma dei ruoli delle diverse capitanerie di porto, valeva, nel 1858, tremilacinquecentottantacinque iscritti. I bastimenti erano duecentosedici.
Converrà ognuno che finché l'Elba non darà a questo quadro lo stesso posto occupato dai paralleli dipinti dal soggiorno napoleonico, dall'industria mineraria e dai bisanti medicei non potrà decifrare in modo soddisfacente il libro della propria storia.