E' difficile imbattersi per caso nel cippo in pietra, saldamente conficcato nel terreno e recante su un lato una croce scolpita, che si trova nei pressi del Mulino a Vento. A meno che non si percorra nella boscaglia il crinale proveniente dalla Barbatoia, passando poco al di sopra della strada sterrata che porta a Colle Reciso. Da lì passava e passa il confine di Portoferraio. Dal 1574 i cippi confinari indicavano la linea immaginaria che separava la Cosmopoli medicea dal resto dell'isola facente parte del principato di Piombino. Furono collocati a Bagnaia, alle Panche, sul Monte Castello, al Belvedere sopra Porto Azzurro, al Felciaio, su Monte Orello, a Santa Lucia, alle Ceppete, all'Acquaviva. Non pochi problemi dovevano essersi presentati nel tracciamento di questo confine se occorsero ben venti anni per concludere la sua delineazione, da quando a Londra l'imperatore decise di togliere l'Elba dal dominio fiorentino e di restituirla agli Appiani, lasciando a Cosimo I la sola Portoferraio.
Questo confine fu una vera novità per gli isolani. Da quel momento dovettero pagare le gabelle ogniqualvolta attraversavano il limite di Portoferraio con prodotti che superavano in quantità il fabbisogno familiare. Inoltre non potevano più portare al pascolo il bestiame nel territorio portoferraiese, né raccogliere legna o andare a caccia. E questa dovette essere una cosa dura da digerire, soprattutto per i Riesi che possedevano di fatto molte terre da pascolo oltre il confine. Gli stessi Riesi con non pochi sacrifici tenevano attiva la loro chiesetta di San Leonardo accanto al Volterraio, in territorio granducale, per paura che abbandonandola potesse essere inglobata nei possedimenti portoferraiesi. Nel Seicento vari episodi di sconfinamento del bestiame avevano come conseguenza il sequestro degli animali, che però quasi sempre venivano restituiti con un atto di benignità da parte del governatore granducale che certamente non voleva infiammare gli animi dei pastori elbani. Ma col tempo la legislazione sul pascolo e sul legnatico divenne più severa e di conseguenza aumentarono episodi di scontro con gli isolani. Talvolta qualche cippo veniva distrutto nel tentativo di far spostare il confine o come semplice gesto di rivolta. Successe ad esempio al cippo che era posto sul Monte Castello e a quello posto al Felciaio. Il cippo del Felciaio rappresentò sin dalla sua prima apposizione un vero casus belli. Per calcoli errati il capomastro granducale Marco Fornaciari detto Lo Spagna lo aveva posto in mare. In quella posizione il confine di Portoferraio tagliava in due l'isola impedendo ai Capoliveresi di raggiungere Lacona che pur apparteneva alla loro comunità. Risolto questo problema, il cippo fu arretrato di qualche decina di metri dalla linea del mare, appena sopra il sentiero costiero che poteva costituire una via di transito per i capoliveresi. Ma la scomodità del sentiero scontentò gli isolani che arrivarono a distruggere il cippo occultandone le macerie, per poi sostenere che esso si trovasse molto più arretrato rispetto al mare.
Ma ritorniamo al nostro cippo del Mulino a Vento. Esso è interessante per vari motivi. Per prima cosa è uno dei tre cippi superstiti sui 13 che furono collocati intorno alla città granducale. Gli altri due si trovano alle Ceppete e al Felciaio. Il cosiddetto Termine sul Monte della Barbatoia, mèta di passeggiate domenicali (che valgono la ripida salita per raggiungerlo poiché da lassù si gode un amplissimo panorama), non è originale dell'epoca: lo si vede dal fatto che è in muratura e non in pietra e le sue dimensioni esulano dallo standard dei cippi confinari del granduca. Dimensioni, materiali e altri segni some lettere e numeri, nonché linee scolpite sulla faccia superiore per identificarne la posizione, in base ad un sistema di antesignana triangolazione, sono infatti accuratamente annotati sui documenti dell'epoca. Pur tuttavia esso ci indica ancor oggi la posizione dell'antico cippo lì collocato nel 1579, allorché fu deciso di rimuovere quello che si trovava nel Castello di Santa Lucia al Colle Reciso e di murarlo sulle pietre della cima del Monte della Barbatoia.
