Il 21 dicembre 1895 Pietro Gori è a Spring Valley (Illinois), nell'Italian Hall, dove parla ai molti immigrati italiani nella conferenza “Perché i lavoratori della miniera sono, come tutti i lavoratori, poveri e sfruttati”, mentre il giorno dopo, nella French Hall, il suo intervento in francese è “L'anarchie est la loi naturelle du monde”, davanti l'altrettanto forte componente franco-belga degli immigrati in città. Anche il 24 dicembre sostenne una conferenza e mise in scena un dramma dal titolo “Natale dei lavoratori”; e, instancabile, il giorno dopo fu la volta di un'altra conferenza: “La rivoluzione cristiana e la rivoluzione sociale”. Dopo due giorni di riposo prese parte alla solita inaugurazione di un circolo comunista anarchico rivoluzionario, che già assommava a cento iscritti, tutti minatori italiani.
Spring Valley era un coacervo di nazionalità (ne sono state contate addirittura 26), attirate dal lavoro nelle miniere di carbone. La componente italiana (circa il 12% della popolazione della cittadina) era in gran parte originaria del Nord e di idee anarchiche, e fu la più attiva nelle rivendicazioni sindacali degli anni '80 e '90 contro i padroni delle miniere. Nell'agosto precedente l'arrivo di Pietro, si registra uno degli episodi più drammatici della storia dell'Illinois. Da qualche anno scioperi e durissimi scontri con i padroni delle miniere avevano spinto questi ultimi, durante le serrate, a sostituire gli scioperanti immigrati europei, troppo sindacalizzati e politicizzati per i gusti del padronato, con manodopera di colore, meno ideologizzata e riottosa. Ma questo provocò un forte risentimento della componente bianca contro quella afroamericana. Quando il 3 agosto venne rapinato e ucciso un operaio italiano, Barney Rollo (qui l'articolo originale del New York Times), di cui furono accusati dei neri, il giorno dopo deflagrò un'esplosione di inaudita violenza razzista: gli italiani e gli altri immigrati europei scatenarono un linciaggio contro tutti i neri della città, senza distinzioni, che provocò 14 feriti afroamericani, mise a ferro e fuoco le loro case, e li costrinse ad abbandonare la città. (Un completo resoconto sulla vicenda si può leggere, in inglese, qui). Il fatto provocava un tale scalpore ancora nel dicembre (il processo si era concluso il mese precedente, con 8 condanne) che anche Pietro dovette esserne informato.
Nel gennaio 1896 fece tappa a Rock Island (Illinois), e quindi a Saint Louis (Missouri), dove terrà ben cinque conferenze e rimarrà impressionato dalle condizioni di vita degli immigrati italiani. Quei visi e quei corpi segnati dalla micidiale, spesso letale, polvere mineraria; quegli uomini che sentivano “l'inglese un suono strano che li feriva al cuore come un coltello”, costretti a “dire boss per capo e ton per tonnellata e raif per fucile” e a vivere “per anni da prigione, di birra e di puttane”, come verranno cantati nella meravigliosa “Amerigo” di Francesco Guccini, cantautore che non a caso a Gori si è ispirato molto. Forse nei loro volti Pietro rivide quelle espressioni familiari dei cavatori elbani che ben conosceva dalla sua gioventù, e che, insieme a quelle degli operai degli altiforni di Portoferraio, rivedrà negli ultimi anni. E per cui si spese sempre con passione.
