A Folco Giusti, persona cara, mi legano la personale amicizia, l’essere Colleghi all’Università di Siena e l’amicizia, sua e di sua moglie Simonetta, con i miei suoceri Gabriele e Laura Neri, a Siena. Folco è un insigne naturalista, si sa, ma oggi la sua figura va ben oltre il magistero e la ricerca accademica. Folco è anche uno scrittore e proverò qui, per quanto posso, a convincervi, ma magari lo avete già fatto, a leggere il suo libro, “L’isola dell’ultimo ritorno”. Folco è, da tempo immemorabile, una figura di riferimento, alta, a Capraia, l’isola amata nella quale spesso si rifugia e trascorre lunghi periodi e alla quale aveva già dedicato il libro “Un’isola da amare – Capraia: storie di uomini e animali”, pubblicato nel 2003. Capraia è l’isola che Folco protegge, non scompare mai dallo scenario della narrazione e rioccupa la scena nel finale diventando la meta del romanzo per eccellenza.
La cosa peggiore che si possa fare recensendo il libro di un amico è di “spoilerarlo”, come oggi si usa dire con orrido anglismo, ovvero di lasciare intuire come andrà a finire. Per questo motivo, e per tentare di accrescere la vostra curiosità, mi limiterò a lanciare delle esche, semplicemente attirando la vostra attenzione su vicende per noi tanto lontane nel tempo (Amore e guerra alla fine del Mondo Antico, è il sottotitolo del romanzo: siamo nel V secolo d.C.) quanto vicine nello spazio: il nostro mare dell’Arcipelago, del Mediterraneo più in generale.
Tra la Provenza ormai pressata dai Visigoti e la vecchia, cara Africa dei Romani, ormai occupata dai Vandali, si dipana una storia avventurosa fatta di grandi amicizie, di battaglie, di navigazioni ardue con venti spesso contrari, di gelide onde invernali che si frangono sulle prore di agili, fragili navi. Nel viaggiare pressoché instancabile della narrazione si avverte una suggestione filmica, quasi che tra i modelli “letterari” scelti da Folco figurasse anche il road-movie, anzi il sea-movie. Devo dire che un po’ di “road movie” ante litteram io l’ho sempre avvertito anche leggendo l’opera antica dacui il romanzo prende le mosse: il De reditu di Rutilio Namaziano (o forse si deve alla traduzione di Alessandro Fo).In questo libro si avverte una costante tensione, emotiva e sentimentale, tra la partenza metaforica da un porto che si vorrebbe non lasciare (un vecchio mondo e una vecchia vita purtuttavia rassicuranti) e il riluttante viaggio (che non può non essere per mare) verso un futuro indecifrabile. In questo viaggio la crescente instabilità del morente impero, la ricerca di antichi affetti, il desiderio di vendetta, si coniugano con il senso della propria malferma solitudine, con la altrettanto incerta accettazione di una nuova fede, di una nuova religione destinata a sostituire i vecchi, esangui, dei. Per i Greci, già mille e più anni prima di Rutilio e del personaggio del romanzo, il mare era stato nero, purpureo, color del vino, viola, sempre, in ogni caso, in qualche modo, affascinante. In questo romanzo il mare continua ad affascinare ma non per un attributo coloristico, bensì per il freddo delle raffiche boreali e per il gelo degli spruzzi che si riversano sulla tolda.
La qualità della scrittura vi guiderà attraverso un percorso appassionante fatto di spazi marini, di città in declino, di mondi lontani, di isole misteriose, di comunità di uomini che si disfano per riplasmarsi in forme diverse. E’ un sea-movie, un grande romanzo di avventura, ma anche il racconto della ricerca di una meta e di una soluzione all’esistenza.
La lettura ha riportato alla mia mente anni lontani di archeologia militante nelle isole, quando, spesso in circostanze non facili, con Folco Giusti, Silvia Ducci e Angelo Boccanera fu fatto quello che si doveva per salvare una parte importante della storia più remota di Capraia. Ma questa è un’altra storia e la racconterò un’altra volta.
Mi piacerebbe presentare questo libro all’Elba, con il patrocinio del Parco, a beneficio delle scuole medie superiori elbane, magari in autunno (ci vogliamo pensare, Giusi Vago?), meglio ancora se in compagnia dell’amico Alessandro Fo, che questo percorso narrativo di Folco ha seguito con affetto e competenza.
Franco Cambi
Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali
Università degli Studi di Siena