Sin da piccola ho sempre sognato di intraprendere un viaggio alla scoperta di nuove terre o popolazioni. Il 3 luglio del 1492, mi arrivò una lettera di invito ad una spedizione verso le Indie, per recuperare famose e ricercate spezie. Mi ricordo ancora cosa diceva:
“Gentile signorina Ermengilda, è invitata a compiere con noi questo viaggio verso le Indie, la partenza è fissata per il giorno 3 agosto dal porto del suo paese”.
Che bei ricordi! Appena finii di leggere mi incontrai subito con Ermengarda, la mia fidata amica. Appena la vidi mi disse che anche lei era stata reclutata per la spedizione; eravamo felicissime! Passato un mese finalmente, arrivò quel giorno, ci tro-vammo al porto e mi accorsi che c’erano per lo più uomini; salimmo sulla barca e il capitano ci fece da guida. Dopodiché partimmo insieme alle altre due navi la Nina e la Santa Maria; la nostra nave era la Pinta. Il capitano ci spiegò inoltre che la nostra imbarcazione era una caravella, una nuova invenzione nautica, che serviva a compiere viaggi di lunga durata: aveva delle grandi vele e una stiva dove si trasportavano le provviste. Io ed Ermengarda, tenevamo un diario di viaggio dove ogni giorno raccontavamo le nostre fantastiche esperienze. Nonostante lavorassimo molto, imparavamo sempre qualcosa di nuovo e prezioso ogni giorno. La vita su quella nave era molto dura, ma dopotutto era il mio sogno e non mi sarei arresa per niente al mondo. I giorni passavano e la mia più grande paura che mi tormentava ogni giorno, era quella di rimanere di ve-detta durante la notte; c’erano tante cose che mi pre-occupavano, poteva succedere davvero di tutto. Ad esempio, certe volte i miei compagni mi racconta-vano di un’anima di n pirata che si aggirava nella nave; ero davvero terrorizzata!. Un giorno, mentre tutti stavano andando a dormire udii il capitano dire:
“Ermengarda stanotte rimarrà di vedetta”.
Io rimasi da sola, lì, sul ponte. Fortunatamente il mare era calmo, perciò rimasi quasi serena tutta la notte. La mattina seguente dietro la punta del vascello si scorgeva un pezzo di terra, così iniziai ad urlare:
“Terra! Vedo terra!”.
Il capitano mi raggiunse e mi disse:
“Complimenti è stata molto brava!”.
Quelle poche parole riuscirono a riempirmi il cuore di gioia. Una volta scesi a riva trovammo un popolo ad accoglierci, ed il capitano credendo che fossimo nelle Indie dette loro il nome di “Indiani”. Solo più tardi si scoprì che quella era l’America, chiamata così da Amerigo Vespucci, ma questa è un’altra storia…
Iside Giusti