Forse quando arringava a quegli uomini, sentendo il loro “sudore d'antracite”, ritrovava l'esuberanza del ventiduenne Pietro, presidente della società di mutuo soccorso di Sant'Ilario, che in un articolo sul Corriere dell'Elba difendeva i cavatori capoliveresi contro le autorità poliziesche, colpevoli un anno prima (8 dicembre 1886) di aver represso nel sangue una manifestazione popolare a Capoliveri. L'episodio è poco chiaro: la pietra dello scandalo fu la rimozione del medico condotto, il dottor Frattini (genero del patriota risorgimentale capoliverese Vincenzo Silvio), molto amato dai paesani, ma inviso alle autorità. Lo scoppio della rivolta ebbe futili motivi: “grida rivoluzionarie” di alcuni bimbi. Certo è che la reazione dei carabinieri fu sproporzionata: il delegato di pubblica sicurezza ordinò addirittura di sparare sulla folla, dirà poi per legittima difesa, lasciando sul terreno due morti e quattordici feriti, e traendo in arresto undici persone.
Ma sarà negli ultimi anni, quando le condizioni di salute condizionarono molto il suo impegno in continente, che profonderà i suoi sforzi in aiuto degli elbani. Nell'aprile 1905 dette un contributo fondamentale a uno sciopero proclamato dalla lega operaia di Capoliveri. Il pretesto è l'intolleranza di due capiposto della miniera, ma in realtà vi erano lamentele sul sistema dei cottimi e il trattamento lavorativo. Nonostante i 35 giorni di fermata e il sostegno continuo e diretto di Pietro ai cavatori, lo sciopero fallì, soprattutto perché gli altri minatori elbani non scesero in piazza con i compagni capoliveresi. Il risultato sarà il licenziamento del segretario della lega paesana, l'anarchico livornese Alfredo Marmeggi, e la messa a decade di 100 dipendenti.
L'intervento di Pietro a Capoliveri, il 25 aprile, è descritto a tinte vivaci da una lettera di Luigi Fabbri alla moglie: “Se tu avessi visto quale entusiasmo ha destato Gori con la sua conferenza, e con quale fede tutto il paese sta forte nello sciopero! Le miniere sono vuote da parecchi giorni: nessun crumiro, nessun traditore! Gori ha tenuto la conferenza in piazza, da una finestra; e sulla piazza c'era tutto il paese; metà della folla era di donne giovani e vecchie. Le giovani cantavano magnificamente l'inno dei lavoratori. Dopo la conferenza, noi stavamo per salire in vettura, ma la folla ci attorniò e, con in testa la bandiera della lega, si percorse tutto il paesetto al canto dell'inno dei lavoratori ed alle grida di viva lo sciopero! Viva la rivoluzione! Viva la libertà! Viva l'organizzazione! Viva l'anarchia! Le donne erano più entusiaste degli uomini; alcune protendevano in alto, in segno d'entusiasmo, i loro bimbi, e una vecchia è venuta a baciare la mano di Gori, augurandogli che “Il Signore gli dia ogni bene”. Una cosa ti so dire, indescrivibile, indimenticabile. Io avevo le lagrime agli occhi. Come avrei voluto averti lì vicino a me, perché tu potessi bere a quella fede!”
Un altro storico sciopero fu quello del 1907 a Portoferraio. Nell'agosto di quell'anno scoppiò l'altoforno 2 dello stabilimento siderurgico: tre operai rimasero uccisi. La pericolosità del forno era stata evidenziata e resa pubblica da molti, primo fra tutti l'ingegner Barbieri, che lavorava per la stessa Elba, la società che gestiva la fabbrica. Era stato tratto in arresto Alphonse Hennin, il direttore degli stabilimenti. Ciò non bastò a scongiurare uno sciopero generale all'Elba, che sarebbe stato il sintomo della più vasta serrata di quattro anni dopo. Anche in questo caso Pietro partecipò attivamente alle dimostrazioni. Il processo che doveva accertare le cause finirà con un'assoluzione dei dirigenti siderurgici, in quanto l'incidente fu ritenuto una fatalità non prevedibile. In opposizione alla sentenza della corte di Lucca, Gori scriverà un opuscolo di denuncia verso i “potenti padroni degli alti forni”, intitolato “In difesa delle vittime del lavoro”.
Ennesime vittime tra le tante che Pietro aveva incontrato e difeso. Ovunque e per tutta la vita.
Andrea Galassi