Del cippo del Mulino a vento si sa con certezza la sua data, è la medesima dello spostamento del cippo di Santa Lucia. I commissari addetti alla terminazione ( cioè alle operazioni di apposizione dei cippi confinari, o Termini), nell'occasione dello spostamento del Termine da Santa Lucia alla Barbatoia, decisero di incrementare il numero dei cippi confinari, piantandone altri 4, seppur dichiarandoli di secondaria importanza rispetto ai Termini. Il cippo del Mulino a Vento fu uno di questi. Essi dovevano servire a far intendere con maggior certezza dove il confine passasse. Furono collocati in modo tale che si capisse che il confine percorreva il crinale dei monti, come indicato dal citato accordo di Londra. Purtroppo nel 1689 il governatore Tornaquinci (passato alla storia più per la raccolta di bei disegni acquerellati che illustrano le migliorie da lui apportate alla città di Cosimo che per il suo interesse al confine) ebbe la malaugurata idea di far annullare il valore legale di questi quattro cippi, scatenando una bagarre che durò più di un secolo. Da quel momento infatti gli Elbani iniziarono a sostenere che il confine non passasse sul crinale dei monti che circondano Portoferraio, come dicevano i primitivi accordi, ma che andasse da un Termine all'altro in linea assolutamente retta. Così si pretese di sostituire una linea di demarcazione abbastanza identificabile sul terreno (il crinale dei monti), con un'altra totalmente incerta. Con la “linea retta” vi era inoltre un evidente vantaggio di acquisizione di territorio da parte del principato, vantaggio che era ben visibile nella valle di San Martino, la cui parte alta entrava a far parte del territorio degli Appiani. Risse più o meno infinite e più o meno gravi si trascinarono per decenni. I governatori portoferraiesi sostenevano il principio di non cedere territorio, quelli del principato arrestavano i pastori trovati a pascolare in zone che loro ritenevano proprie... Le rispettive autorità centrali formalmente sostenevano i rispettivi sudditi ma di fatto o non capivano il contendere o cercavano di minimizzare, perché gli scontri confinari in Toscana erano ben altri e di ben altra gravità e perché non si dovevano incrinare i rapporti con gli Appiano.
Ritornando al nostri cippo del Mulino a Vento, esso si trova nella curiosa posizione di esser stato ritenuto sia dalle stesse autorità granducali e che dai rappresentanti del Principato un segnale del tutto nullo dal punto di vista legale. Ciononostante ancor oggi lo possiamo ammirare nello splendore dei suoi quattro secoli abbondanti di età, direi ben portati. Ma perché un segnale che aveva perso la sua importanza pratica, simbolica e legale non fu smantellato o non fece la fine dei suoi tre fratelli ”non regolari” fatti sparire in varie fasi della storia elbana? La risposta è presto data: in quella posizione, cioè sul crinale che dal Termine della Barbatoia continua per il Colle alle Vacche (chiamato nei secoli passati Poggio delle Casamente) e risale sul Monte Orello (dove, ricordioamolo, si trovava un altro Termine) il nostro cippo era del tutto insignificante rispetto alle diatribe confinarie, indicando una rettilinearità del limite granducale che coincide quasi perfettamente col crinale dei monti.
Le diatribe sul confine seguitarono per secoli. Solo Napoleone unificando l'Isola ebbe, tra gli altri, il merito di porre fine a queste rissose controversie. Adesso il confine, con le memorie materiali ma ancor più con quelle paesaggistiche legate ad esso, costituisce l'occasione di una interessante passeggiata intorno alla città di Cosimo fra l'archeologico, il naturalistico e lo storico.
Fabrizio Fiaschi
Bibliografia
FIASCHI F. (a cura di), Capitano Antonio Sarri. Isola del'Elba, Un manoscritto del XVIII secolo, Capoliveri 2019.
FIASCHI F., I confini di Cosmopoli. Storie e percorsi intorno a Portoferraio, Isola d'Elba, Firenze 2019.
MARONI L., Confini del territorio di Portoferraio nell'isola d'Elba, «Lo Scoglio», 2005, n. 73.
ROSPIGLIOSI C., Gli antichi confini di Portoferraio, «Lo Scoglio», 1999, n. 55.
SARDI M., Statuti di Portoferraio (sec. XVI), Capoliveri 20